Verso un nuovo modello di consumo

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Verso un nuovo modello di consumo

Giulia Settimo

Bisogni del secondo tipo (di Giuseppe Minoia) ed evoluzione sociale dei consumi: Arcipelago e Interdipendenza (di Silvio Siliprandi), Seminario annuale 2011 di Gfk Eurisko

I consumi cambiano (in quantità, ma non solo) perché evolvono sia i convincimenti, i desideri e i bisogni degli individui, sia i modi e i mezzi di comunicazione, da one to many a many to many. Il nuovo modello di consumo, trainato dalle élite, si basa sulla ricerca del meglio – costituto da aggregati di prodotti e servizi in grado di intercettare i nuovi bisogni e inteso come benessere personale – in una sintesi di valori sostenibili. Il cambiamento rischia però di spiazzare i protagonisti di oggi (imprese, marche, distribuzione, media): urgono nuovi progetti e nuove alleanze tra sistema pubblico e privato, tra soggetti grandi e piccoli, tra protagonisti globali e locali.

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Lasciato definitivamente alle spalle il "Novecento", ci sentiamo profondamente diversi dalle generazioni precedenti, non solo in Italia, non solo in Europa, non solo nell’emisfero occidentale. Dalla fase di espansione "edonistica" degli anni ’80, con i consumi che diventano soggettivi e "critici", siamo arrivati alla grande crisi planetaria del nuovo millennio. Strada facendo, abbiamo preso le distanze dalla Cultura di Massa, perché ci siamo resi conto che è molto più bello-utile disporre di proposte-prodotti-esperienze "mirate", non tutte uguali; abbiamo capito che le proposte generaliste possono essere nocive, se non altro per la loro acritica bulimia; abbiamo scoperto che il vero piacere (la felicità, il Fil-felicità interna lorda) sta nell’equilibrio, e che il MASSCULT alla fine è noia, saturazione, mancanza di stimoli progettuali per crescere. Ci siamo resi conto che il benessere (il bene-essere, declinato in più accezioni, veicolato da mezzi differenti, in contenuti tra i più vari) è lo scopo ultimo, e che dobbiamo impegnarci, come attori attivi, utilizzando le risorse di sistema, e non permettendo che esso ci strumentalizzi.
Siamo diventati più attenti, informati, esigenti, competenti grazie anche alla cultura di massa della seconda metà del Novecento, cultura dalla quale tutti, inconsapevolmente (anche i ‘nuovi poveri’, anche gli anziani, una popolazione che rischia di rappresentare, tra non molto, un terzo del totale) tendono oggi a prendere le distanze, grazie alla ricchezza di opportunità offerte dalla crossmedialità del nuovo Millennio. Siamo diventati più demanding anche grazie alla pubblicità, che ci ha accompagnato negli anni con la sua creatività spettacolare, i suoi suggerimenti comportamentali, i suoi nuovi stili di vita.

È così difficile intercettare il consumatore?

Oggi dunque il consumatore – si chiede Giuseppe Minoia – è così difficile da intercettare? No – arriva a concludere – è semplicemente un individuo che si pone come obiettivo una vita sostenibile, lunga e improntata a un benessere che si declina in differenti modi, secondo le tradizioni locali e generazionali (anche di tipo religioso). Ma la società dei consumi, nel suo aggregato di stimoli-bisogni-risposte-prodotti, è ormai al tramonto? No, se saprà diventare società delle correnti socioculturali, dialogando con il Mainstream, local e global. In netto declino è semmai la cultura di massa, soprattutto nei suoi tratti up-down, che spingono all’imitazione senza distinzione. Il meccanismo pubblicitario è entrato definitivamente in crisi? Siamo saturi al punto da non riuscire più a manifestare nuovi desideri e nuovi bisogni? È semmai vero il contrario: esistono desideri e bisogni aggregati, per così dire ‘di filiera’, alla ricerca di nuovi contenuti. Per esempio: cibo → piacere → controllo → crescita → decrescita → sostenibilità,  racconto → libro → ebook → sostenibilità del device → riciclo.
Accettando la sfida di considerare le correnti socioculturali del Mainstream, local e global, dimenticando la parola stessa "consumo" e considerando alla stregua di partner gli individui a cui si rivolgono i "contenuti di filiera", diventa allora possibile ‘intercettare’ un nuovo modello di consumo.

