Aprile 2019. Oggi la quota di vendite online sul totale è pari al 9,2% e vale il triplo rispetto al 2013, un dato che comprende i pure player (negozi presenti esclusivamente online) e i canali internet dei negozi fisici. I ritmi di crescita del fatturato del fashion online (+11% nel 2017) fanno pensare che il settore nei prossimi anni sarà sempre più trainato da questo segmento di vendita, che in Paesi come Regno Unito e Germania vale ormai poco meno del 30% del mercato, mentre in Olanda (25%) continua a far registrare ritmi di crescita notevoli (+24% nel 2017).
In termini di quote di mercato, oltre alla crescita dei pure player (+0,5%) si registrano risultati positivi nei canali del monomarca (+0,6%) e delle grandi superfici (+0,4%), che dimostrano di essere i segmenti più dinamici. Non si arresta, invece, il calo dei negozi indipendenti e dei multimarca, finora i segmenti più esposti alla crisi del settore e ai cambiamenti delle abitudini di consumo degli italiani; i negozi indipendenti, infatti, hanno possibilità di sfruttamento minori del canale di vendita online.
Le nuove modalità di consumo degli italiani non si fermano però ad una semplice questione di preferenze nell’allocazione delle risorse disponibili: secondo un recente articolo pubblicato su Bloomberg, non a caso intitolato “The Death of Clothing”, la morte dell’abbigliamento, il calo di interesse suscitato da scarpe e vestiti è da associare ad alcuni fattori specifici, come l’estinzione del concetto di “guardaroba da lavoro”: colpa (o merito) dei giganti tech della Silicon Valley e della pratica ormai anche italiana del “Casual Friday”, che ha sdoganato jeans e sneakers in ufficio anche per le professioni che abitualmente richiedevano un abbigliamento più formale. Il completo da uomo è diventato sempre meno d’uso comune e le donne stanno iniziando a scegliere un outfit più rilassato sul luogo di lavoro, rinunciando a tailleur e tacchi d’ordinanza.