La pressione promozionale ha raggiunto il 27,5%: le promozioni sono sempre più numerose, diffuse in tutte le insegne, alcune, addirittura, hanno una struttura ormai permanente. È chiaro a tutti che le promozioni in questo modo sono meno efficaci di alcuni anni fa e, data la diminuita sensibilità alle promozioni, hanno un impatto a volte negativo sulla creazione di traffico, come vorrebbero proporsi e soprattutto di scontrino medio.
Il numero delle referenze a scaffale è aumentato, dopo una contrazione nel 2007-2008. Questo sistema (promozioni in aumento e numero di referenze in aumento) genera confusione e costi di accesso al canale maggiorati per i fornitori. Non parliamo del problema di lanciare prodotti nuovi: dove troveranno posto se lo scaffale è ormai organizzato per singoli facing in molte categorie?
U2-Unes, il supermercato vs il discount
Il caso di U2 di Unes è realmente un’inversione di tendenza per la semplificazione introdotta sullo scaffale: la scala prezzi è fatta molte volte da due referenze: la marca riconosciuta in quell’area e la private label di base. Altre volte la scala prezzi è fatta di tre codici: marca nazionale, store brand normale e store brand di alto posizionamento. Il consumatore è invitato dallo slim (Confronta&Risparmia) a confrontare il prezzo fra le due referenze proposte (marca vs store brand) e a scegliere in modo semplificato. In questo modo il tempo necessario ad acquistare diminuisce e diminuisce il tempo totale nel punto di vendita. La semplificazione introdotta da U2 Unes è ben visibile nel reparto dei vini: non più la classificazione per regione ma per fascia di prezzo. Se volete, a ben guardare, c’è anche una sorta di experience della convenienza (“Faccio un acquisto furbo, mi conviene”, “Cerco un’alternativa di prezzo inferiore ma senza rinunciare alla qualità”).
Se questo è un primo risultato condivisibile bisognerebbe costruire una maggior experience di acquisto, differenziandola da reparto a reparto (le categorie pastigliaggi e cioccolato sono a posto). In questo modo potrebbe aumentare la fedeltà all’insegna (vedere a questo proposito i post nell’articolo nel box dei focus di RetailWatch sull’apertura di U2 a Pessano con Bornago, Milano). Si realizzerebbe, così, quello che Roberto Ravazzoni, Università di Modena e Reggio Emilia) in un suo intervento al 20° di Xtel, chiama la saldatura fra essenzialità e orientamento alla convenienza, un equilibrio da raggiungere non facilissimo ma nemmeno impensabile. L’equilibrio si chiama: visibilità dei prodotti e chiarezza della comunicazione a scaffale come fattori decisivi della strategia di vendita. La comunicazione, in questo modo, dal punto di vendita in genere si sposta sul lineare di vendita (vedere nell’archivo di RetailWatch il caso di Tesco e del suo sistema di comunicazione sul lineare di vendita).
Interi reparti già brandizzati
È da notare a questo proposito che è stata l’industria di marca per prima ad appropriarsi di questi spazi soprattutto nel reparto profumeria e bellezza dei superstore e degli ipermercati: i plateau che contengono il prodotto sono tutti brandizzati e qualche produttore è andato oltre lavorando su nuovi pay off di comunicazione. I retailer sono arrivati dopo, quando, probabilmente, hanno capito che i “loro” lineari parlavano un’altra lingua, che non era affatto quella dell’insegna. Da qui la brandizzazione di reparti chiave come il reparto dei cioccolati o delle caramelle, delle birre, degli oli.