Benessere in senso allargato

I tanti modi di pensare il benessere: se l’obiettivo (il progetto individuale) può essere oggi sintetizzato nella parola «benessere», diventa importante entrarvi dentro, destrutturare e decostruire il progetto nei suoi fondamentali:
. benessere in quanto cittadini (il valore primario delle città)
. benessere in quanto esploratori e ‘agricoltori’ di territorio (difesa delle dimensioni a misura d’uomo del vivere)
. benessere in quanto utilizzatori di servizi pubblici
. benessere in quanto utilizzatori di servizi per la salute e le malattie
. benessere in quanto utenti ei servizi per le famiglie, per i bambini, le donne e gli uomini soli, gli anziani, ecc.
. benessere in quanto sentiamo il diritto di stare meglio in casa
. benessere in quanto sentiamo il diritto di stare meglio out of home
. benessere per vivere più a lungo e bene, benessere mentre si vive più a lungo.

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Bisogni o desideri?

L’asticella dei bisogni e dei desideri si sta alzando, con richieste e attese sempre più mirate (dalla nutrizione alle cure specialistiche basate sui geni del singolo individuo), bisogni che possiamo chiamare ‘del secondo tipo’, perché aggregano in sintesi inedite diversi prodotti-servizi.
I prodotti da soli non bastano più: mancano della spinta motivazionale. Occorrono aggregati di funzioni, capaci di sintetizzare nuove proposte, precise per quel singolo individuo. Bisognerà chiedersi non tanto quali prodotti, ma quale benessere per quell’individuo e quale sostenibilità per il benessere. Contenuti che siano un mix di prodotti materiali e culturali, in una sintesi che espliciti il senso progettuale e il non essere puro materiale di consumo.
‘Contenuti Filiera’ che possiedono e comunicano:
–    i fondamenti di produzione e di raccolta delle materie prime, le origini e la trasparenza degli aspetti materiali e di produzione
–    per chi, cioè le caratteristiche dell’individuo per cui sono stati creati
–    le caratteristiche ‘mobili’ dell’individuo target in tempo reale: i ‘Contenuti Filiera’ sono strumenti strategici di viaggio per l’homo movens che, di fronte a luoghi inesplorati, potrà avvalersi nelle scelte della credibilità, del sapere e dei contenuti a disposizione on demand, in percorsi di interattività mirata, in partnership con l’emittente, che diventa sostegno e guida nel ‘viaggio’.
 
Chi deve occuparsi di questi (inediti) bisogni aggregati? La politica latita. La produzione ritiene di saper svolgere al meglio il suo compito, ma intercetta poco il nuovo ed è poco disposta a ragionare nella prospettiva di ‘nuovi aggregati’, che richiedono investimenti non di breve. La distribuzione, decisamente più in grado di intercettare i ‘bisogni di secondo tipo’ si sta adeguando in nuovi touch point, ma anche qui ci sono stati errori (per esempio, investimenti in Centri Commerciali nel deserto) e non si è colto il ruolo decisivo dei centri storici, della città come habitat di domanda e spinta collettiva-culturale.

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Il ruolo delle Grandi Marche Nazionali
Quali produttori per i ‘Contenuti Filiera’? Le Grandi Marche, quelle reputate, locali e sovranazionali, profonde in verticalità, ma anche potenti in trasversalità, capaci di intercettare i ‘bisogni di aecondo tipo’ e di elaborarli in ‘contenuti filiera’ di aggiornamento, intrattenimento e formazione, di socializzazione ed emozione, di coaching e advocate, di supporto nelle nuove tecnologie estetiche, dietetiche e domotiche, in prospettive sostenibili.

