Il consumatore al centro? Macchè è egoriferito dice Il Censis

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Febbraio 2019. Recessione? Gli italiani lo sapevano già. Il 70,5% degli italiani è convinto che nei prossimi dodici mesi non potrà spendere di più per i consumi. Il dato è più alto nei territori con una maggiore capacità di spesa: il 75,9% al Nord-Ovest, il 69,4% al Nord-Est, il 67,3% al Centro e il 68,8% al Sud. È impari la lotta tra la ripresa dei consumi e l’incertezza del futuro. Il potere d’acquisto delle famiglie è basso e non è ancora tornato ai livelli pre-crisi: -6,3% nel 2017 rispetto al 2008. I consumi stentano: -2% nello stesso periodo. E i soldi restano fermi: la liquidità è aumentata del 17,1% nel periodo 2008-2018. Ecco il ritratto delle famiglie italiane al tempo del ritorno della recessione. È quanto emerge dalla ricerca «Miti dei consumi, consumo dei miti» realizzata dal Censis in collaborazione con Conad nell’ambito del progetto «Il nuovo immaginario collettivo degli italiani».

Italiani sempre più egocentrati

Il mistero dei consumi che non ripartono non può essere spiegato solo dai redditi stagnanti e dall’incertezza. «Se la società è incattivita e ostile, allora tanto vale pensare a me stesso e alla mia famiglia»: ecco la radice egoistica dell’egopower. E l’uso delle piattaforme digitali lo amplifica a dismisura: sono 9,7 milioni gli italiani «compulsivi» nell’uso dei social network (pubblicano di continuo post, foto, video per mostrare a tutti quello che fanno ed esprimere le loro idee), 12,4 milioni sono «pragmatici», cioè li usano per ampliare i propri circuiti relazionali, e 13,2 milioni sono «spettatori», nel senso che con regolarità leggono i post e guardano le foto degli altri, ma intervengono poco o per niente in prima persona. Il primato dell’egopower uccide i miti: il 90,8% degli italiani non ha modelli a cui ispirarsi e il 49% (il 53,3% tra i più giovani) è convinto che oggi chiunque possa diventare famoso. Ecco l’immaginario collettivo in cui tutti sono divi o possono diventarlo, e allora nessuno lo è più.

I consumi piegati all’egopower

L’orientamento oggi prevalente nei consumi è quello di comprare (ed eventualmente pagare anche un po’ di più) i prodotti che soggettivamente fanno stare bene, che consentono al consumatore di dire qualcosa di sé e che lo gratificano nella convinzione che tramite quei consumi agisce per rendere il mondo migliore. Ecco perché crescono prodotti come i «free from», ad esempio quelli senza lattosio (+8,5% in valore nel periodo gennaio-agosto 2017-2018 nei punti vendita Conad, di cui +94,3% i formaggi grana), i prodotti con farine benessere a base di cereali superfood (+3,1% nelle stesso periodo, di cui la pasta vegetale +30,2% e i biscotti +11,5%), gli integratori (+3,3%, di cui gli antiossidanti +19,5% e le vitamine e i minerali +12,3%). Sono i consumi dell’io che vuole bene a se stesso. Poi a tirare di più sono i prodotti biologici (+8% nello stesso periodo, di cui le bevande +23,8% e l’ortofrutta +17,2%) che, oltre a fare stare bene il consumatore, gli consentono di dire la sua sul mondo e lo gratificano nella convinzione che contribuisce a cambiarlo. E si registra il boom dei prodotti certificati: i vini Doc e Docg italiani biologici (+27,8% nello stesso periodo) e i vini Igp e Igt italiani biologici (+26,1%), ovvero prodotti iconici della fusione delle logiche «io mi voglio bene» e dell’italianità. Crescono, insomma, i consumi che migliorano la qualità della vita, che fanno raccontare noi stessi e il mondo, che ci convincono che grazie a quei prodotti lo miglioriamo. Se il consumatore attribuisce un alto valore soggettivo al prodotto, perché risponde a sue specifiche esigenze e valori, allora mette mano alla tasca e la spesa aumenta. La logica «compro di più di tutto» è tramontata, vince una rigorosa selezione dei prodotti, su cui eventualmente spendere anche di più.

La sfida a pubblicità e marketing

Per catturare mente, cuore e portafoglio del nuovo consumatore occorre inseguirlo nel suo tour tra i diversi canali di comunicazione. Nell’ultimo anno 23,7 milioni di persone hanno acquistato un prodotto o un servizio perché ne hanno visto o sentito la pubblicità su tv, radio, giornali o riviste, 18 milioni perché ne hanno visto o sentito la pubblicità sui social network, 7,7 milioni perché consigliati da un influencer su blog e social media, 6,8 milioni perché consigliati da una celebrity di cui si fidano. Però sono 17 milioni gli italiani che nel corso dell’ultimo anno non hanno acquistato prodotti perché hanno giudicato la pubblicità fuorviante. E quasi 37 milioni hanno comprato prodotti in totale autonomia, senza fidarsi di nessun suggerimento. Diffidenza e gelosa custodia della propria autonomia decisionale: ecco il sentiment del consumatore al tempo dell’egopower. Il nuovo consumatore è un mix di razionalità ed emozioni. E l’egopower lo rende diffidente persino verso esperti e competenza (il 25% dei giovani ne diffida) rendendolo a volte vulnerabile all’ospite inatteso e sgradito delle fake news.

«Le famiglie avevano previsto la recessione, per questo hanno continuato a tenere i soldi fermi e i consumi non sono ripartiti. Ma il mistero dei consumi non si spiega solo con le variabili economiche. Conta l’immaginario collettivo, in cui vince la potenza della soggettività. Si scelgono sempre più i prodotti in grado di migliorare la qualità quotidiana della vita e che incarnano l’idea che il consumatore ha di se stesso e del mondo, che vorrebbe poter migliorare», ha detto Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis.

«Con questo progetto vogliamo cercare di comprendere più a fondo gli stati d’animo e i sentimenti che influenzano gli stili di vita e le scelte di consumo degli italiani, e avviare una riflessione comune per cercare soluzioni condivise», sottolinea l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese. «La crisi che sta attraversando l’Italia non è più solo economica, ma anche sociale: la politica del rancore e dell’intolleranza ha incoraggiato la diffusione di un atteggiamento di chiusura e di ostilità in tutti gli strati della società. Ma una società che resta ripiegata su se stessa, intrappolata nella paura e diffidente verso tutto ciò che è altro, non può che decrescere. Compito delle imprese è remare in direzione opposta, dando spazio ai valori positivi attraverso una narrazione in cui emergono principi come condivisione e comunità. E adottando un modello di impresa improntato alla sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale ed economica».

«La sintonia con le trasformazioni è un’esigenza fondamentale per la Marca, che deve esprimere identità coerenti con le aspettative più attuali delle persone», dichiara Francesco Mutti, presidente di Centromarca. «Questo è un impegno costante per l’Industria di Marca, che non a caso rappresenta un punto di riferimento, un elemento di garanzia e rassicurazione, un’espressione di valori e di senso, un generatore di opportunità a fronte dell’attuale complessità sociale, politica ed economica. La priorità per le nostre imprese è di alimentare costantemente questo rapporto con scelte che confermino la vitalità di un sistema trasparente, responsabile e consapevole».

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