Brandizzare l’insegna
L’attenzione alla brandizzazione dello scaffale porta immediatamente a chiedersi perché non aprire negozi con il proprio brand. Mi rendo conto che affrontare questo tema in questo momento di recessione e di contrazione del reddito e dei consumi sia anacronistico ma ci sono già degli esempi, entrambi positivi, che vanno in questa direzione: TuttoCoop e Sapori&Dintorni ai quali va aggiunto il temporary aperto da Coop Italia a Milano con insegna FiorFiore (vedere l’articolo nell’archivio di RetailWatch), un prototipo di gastronomia up grade per i moving people. Il temporary è un annuncio di un nuovo negozio ma è difficile dirlo anche per questo esemplare, che, probabilmente, soggiornerà a lungo in qualche cassetto. La stessa strada la poteva prendere anche Terre d’Italia, a mio avviso la store brand di gran lunga meglio fatta del retail food italiano (joint Carrefour-Finiper): l’esperienza non è mai andata oltre al corner di Lonato (Bs) o il confezionamento dei cesti natalizi dedicati. Peccato perché si potrebbe, con l’assortimento attuale, fare una bella superette compresa di freschi e freschissimi, carne e ortofrutta. Magari con l’ausilio dello sviluppo in franchising.
I professori non dovrebbero sottolineare gli articoli dei giornalisti, ma questa volta, siccome concordo con lui, lascio il corsivo a Roberto Ravazzoni: “Si sta delineando un solido vantaggio competitivo -store equity- per i pochi retailer che hanno alimentato in modo costante e coerente una propria strategia di branding”. Appunto.
Fin qui una tendenza. Lo scenario, però, non è completo se non capiamo dove può indirizzarsi la grande distribuzione associata e il gruppo dei fornitori di marca. Usiamo ancora Roberto Ravazzoni e il suo intervento al 20le di Xtel, che ci sembra uno dei più felici oggi a disposizione.
Indica 12 strade da imboccare che porterebbero a un sicuro risultato. Eccole.
Dove va e cosa deve fare l’industria
1. Sforzarsi di introdurre sul mercato nuovi prodotti (veri) in maniera continuativa e rinunciare allo sretching fine a sé stesso
2. Riscoprire il fascino discreto dell’essenzialità soprattutto nella gestione del portafoglio prodotti-marche
3. Presidiare i punti di vendita della Gda e mantenere sotto stretto controllo l’attività promozionale (questo non vuol dire occupare militarmente i volantini delle varie insegne: ndr)
4. Sviluppare nuovi canali di distribuzione (Ristorazione? Vending machine? Ambulantato? E-commerce?) e gestire le nuove forme di concorrenza allargata
5. Selezionare nuovi mercati di sbocco dotati di alto potenziale (per chi ama andare all’estero)
6. Contenere il trade spending non finalizzato e verificare sempre l’efficacia delle azioni concordate con la grande distribuzione associata
7. Aiutare la Gda che punta a differenziare l’offerta per canale e formato distributivo (assortimenti, promozioni, soluzioni di merchandising, …)
8. Aumentare gli investimenti di Shopper Marketing (comunicazione nel punto vendita, esposizioni preferenziali versus qualificate …)
9. Mantenere sotto stretto controllo e in equilibrio gli investimenti sulla Marca (R&S, Comunicazione e In-Store Marketing) con le risorse destinate alla Gda
10. Impostare un’attenta gestione del Portafoglio-Clienti per ridurre il grado di dipendenza economica nei confronti dei grandi gruppi
11. Introdurre nuove forme di segmentazione della clientela commerciale per ottimizzare gli investimenti commerciali
12. E’ opportuno pensare di riorganizzarsi in Customer business team e sviluppare piani d’azione per singolo grande cliente
Fin qui Roberto Ravazzoni. Il quadro nel 2012 si complica con l’aumento dell’Iva di due punti percentuali previsti dalla manovra Monti che creeranno un aumento dei prezzi finali al consumo e un incremento dell’inflazione interna (alle varie catene, tutte) e esterna, per giunta in un momento di recessione che potrebbe durare anche qualche anno come hanno commentato gli economisti di LaVoce.info in questi giorni.
Calmierare i prezzi
La domanda che pone RetaiWatch, allora, è questa: riuscirà il sistema (cioè la Gda+l’Idm) ad assorbire:
. l’aumento dei costi delle materie prime
. l’aumento dei prezzi causato dall’inflazione
e continuare a fare da calmieratore (vero, non a chiacchiere) del costo della vita del cittadino-consumatore, come avvenuto negli ultimi anni (non ultimissimi)? Costruendo, in questo modo, una fedeltà oggettiva all’insegna?