Un incontro dello scorso anno promosso da XTel (in occasione del suo ventennale di operatività) merita un approfondimento soprattutto sulla relazione di Giampiero Lugli, dell’Università di Parma. Il tema del prezzo e delle promozioni, infatti, è centrale nel largo consumo, oggi e soprattutto in futuro; con quello della gestione degli assortimenti diventerà il vero vantaggio competitivo.
L’inflazione media interna alla Gda
L’inflazione media nelle imprese commerciali è arrivata al 2,7% e i prezzi all’acquisto (sempre nella Gda) sono aumentati nel solo 2011 del 3,5%. La speculazione sulle commodity di base (grano, riso, ecc.) sembra essersi fermata, almeno per il momento, ma ha inciso profondamente sulle marginalità. Nel 2012, secondo la manovra Monti, l’Iva dovrebbe crescere del 2% e questo accenderà sicuramente l’inflazione interna al sistema Gda/Idm che dovrà o essere assorbita parzialmente o riversata sul prezzo finale.
Il ragionamento di Lugli
Giampiero Lugli sostiene che:
– le promozioni in generale non aumentano i consumi,
– aumentano, invece, gli acquisti dei prodotti-marca a bassa marginalità,
– creano disfunzioni nella catena logistica, nei picchi dei cedi e sui lineari di vendita,
– aumentano lo spreco a causa di acquisti in surplus che non possono essere tramutati in consumi,
– aumentando lo spreco, aumentano i prezzi del monte merci in circolazione.
La falsa sensibilità al prezzo
Fin qui Giampiero Lugli. Alcune ricerche e alcuni istituti di ricerca, nonché qualche professore, parlano di diminuzione della sensibilità al prezzo al momento della spesa. È chiaramente una delle solite invenzioni dispensate con abilità a una platea distratta. La sensibilità al prezzo è sicuramente in aumento come dimostra l’aumento delle vendite dei discount; diminuisce, invece, la sensibilità alle promozioni; infatti queste ultime per reggere di interesse sono in netto aumento e raggiungono il picco del 27%. Un’occhiata alla struttura delle offerte promozionali spiega che i prodotti-marca coinvolti sono sempre gli stessi: probabilmente è la sensibilità verso questo sistema ripetitivo a essere in diminuzione.
Come abbiamo appena detto il pricing e la gestione degli assortimenti saranno l’anello debole dell’intera filiera perché chi sbaglia a formularlo pagherà l’errore compiuto.
La gestione degli assortimenti in Italia, il parere di Nielsen
Negli ultimi decenni l’offerta da parte della distribuzione moderna si è ampliata per rispondere a una presunta esigenza di maggior scelta per i clienti. L’obiettivo era fornire opportunità accattivanti per un cliente che diventava sempre più sofisticato nelle proprie consuetudini di spesa. In realtà il risultato finale è stato spesso quello di presentare scaffali complessi, affollati, confusi, dove l’utente faticava a trovare il proprio prodotto. E con costi di gestione cresciuti esponenzialmente.
Così tra il 2008 e il 2009 grandi insegne hanno avviato una politica di semplificazione dell’offerta a scaffale con la finalità di agevolare la shopping experience del consumatore da un lato e ridurre la complessità gestionale dall’altro. Cominciò Wal-Mart negli Stati Uniti, seguì Asda in UK, ed anche in Italia alcune insegne sentirono l’esigenza di razionalizzare l’offerta. Così per la prima volta dopo anni di crescita assortimentale, si ridusse, almeno in alcune categorie merceologiche, il numero di referenze a scaffale.
Razionalizzare lo scaffale è complesso
I risultati non raggiunsero completamente le aspettative: a fronte di un’effettiva riduzione della complessità gestionale ed un aumento della marginalità, Wal-Mart, ad esempio, dovette confrontarsi con rischi di riduzioni significative del fatturato e dei livelli di soddisfazione del cliente.
Si evidenziava in tal modo come la razionalizzazione dello scaffale è un processo complesso, che all’interno di ciascuna categoria di prodotto richiede un’accurata valutazione tra ciò che è effettivamente ridondante sullo scaffale perché intercambiabile e ciò che invece è assolutamente distintivo, aggiunge valore e risponde a richieste reali del consumatore che non è disposto a optare per un sostituivo qualora non trovi proprio quel prodotto a scaffale (e che magari cambia negozio per trovarlo).
Nel 2010 gli assortimenti subiscono una nuova inversione di rotta e riprendono a crescere. Anche in Italia a giugno del 2011 si registra un incremento del 2.3% del numero medio di prodotti in un negozio rispetto all’anno precedente. E c’è una correlazione forte tra insegne che aumentano l’assortimento e incrementano anche il fatturato e insegne che lo riducono e perdono contestualmente vendite.
Acquisti giorno per giorno anche all’ipermkt
Il tema dell’organizzazione assortimentale si ripropone in maniera importante: come costruire gli scaffali in modo da ottimizzare l’offerta con un mix equilibrato che riduca le cannibalizzazioni tra i prodotti e generi valore alla categoria, facendone crescere il fatturato. Alcune macro-indicazioni sono emerse da uno studio condotto a livello dei canali ipermercati e supermercati italiani.
Nel nostro Paese la congiuntura di crisi economica è stata percepita pesantemente e così si evidenzia che nell’ipermercato il consumatore ricerca la convenienza giorno per giorno: non deve stupire che i prodotti più incrementali, cioè che generano maggior fatturato alla categoria, sono quelli di primo prezzo, segnale evidente che il discount è un concorrente diretto delle grandi superfici.
Il supermercato, invece, risponde ad una logica diversa, condizionata dalla sua prossimità (è il luogo dove si fa la spesa del giorno piuttosto che quella della settimana) e dal suo target (un’utenza mediamente più anziana che non necessariamente usa l’auto per la spesa). Naturalmente anche in questo canale l’attenzione alla convenienza giorno per giorno è importante, soprattutto nell’attuale ciclo economico italiano. Anche in questo caso la convenienza è identificata con una marca privata di prezzo basso, ma il risultato più interessante è che il supermercato può generare vendite incrementali anche attraverso un’offerta premium, di alta qualità e alto prezzo. Il supermercato cioè si ritaglia una propria specificità assortimentale rispetto all’ipermercato polarizzando la propria offerta tra un primo prezzo a marchio privato e il top di gamma dell’industria ed eventualmente connotandosi come la vetrina preferenziale per le innovazioni di prodotto.
Declinare il tutto per categoria
Ovviamente questa macro-regola deve essere poi declinata per ogni categoria di prodotto. Si scopre così che essa vale per esempio per i biscotti, i fazzoletti di carta, il cibo per cani, ma non per la pasta di semola o lo yogurt dove il consumatore cerca il prodotto top di gamma anche nell’ipermercato. E questo rinforza ulteriormente il concetto che il corretto mix assortimentale è un equilibrio delicato che si raggiunge con valutazioni accurate da parte della Gda in un processo dinamico di costante allineamento tra domanda e offerta.