2012: Capire i bisogni e lavorare sulla qualità

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2012: Capire i bisogni e lavorare sulla qualità
Filippo Genzini , Aroundmarketing

Gennaio 2012. L’articolo di Luigi Rubinelli (vedere in archivio: “Promozioni? E’ megli la gestione del prezzo e degli assortimenti”) a proposito delle scelte di retail mix compiute dalle insegne italiane mi ha fatto ricordare di aver abbozzato un ragionamento qualche mese fa a proposito della necessità di lavorare in modo più deciso sulla segmentazione della clientela, che poi non si è tradotto in un articolo compiuto. Il ragionamento parte dalla constatazione banale che la struttura della società italiana è cambiata nel corso degli ultimi trent’anni in modo tale da favorire la saturazione dei consumi ‘grocery’.

Le trasformazioni nella popolazione
Prendendo in esame l’intervallo 1970 – 2001 (ultimo dato disponibile), per esempio, si osserva che la numerosità media dei componenti del nucleo famigliare è in costante flessione, passando da 3,35 a 2,59. Nello stesso periodo le famiglie con 5 o più componenti passano dal 21,51% al 7,50% del totale e quelle di monocomponenti dal 12,90 al 24,89. In soldoni 1,3 milioni di monocomponente in più dal 1991 al 2001. 1 milione di coppie in più nello stesso periodo. 700.000 famiglie più numerose in meno. Quale l’impatto, per esempio, sulle dimensioni delle confezioni, soprattutto di prodotti freschi o a rapida deperibilità? L’innalzamento dell’età in cui gli italiani abbandonano la casa dei genitori e si sposano, la quota di consumi fuori casa dei più giovani, l’invecchiamento della popolazione (gli oltre settantenni erano 4.930.000 nel ’71 e 9.043.000 nel 2009 = + 83%), e l’affacciarsi di bisogni più qualitativi (salute) che non quantitativi rappresentano tutti trend presenti da decenni e le cui conseguenze su acquisti e consumi di prodotti alimentari, per la casa e la cura persona erano facilmente prevedibili. Gli italiani sono in grado di consumare molto più di quanto consumano oggi? Dubito. Forse gli immigrati, quando sono in grado di metter su famiglia nel nostro paese.

Difficile incrementare a valore
D’altra parte, la pressione promozionale e il livello di sconti medi ancora in crescita, lo sviluppo delle linee dei primi prezzi, la crescita costante delle marche private, la quota di mercato conquistata dal discount rappresentano tutti fattori che spiegano anche la difficoltà di incrementare le vendite a valore. A dimostrazione che il mondo della distribuzione, caratterizzato dalla presenza di pochi innovatori e tanti ‘follower’, ha reagito più o meno in modo compatto e uniforme ai segnali ‘medi’ provenienti dalle famiglie italiane. Ma quali sono questi segnali? Cito per comodità un’indagine condotta da Symphony IRI, anche se risale ormai al 2010: il 48% delle famiglie fa una lista della spesa prima di visitare il punto di vendita, il 74% presta più attenzione ai prezzi, il 59% legge con maggiore attenzione i volantini, il 58% acquista con maggior frequenza i prodotti a marchio d’insegna, il 55% non è disposto a fare grandi scorte. Al di là dei dati tendenziali, che certo hanno la loro importanza, quando questo scenario è stato presentato nessuno si è soffermato a ragionare sul fatto che gli stessi numeri significano che il 52% delle famiglie non pianifica la spesa, il 26% non presta maggior attenzione ai prezzi, il 41% non legge con maggior attenzione i volantini, il 58% non acquista più marche private, il 45% è ancora disposto a stoccarsi di prodotti.

La ponderata pesa più della numerica?
E non ho sentito nemmeno qualcuno sollevare l’obiezione che, contrariamente a quanto avviene almeno in teoria in democrazia, dove ogni testa vale un voto, nel mondo dei consumi la ponderata pesa più della numerica e, quindi, gli atteggiamenti, le aspettative, i bisogni e i comportamenti delle famiglie vanno analizzati anche e soprattutto in funzione della loro incidenza sulle vendite del punto di vendita e non secondo la media dei polli. Cosa pensano, cosa comprano, cosa vogliono i clienti esclusivi? E quelli migliori? E, invece, quelli che l’insegna condivide con i concorrenti? Non ho le risposte, ovviamente, ma sono disposto a scommettere qualcosa che sono molto differenti tra di loro, mentre l’offerta assortimentale, il posizionamento prezzi, l’attività promozionale della stragrande maggioranza dei punti di vendita moderni sono pensati per attrarre qualsiasi tipo di clientela, con il rischio di contribuire a creare un posizionamento pericoloso nella mente del pubblico: ‘the nowhere land’dove ogni insegna è indistinta e sostituibile con le altre. Chi sfugge a tale logica? Senz’altro i discount. E non a caso il formato, caratterizzato da un marketing mix coerente e di facile comprensione per chiunque, continua a crescere. Senz’altro le catene di drugstore (casa + toilette), che suppliscono a carenze di offerta assortimentale dei supermercati generalisti, ancora poco attenti spesso alle potenzialità delle categorie della cura persona. Non stento poi a credere che stiano lavorando bene anche le insegne che hanno sposato la filosofia dell’everyday low price, come i Simply del gruppo Auchan e gli U2 di Unes, proprio perché, come il discount, hanno scommesso di votarsi a un segmento di clientela preciso, con esigenze specifiche che il loro retail mix soddisfa. E poi pochi distributori della GD e della DO, che sul posizionamento hanno cominciato a lavorare molto prima dell’inizio dell’ultima crisi, suggerendo una ‘reason why’ credibile per la fedeltà della clientela.

Gli elementi di successo dei best in class
Quali allora gli elementi che caratterizzano i primi della classe?
– 1 Visione di lungo periodo, che privilegi le tendenze di medio e lungo termine rispetto ai sussulti di breve.
– 2 Posizionamento, caratterizzazione e identità, per rappresentare qualcosa di esclusivo agli occhi dei clienti.
– 3 Impostazione delle strategie partendo dagli indicatori chiave di performance per i segmenti strategici di clienti e non dai valori medi assoluti.
– 4 Abbandono del concetto di tutto per tutti. Non funziona in nessun altro settore e non si capisce perché dovrebbe nel retail. Le problematiche relative all’assortimento devono fare i conti con tutti questi fattori ed è quindi preoccupante se tutti i distributori, all’unisono, in un certo anno cominciano a semplificare l’offerta, riducendo il numero di referenze per categoria. E poi, sempre simultaneamente, ricominciano ad ampliarla, lavorando sulla profondità. Perché non esiste una ricetta che va bene per tutti e ciascuna insegna dovrebbe indossare l’abito più consono al proprio posizionamento, invece che scopiazzare semplicemente quello che fanno i leader. E, sempre a proposito di posizionamento, come mai, nonostante i molti ‘specialisti del fresco’, fruttivendoli, panetterie, pescherie, macellerie e gastronomie sembrano vivere una seconda giovinezza? Se alle categorie che questo dettaglio tradizionale canalizza aggiungiamo anche i già citati prodotti per la cura della persona, sempre più distribuiti da specializzati, farmacie e parafarmacie, ecco profilarsi un potenziale di maggiori vendite inespresse, accessibili lavorando sulla qualità dell’assortimento e sulla comprensione dei bisogni della clientela e non solo sull’inseguimento del prezzo più conveniente!

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