Esportare è vivere in modo positivo i mercati
Giugno 2012. Alle aziende italiane esportare fa bene; ai risultati economici, ai flussi di cassa (spesso all’estero si paga con maggior puntualità che in Italia), alla loro capacità di stare sui mercati e di comprenderne le dinamiche, alla loro capacità di innovare
Sono esperienze che si trovano distribuite fra tutte le aziende che hanno fatto della presenza sui mercati esteri non solo un modo per continuare a produrre, ma soprattutto di esistere.
Se il mercato interno è in una situazione di stallo, le imprese italiane rimangono competitiva sul piano internazionale; a dicembre 2011 il saldo manifatturiero delle aziende i cui prodotti rappresentano le eccellenze dell’industria manifatturiera italiana (automazione, abbigliamento, arredocasa, alimentari) è stato di 65,2 miliardi di euro (59,3 se si escludono le cellule fotovoltaiche).
Si diversificano gli sbocchi
I dati dell’Osservatorio GEA-Fondazione Edison presentati da Marco Fortis, presidente della Fondazione Edison, fotografano un’Italia prima nella classifica della competitività nei settori dell’abbigliamento, del cuoio, pelletteria e calzature e nel tessile, seconda nella meccanica non elettronica e nei manufatti, sesta nei prodotti dell’industria alimentare.
Tabella: valori in miliardi di dollari dei settori in cui l’Italia è ai primi posti per competitività internazionale, anno 2010
Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati International Trade Centre, UNCTAD/WTO
Nelle esportazioni il trauma causato dalla crisi del 2009 è stato superato, il 2011 ha visto un recupero dell’esportazioni fino a raggiungere valori vicini al picco massimo registrato nel settembre 2008 (64,3 miliardi di euro). La debolezza del mercato interno ha indotto le imprese a diversificare i mercati di sbocco; allo stesso tempo è aumentato il numero di imprese esportatrici, coinvolgendo in questa spinta sia le medie sia le piccole.
Cosa guida l’export delle imprese italiane? Sono gli aspetti vincenti evidenziati dall’indagine condotta da Unioncamere nella primavera del 2012: la crescita di domanda di made in Italy, un marchio aziendale apprezzato, la qualità dei prodotti e dei servizi offerti, prezzi competitivi.
Tutto bene, allora? Con una economia che soffre di mal di mare, meglio non riposare sugli allori; per le imprese è meglio puntare ad accelerare l’internazionalizzazione per la quale sono necessarie quelle che Andrea Carrara di GEA sintetizza come risorse e esperienza.
Occorrono Esperienza e risorse
Le risorse sono quelle necessarie per confrontarsi con dei concorrenti che all’estero hanno dimensioni più grandi e per questo possono porre essere un limite allo sviluppo delle imprese italiane – oltre ad essere una minaccia sul mercato interno – e per acquisire dimensioni più adatte ad accrescere la produttività, la propria visibilità di marca e per la ricerca e sviluppo.
L’esperienza è fatta della capacità di ricercare vie di sviluppo nei paesi emergenti, dove ormai da anni si concentra la crescita, e di cogliere l’opportunità di acquisire le conoscenze che derivano dall’incontro con nuovi clienti, concorrenti e mercati.
Senza dimenticare l’importanza della conoscenza: i mercati, i paesi, le culture occorre conoscerle per poterle affrontare. Per questo occorre che la proprietà, o il management, abbiano la preparazione e la sensibilità adatta per capire i Paese in cui si esporta, o si intende esportare, e di conseguenza agire per adattare i prodotto ai bisogni di queste realtà e le aziende alle dinamiche di mercato.
Gestire l’export fra benefici e complessità
Si pensi, per esempio, al ciclo di vita dell’export, in cui i primo gradino è quello dell’export indiretto, per arrivare all’acquisizione dei aziende in loco, per passare attraverso, per citare solo alcuni di questi gradini, export cooperativo, accordi di co-produzione e joint venture, filiale, assemblaggio e produzione. Con i diversi gradi di complessità e rischio, da una parte, e di controllo e benefici che essi comportano.
I fattori irrinunciabili di successo sui mercati internazionali, fonte Andrea Carrara, GEA
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