1. Scenario Loyalty: Retail e Industria a confronto
Gennaio 2012. L’Osservatorio Fedeltà dell’Università di Parma, che si occupa da anni di delineare lo scenario delle attività di loyalty marketing della GDA in Italia, ha analizzato anche le peculiarità e le tendenze evolutive delle strategie di fidelizzazione dell’industria di marca e della distribuzione specializzata (viaggi e vacanze, farmacie, profumerie, petrol, banche e assicurazioni).
Il campione dell’indagine:
212 aziende, di cui198 attive nel solo B2C, che gestiscono complessivamente 300 tra brand e insegne noti ai consumatori italiani
50% industria e 50% retail (45% GDO grocery e 55% non grocery)
31% fino a 100 dipendenti, 17% da 101 a 250 dipendenti, 52% oltre 250 dipendenti
Dimensione e organizzazione aziendale, così come appartenenza a un settore piuttosto che a un altro, non determinano effetti significativi sull’entità delle risorse destinate alla fidelizzazione, che per oltre la metà delle imprese non arrivano al 10% del budget di marketing. Solo quelle che attuano un monitoraggio costante della fedeltà (60% del totale) investono mediamente di più e fanno più regolarmente attività di CRM. Dalla ricerca emerge poi che, tanto nell’industria quanto nella distribuzione, gli strumenti relazionali adottati non dipendono dalla quota del budget di marketing assegnato alla fidelizzazione, eccezion fatta per i club clienti, che sembrano appannaggio delle imprese che destinano di più, il che è coerente con la caratteristica di “durata nel tempo” di queste iniziative, rispetto ad altre che si esauriscono in tempi brevi o brevissimi.
La GDO punta su una loyalty “di massa”, proponendo a tutti i clienti fidelizzati le medesime attività (raccolta punti e catalogo premi), mentre il retail non alimentare e l’industria sono più orientati al “micro”, ovvero alle promozioni mirate a singoli segmenti, basate su specifiche segmentazioni della customer base. Infine, in tempi di social media, la comunicazione ai clienti dei brand più venduti è ritenuta molto efficace dall’industria e interessante per la distribuzione non alimentare.
Ma che cosa si intende esattamente per cliente fedele (al Brand o all’Insegna)?
Dalle risposte a questa domanda il cliente fedele risulta essere quello che ripete l’acquisto (frequenza), che sceglie solo/prevalentemente quel brand o quell’insegna per quella certa necessità (share), che ha stabilito un legame emotivo con il brand (condivisione di valori/passaparola/co-creazione), che resiste alle altre promozioni e/o alle altre private label.
Nel retail si fa più spesso riferimento a frequenza e spesa. In particolare, tra gli indicatori di loyalty vengono monitorati la partecipazione alle collection, la redemption dei buoni punti fedeltà, l’incidenza dei punti accumulati sulla spesa, l’utilizzo dei punti accumulati, la partecipazione a specifiche attività riservate ai clienti fidelizzati, gli scontrini in corrispondenza di promozioni dedicate. È interessante notare che fino a due anni fa (Osservatorio Fedeltà UniPR 2010) quasi nessuna insegna li calcolava abitualmente e solo il 17% verificava sistematicamente la frequenza di visita con carta, che oggi viene invece indicata come principale strumento di misurazione della fedeltà.
A sua volta, l’industria, oltre che di acquisto frequente, parla di share in handlers (quota nei clienti trattanti), share of requirement (quota di bisogno) e brand awareness. Tra le altre definizioni di fedeltà del cliente, emergono il legame emotivo (fedele è chi fa passaparola positivo, chi si riconosce nei valori di cui è portatrice la marca, chi si sente così coinvolto da entrare in relazione con l’azienda per dare consigli e suggerimenti…) e l’assiduità dei contatti in rete (frequenza visite brand website, interazioni brand website, visite fanpage, likes, commenti sui social).
Quali sono dunque le leve su cui industria e distribuzione possono agire per ‘fare fedeltà’ ? E quali strumenti utilizzano ?
Nel retail, vengono citate innanzitutto la qualità del servizio e, subito dopo, le azioni di loyalty rivolte a tutti i clienti (programma fedeltà, customer club).
Per l’industria lo strumento principe per fare fedeltà è la comunicazione: advertising, comunicazione diretta ai clienti, website, digital club, pagine su Facebook, newsletter, app di servizio e altro.
Il 70% delle industrie e il 90% dei retailers hanno un database, indispensabile per tutte le azioni di marketing mirate: in 8 casi su 10 aziende grandi e piccole lo mantengono costantemente aggiornato. Raccolte punti e programmi fedeltà tradizionali, necessari per tracciare i comportamenti dei clienti nella GDO alimentare, riscuotono invece un interesse assai modesto nel retail non GDO e nell’industria, soprattutto se messi a confronto con i mezzi digitali e con il CRM. Nella fase attuale del loyalty marketing, le attività relazionali devono offrire effettivo valore al cliente, per esempio semplificando il processo di acquisto.
Il Loyalty Management è entrato in una nuova fase, quella della Loyalty Servizio.
Il sito web del brand/insegna viene indicato come strumento chiave, così come la comunicazione diretta ai clienti (tramite e-mail o posta) e le digital collection, cioè le iniziative di collezionamento online che alcuni brand del largo consumo hanno adottato negli ultimi 2 anni. Nel non grocery è decisamente affermata la presenza social (83%), mentre la GDO per lo più dichiara di averla in programma, ma per il momento non si preoccupa di gestirla. In generale, la GDO pare guardare ai social media con un approccio più “di massa”, per amplificare ciò che viene già comunicato attraverso altri media, mentre la valenza relazionale, legata anche al “respond”, è senz’altro più rilevante per il non grocery.
BOX
Uno studio condotto alla fine del 2011 da Ferrero su Nutella in Germania ha testato l’efficacia delle campagne Facebook, paragonando i risultati in termini di vendite realizzati sul social network con quelli derivati da altri canali: il brand ha sviluppato la campagna pubblicitaria coordinando i contenuti della propria pagina Facebook con alcuni spot televisivi. Nutella ha rilevato che il 15% delle vendite della campagna mediatica erano attribuibili a Facebook. In termini di ritorno sugli investimenti, le vendite sul social network hanno superato quelle della tv.