Una crisi singolare quella invocata dalla Lever

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Una crisi singolare quella invocata dalla Lever

Se in tempi di crisi il consumatore stringe la cinghia, le aziende possono stringere le confezioni, ha pensato Unilever annunciandolo con enfasi sui media. Ripreso il vecchio concetto di predosato, di quantità ideale che risponde alle più ferree logiche del risparmio, il colosso anglo-olandese arriva alla scoperta della monodose e alla prospettiva più ampia di un “mondo monodosato”. Un single, in questo scenario, prende la sua monoporzione di sugo e nell’essenzialità del proprio monolocale, condisce i suoi canonici ottanta grammi di pasta. Geniale antidoto alla crisi? No, una solenne idiozia.

Sul piano del processo industriale produrre le monoporzioni costa unitariamente di più.
Sul piano della sostenibilità ambientale, di cui Unilever fa un perno della propria mission, la quantità di packaging destinata a diventare rifiuto è proporzionalmente maggiore delle normali confezioni.
In termini di prezzo praticato al consumatore, il costo euro/chilo del prodotto è inevitabilmente più alto.
Si crea solo un’illusione di risparmio attraverso una dilazione della spesa.
I costi della logistica e le relativi implicazioni per un distributore sono più alti e ne rendono più complessa la gestione.

Ancora più risibile è la motivazione di Unilever, secondo cui “questa strategia ha già funzionato in Paesi come l’India”, assimilando l’Italia a mercati completamente diversi come livello di evoluzione e caratteristiche,  in una logica  tipicamente  da  multinazionale  di “one  size  fits  all”.  Al contrario,  noi pensiamo che bisognerebbe dare risposte diversificate ad esigenze diversificate, coniugando efficienza produttiva e logistica con la sostenibilità economica di un costo/porzione più basso, ed ambientale di un impatto inferiore del packaging e dei rifiuti.

La porzione unica è come il pensiero unico: non prefigura una soluzione imprevedibile, ma un fallimento largamente previsto.

Francesco Pugliese
Direttore generale Conad

6 Commenti

  1. Tutto vero, prezzi al kg, costi produttivi : ma ogni strada porta ad una metà. È' il caso di interrogarsi sugli sprechi? Il 20% dei prodotti acquistati finiscono nella pattumiera…. Forse le confezioni rispettose di un'europa che cambia, famiglie fatte da pochi, single, vecchi…..

  2. questa volta penso che anche il peggior nemico del buon francesco farebbe una grande fatica a non essere d'accordo con lui, e questo non perche' nella scelta della unilever tutto sia sbagliato, ma perche', premesso che non esistono ricette semplici a problemi complessi, non si puo' barattare per '' difesa del potere d'acquisto del consumatore '' quello che non è altro che una tattica ( non strategia ) di mkt. qualcuno di voi ricorda la polemica su una rivista specializzata del tic tac a 64 euro al kilo ? piu' che diminuire le confezioni , che in qualche caso puo' anche aver un senso, penso che l'industria di marca debba iniziare a diminuire i prezzi di vendita, che in parecchi casi non hanno nessuna correlazione con il costo industriale del prodotto !

  3. Come sempre il pensiero di Francesco è pienamente condivisibie. Mi preme tuttavia fare una riflessione in merito non tanto al costo medio del prodotto, quanto semmai alla temporalità e al valore assoluto del flusso di cassa per il consumatore. Il consumatore si trova oggi a dover fare una scelta ben precisa se consumare o non consumare, e la scelta è basata sul valore assoluto dell'esborso finanziario che prescinde dal prezzo al kg. pagato. Decide quindi di consumare se quel prezzo corrisponde con il flusso di cassa che in quel preciso momento è in grado di sostenere. E' per la stessa motivazione che che oggi il consumatore sta ritornando ad un modello di spesa più frazionato, non cedendo più alle lusinghe dell'ipermercato della grande spesa settimanale, sicuramente più conveniente, ma non corrispondente con il suo rendiconto finanziario e quindi non in linea con l'esborso che, in un preciso arco temporale è in grado di sostenere. Di fatto quindi, la scelta del monoporzione, potrebbe essere letta come un'alternativa al non consumo e quindi, in quanto tale condivisibile. Come sempre, Francesco Pugliese sa lanciare la provocazione dove serve, aprendo un dibattito su una tematica che non consente di fatto di trovare un modello ideale e che non può essere riconducibile, a livello economico, con l'approccio "one size fits all" tipico delle multinazionali. Ma anche questa è un'altra storia, d'altronde Unilever fece un flamoroso flop con il detersivo in polvere in India, ignorando che i panni vengono lavati nel fiume, le rede idriche sono scadenti e che quindi le lavatrici sono poche utilizzate; ma appunto questa, è proprio un'altra storia.

