Agli italiani piace acquistare l’ortofrutta sfusa anziché confezionata

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Aprile 2019. Il 70,8% degli acquisti degli alto-acquirenti di frutta e verdura fresca è riconducibile a ortofrutta sfusa. Infatti, i responsabili del recente e lieve calo del comparto ortofrutticolo non confezionato (-5,5% 2018 vs. 2017) sono i 12 milioni di basso-acquirenti, che acquistano meno prodotti vegetali indipendentemente dal fatto che si tratti di prodotti confezionati o sfusi. I basso-acquirenti, diversamente, solo nel 39,9% dei casi acquistano frutta non confezionata.  È quanto emerge dalla nuova ricerca Nielsen sul comparto ortofrutticolo, che indaga le motivazioni e i comportamenti d’acquisto dei consumatori nei confronti dei prodotti sfusi rispetto a quelli preconfezionati (ortofrutta a peso variabile vs. a peso imposto).

I numeri del comparto alimentare nel corso del 2018 sono stabili rispetto al 2017, facendo registrare una variazione del +0,4% anno su anno a Totale Italia (Iper+Super+Liberi Servizi+Discount). A fronte dell’andamento del comparto fresco e nello specifico dell’ortofrutta, il cui giro d’affari equivale a più di 10 miliardi di euro (-0,7%, fonte: Nielsen Trade*MIS, totale negozio, 2018 vs. 2017), Nielsen ha indagato le abitudini di acquisto degli italiani, che oggi sono circa 24,2 milioni di famiglie, stabili rispetto all’anno scorso, in fatto di frutta e verdura, La spesa media annua per l’ortofrutta nella GDO per nucleo famigliare si aggira intorno ai 315 euro, ripartita in circa 60 atti d’acquisto nei 365 giorni.

Gli alto-acquirenti ortofrutta fresca, ovvero i consumatori che acquistano quantità sopra la media di prodotti nel comparto, sono famiglie medio grandi, adulti e vivono soprattutto al Nord e nel Centro Italia. Al contrario, i basso-acquirenti sono sovrallocati al Sud e sono soprattutto famiglie più giovani, o single. Entrambi hanno comunque una moderata disponibilità di reddito.

Una domanda importante alla quale la ricerca Nielsen risponde è quali siano le ragioni dietro la scelta di prodotti sfusi rispetto a prodotti confezionati, o viceversa. La preferibilità e l’abitudinarietà di uno o dell’altro acquisto sono tendenzialmente determinate dal riconoscimento di specifiche proprietà distintive, quali ad esempio la freschezza del prodotto sfuso, oppure l’igienicità e la comodità del prodotto confezionato. Data una percezione di tendenziale equivalenza a livello di qualità del prodotto, emerge che chi sceglie il peso variabile (lo sfuso) lo fa per risparmiare  e per avere un ridotto impatto ambientale, mentre chi sceglie il peso imposto cerca praticità e comodità (46% del campione). Per il 38% degli intervistati i prodotti confezionati sono igienicamente più sicuri.

Al contempo, si legge ancora nella ricerca di Nielsen, un italiano su quattro segnala di aver percepito un aumento dello spazio destinato all’ortofrutta confezionata all’interno dei punti vendita della GDO. Inoltre, il 64% del campione, più di un italiano su due, dichiara di trovare nel comparto ortofrutticolo già confezionato la crescente offerta di servizio (e.g. frutta e verdura confezionate e pronte per essere cucinate) e il 57% sostiene di trovare porzioni/formati che si avvicinano a tutte le diverse esigenze di formato (frutta e verdura porzionate, pronte da consumare).

Il sacchetto di bio plastica è un incentivo all’acquisto

La ricerca Nielsen affronta anche un altro tema “caldo”, ovvero l’impatto decreto del 3 agosto 2017, n. 123, nel quale all’articolo 9-bis è stato aggiunto il recepimento della direttiva 2015/0720/UE, che ha imposto dal 1° gennaio 2018 l’uso esclusivo di plastica biodegradabile per i sacchettini “ultraleggeri” e a pagamento con i quali si pesano e si prezzano i prodotti sfusi nei punti vendita della distribuzione moderna.

Dallo studio emerge che gli italiani sono a conoscenza della normativa (97% del campione intervistato) e del fatto che preveda il pagamento dei sacchetti (99%). Nello stesso tempo, tuttavia,  la normativa è percepita come obbligatoria e trasversale, senza un particolare impatto sull’immagine dell’insegna.

Il primo elemento di novità è che gli alto-acquirenti di ortofrutta mostrano maggiore condivisione della normativa che prevede l’introduzione di sacchetti in bioplastica, in quanto la considerano un incentivo a comportamenti ambientalmente virtuosi (il 14% in più rispetto alla media degli italiani). La percezione distorta che questi sacchetti rendano frutta e verdura più care invece riguarda soprattutto i basso-acquirenti del comparto (7% in più vs media italiani). Nessuno dei due gruppi di acquirenti (alto e basso) infatti, dichiara di aver cambiato le proprie abitudini di acquisto nell’ultimo anno. La lettura di questo dato è che in realtà l’introduzione dei biosacchetti a pagamento non abbia affatto compromesso l’andamento del comparto, bensì che i 12 milioni di basso-acquirenti di prodotti ortofrutticoli siano già da tempo più orientati al peso imposto per motivi di praticità e risparmio.

Nel contesto di un Paese che si dichiara virtuoso e attento alle tematiche di sostenibilità ambientale (il 92% delle volte la base di acquirenti di ortofrutta si impegna nella raccolta differenziata, il 90% delle volte porta borse da casa nei negozi della GDO per evitare di sprecare i sacchetti usa e getta, etc.), le motivazioni che spingono le famiglie ad acquistare i prodotti sfusi sono principalmente quelle di evitare sprechi (25%) rispettare l’ambiente (20%) e risparmiare sul costo del prodotto (18%)

Il messaggio chiave per i player del settore è quindi palesemente quello di lavorare sul miglioramento del servizio correlato al prodotto sfuso: dall’irrobustimento dei sacchetti bio (suggerita dal 69% del campione) alla diversificazione dei formati per permetterne il riciclo come sacchetti dei rifiuti organici (suggerita dal 64%), gli spunti non mancano. Il servizio è ancora una volta driver di crescita.

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