CONTENUTI FILIERA SOSTENIBiLI → DA PRODUTTORI "FORTI" CIOE’ IPERESPERTI, SCIENTIFICI, REPUTATI → LE GRANDI MARCHE

I grandi brand, intesi come produttori di contenuti, dovranno porsi in una prospettiva di ascolto e di ricezione verso il Mainstream. Come dimostra Federic Martel nel suo ‘Mainstream’, i contenuti giusti intercettano desideri e bisogni in evoluzione in ogni parte del pianeta. Un aggregato di proposte del secondo tipo non potrà che ragionare sui flussi di Mainstream, cioè cavalcare le correnti socioculturali che trascinano nel loro alveo non nicchie, ma milioni di individui.
Per il Mainstream la pubblicità non basta: occorre la comunicazione autorevole, trasparente, proveniente da esperti, in grado di convincere e far superare le titubanze. Il Mainstream andrà intercettato e soddisfatto nella sua fame di contenuti, cioè di nuovi prodotti e servizi, con un sistema di verifiche continuative e con risposte che siano una sintesi di materialità e immaterialità, di prodotti e di servizi, in logiche efficacemente comunicazionali.

Un nuovo ruolo per le informazioni

Alcuni dati dimostrano la fame di informazione, che dovrà essere socialmente e culturalmente credibile, nonché sostenibile.
Come ci si informa (differenze nei segmenti della popolazione)

42%  tv, contenuti/servizi che parlano dell’azienda/istituzione (marginali 53%, elite e baricentro femminile 39%)
34%  pubblicità (baricentro femminile 47%, baricentro maschile 27%, marginali 24%)
32%  amici/conoscenti (baricentro femminile 39%, area giovani 22%)
24%  quotidiani/periodici che parlano dell’azienda/istituzione (area giovani 29%, baricentro femminile 21%)
23%  sito dell’azienda/istituzione (elite 37%, baricentro femminile 13%, marginali 6%)
17%  forum, blog, social network (area giovani 25%, marginali 3%)
15%  radio contenuti/servizi che parlano dell’azienda/istituzione (elite 18%, marginali 5%)
  8%  eventi/appuntamenti (elite 14%, marginali 2%)
  5%  pubblicazioni editoriali (elite 10%)

I contenuti più apprezzati sono, nell’ordine: informazioni su progetti di interesse e sviluppo nella propria zona; condizioni di lavoro dei dipendenti nell’azienda/istituzione; attenzione ambientale
dell.azienda/istituzione; informazioni su prodotti/servizi, informazioni su progetti di interesse e
sviluppo del Paese; attenzione sociale dell’azienda/istituzione; informazioni finanziarie sull’azienda.

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L’evoluzione sociale dei consumi: Arcipelago e Interdipendenza