  4. Il ragionamento di Pugliese non fa una piega. Ma prende in considerazione tutti gli aspetti? Non so, realmente, cosa pensare. Mi piacerebbe che qualcuno facesse una ricerca, senza che dobbiamo per essa mettere necessariamente la mano sul fuoco. Mi ricordo che tanti anni fa mi imbattei in una ricerca, molto dettagliata, fatta in Francia, in cui si mostrava come le monodosi per i/le single conveniva globalmente sul risparmio nell'acquisto di prodotti alimentari, anche se, naturalmente, il prezzo di ogni singolo prodotto era proporzionalmente più alto. Perché? Stando alla mia memoria (mi scuso di questa fonte poco scientifica), si dimostrava che veniva sprecato complessivamente meno prodotto se si fosse acquistato le dosi normali messe sul mercato: molta parte del prodotto (si parla di alimentari, naturalmente) veniva gettata perché invecchiata e scaduta. Mi colpì il fatto che il single francese era portato a mangiare più spesso fuori casa o a invitare altre persone alla sua mensa, per cui il prodotto da lui conservato era invecchiato o almeno dall'aspetto poco presentabile. Nel complesso spendeva di meno. Ecco, mi piacerebbe che si analizzasse meglio il comportamento individuale e sociale dei consumatori. Anche le modalità di consumo di un uomo/individuo sono tante e non tutte e sempre razionali, com'è invece il ragionalento di Pugliese. Il mio è solo un ricordo su cui non metto la mano sul fuoco. Comunque mi fa porre delle domande, tante domande, perché il nostro comportamento,anche se non è sempre razionale, deve essere comunque preso in considerazione dai produttori e dai consumatori, razionale o irrazionale che sia. Chi non si ricorda il comportamento assurdo e contraddittorio dei consumatori di fronte al fenomenio della mucca pazza? Questo non toglie che, con la monodose o dose inferiore, il problema ecologico non esista. Chi mi dice, però, che prima o poi non si trovi la soluzione?

  5. Quoto il dott. Pugliese al 100% . Dico la mia da consumatore, di fronte alle monoporzioni fuggo come una lepre per diversi motivi : a) al kg. costano sempre MOLTO di più di prodotti alternativi anche migliori b) le porzioni le voglio decidere io ( per esempio , le buste dei risotti che dicono 2 porzioni, per me valgono 3 ) c) se voglio risparmiare senza gettare , mi ingegno a gestire l?eventuale rimanenza con saggezza ( ci sono mille modi) d) per alcuni alimenti alla fine costa più il packaging del prodotto, anche in termini ambientali Non è così che si va incontro alle esigenze di chi cerca di risparmiare a fare la spesa cercando di evitare di perdere in qualità.

  6. Il voto dell'industria è emblematico di come l'intervento del Dott.Pugliese sia vissuto probabilmente come "lesa maestà". Ritengo invece che la GDO, in quanto garante di un rapporto fiduciario coi propri clienti, dovrebbe avere il coraggio di "denunciare" certe scelte dell'Industria, senza esserne complice, ad esempio evitando di seguire certi trucchetti- inaccettabili se ammantati dalla scusa dela tutela del potere di spesa dei consumatori- nell'ambito del propri prodotti a marchio…

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