La società – sostiene Silvio Siliprandi nel suo intervento – mostra movimenti interni molto chiari, lungo un asse che rappresenta risorse, valori e orientamenti. Negli ultimi 10 anni, alcuni strati di popolazione hanno accumulato disagio, perdite di posizione, frustrazioni e pessimismi. Già alla fine del 2010 il 62,6% delle famiglie dichiarava “Il futuro mi preoccupa”. Per contro, le componenti più dinamiche degli strati elitari si muovono nella direzione opposta: protagonismo, risorse, stabilità, valori acquisitivi. Ne nasce una frattura, che va progressivamente approfondendosi: non si osserva alcun segno di omologazione/massificazione interna ai due poli, che nel tempo si vanno anzi articolando per bisogni, valori, attitudini. Per evitare che la frammentazione arrivi a sfociare in un mare di distanza e incomunicabilità, occorre qualche elemento di composizione, che dia l’idea di appartenere a un sistema collettivo più ampio: il modello di questa società frammentata potrebbe essere quello dell’arcipelago, basato sulla consapevolezza dell’interdipendenza, nel quadro di un sistema socioeconomico sempre più complesso, delicato e mobile.
L’arcipelago è la metafora che meglio si presta a descrivere l’evoluzione sociale in termini di cambiamento delle risorse e dei valori, delle relazioni tra gruppi sociali, quando i suoi ‘abitanti’ sentono di condividere identità, valori, obiettivi e rischi con le altre isole. Se tale condizione si fa consapevolezza nelle menti, nei pensieri e nei trend, diventa la forza che può controbilanciare ed evitare la frammentazione.
Gli elementi che possono favorire il processo di consapevolezza dell’interdipendenza sono sostanzialmente quattro:
– la globalizzazione economica,
– la globalizzazione a livello di ecosistema,
– la tecnologia (interconnessione, maggiori possibilità di informarsi e informare, di partecipare e di relazionarsi, percezione di un mondo sempre più ‘piccolo’),
– l’individuazione e l’identificazione, l’empowerment individuale, il farsi carico dei propri progetti e dei propri valori, in una società che responsabilizza maggiormente il singolo.

10 trend per capire

Individuazione e identificazione si esprimono attraverso alcuni (10) macro-trend sociali e di consumo particolarmente evidenti:
1.    empowerment, autonomia e informalità espressiva, corsa alle risorse, responsabilizzazione nella gestione e nelle scelte, disintermediazione dei consumi
2.    centralità delle emozioni e logica dell’impulso; apertura (quasi) incondizionata ai sentimenti e alle emozioni; legittimazione del gioco, della regressione e dell’evasione; valorizzazione delle esperienze sensoriali nella vita quotidiana e nel consumo; spettacolarizzazione del consumo, “shoptainment”
3.    cultura del piacere, ‘etica’ del divertimento (fun morality); centralità del benessere e attenzione al corpo; indulgenza e legittimazione del piacere; cura di sé e narcisismo, come modalità trasversale ai generi; relax e coolness come cifra espressiva
4.    emergenza della risorsa tempo (scarsità percepita); nuovo rapporto con la velocità (treadmill effect psicologico); desincronizzazione sociale (sfasatura dei tempi sociali e familiari); multitasking adattativo (uso simultaneo di strumenti tech); ricerca di nuovi equilibri e re-sincronismi
5.    consumo no frills, ma di qualità; “re-prioritizzazione della vita; passaggio dal possesso all’uso; downsizing e downshifting come approcci quotidiani; alleggerimento come simbolo di stile e filosofia di vita
6.    rivisitazione e celebrazione dell’appartenenza e della memoria quotidiana; riscoperta e riappropriazione di immagini del passato; recupero della tradizione e della sua iconografia; interesse al tema del retrofuturo (il futuro, visto dal passato); aggancio al mito e all’archetipo, interesse per le estetiche retrò
7.    ricerca e ancoraggio a paradigmi “autentici”; riscoperta del radicamento, revival delle tradizioni locali; attenzione al territorio, alle sue particolarità e ricchezze; attenzione alle forme di espressione “topiche”/”tipiche” (prodotti, dialetti, costumi); valorizzazione delle “piccole patrie” e delle appartenenze locali
8.    crescita di consapevolezza su temi/issues transnazionali; fusione globale culturale (internet, anglofonia ibridata); contaminazioni stilistiche ed espressive (musica, cibo, abbigliamento, ecc.); de-territorializzazione e mobilità geografica a raggio crescente; mix high-low price nei consumi
9.    ricerca di protagonismo e visibilità sociale; condivisione e desiderio di compartecipazione; confronto; relazionalità diffusa e reticolare
10.    sostenibilità come concetto multiforme (non solo ambientale, ma culturale, economica, ecc.); nuova consapevolezza ambientale (impronta ecologica); attenzione etica verso i consumi; interesse verso paradigmi di naturalità; nuova domanda di piacere ed estetica green

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