L’importanza di… uscire di casa. Alcune riflessioni sul retail e dintorni

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Aprile 2020. Il dibattito dicotomico sul commercio fisico e online, intavolato in seno alla comunità di settore dell’immobiliare commerciale – si è immediatamente rivelato molto interessante e fino a qualche mese fa anche frizzante. La recente emergenza sanitaria nazionale e mondiale, indotta dal rapido ed inesorabile diffondersi del COVID-19, tristemente noto come “coronavirus”, offre spunti di riflessione per una inattesa e ritrovata attualità. Certamente non si vuole qui offrire un’analisi oggettiva, in un contesto di così repentina mutevolezza, bensì raccontare un punto di vista con il solo fine di condividere una estemporanea riflessione.

Proseguendo l’emergenza sanitaria, si avvicina a grandi passi quello che apparirà come un’emergenza economica e sociale. Già ora l’emergenza sanitaria mondiale ha avuto l’effetto di allargare il suo nefasto raggio di influenza sull’economia e sulla società e, ove non si arrestasse, si arriverebbe appunto a parlare di emergenza anche in questi settori.

Ritorniamo al punto: ben prima del coronavirus, il retail “fisico” ha palesato difficoltà anche strutturali, riscontrabili in ritorni del capitale investito meno premianti rispetto ad altri settori, politiche di sviluppo delle catene commerciali meno aggressive, saturazione del mercato dovuta a grande presenza di strutture simili fra loro, alti costi di mantenimento delle strutture ed crescenti necessità di qualifiche per la gestione degli asset, elevato rischio commerciale anche dovuto a minore attrattività e difficoltà di fidelizzazione della clientela etc. Tutto ciò ha reso il settore del retail “fisico”, sotto varie forme esercitato, sempre meno appetibile rispetto ad altre asset class come, ad esempio, uffici o logistica.

Un ulteriore colpo, si diceva, è stato assestato dall’incedere del commercio elettronico che ha avuto certamente il merito di innescare riflessioni e ripensamenti da parte dei vari operatori di settore, che hanno reagito in diversi modi e con diversi risultati ma, di fatto, conclamando una tendenza incontrovertibile ovvero quella di spostare sempre maggiori quote di fatturato dal “fisico” all’”online”.

In questo scenario, uno shock come quello indotto dalla richiamata emergenza coronavirus, che ha causato limitazioni sulla libertà di movimento e di acquisto, ci ha indotto sempre più a rivolgerci a canali di commercio online per soddisfare diversi bisogni di beni e servizi. In queste settimane proliferano studi e rapporti per rappresentare una situazione che – statisticamente parlando è davvero poco rappresentabile, se non come linea tendenziale ma incerta nel quantum e nella durata. Certo è che la crescente tendenza ad utilizzare i canali di commercio online va vista primariamente come necessità e soltanto dopo come comodità – in quanto sempre più costretti in quarantena o autoisolamento. Tuttavia l’illusione di fondo è che l’azione umana per soddisfare tali bisogni con il commercio elettronico sia ascrivibile al solo “click” del mouse per effettuare un ordine, ignorando che dietro tale attività economica si celano una grande attività di logistica e imponenti attività di produzione e commercio e – quindi di relazioni umane ed economiche. Questa alterazione della percezione, a dire il vero, è ampiamente favorita della tecnologia e dai colpi ad effetto delle soluzioni implementate nel retail (gli esempi sono innumerevoli ma qui si tralasciano). Quindi tutto sembra possibile, compreso fare a meno dei punti vendita fisici, ma è davvero così?

La risposta, offerta con decisione, è: no. Tutto quello che non vediamo nel processo di acquisto – beninteso non solo di beni ma anche di determinati servizi, è frutto di un diverso modello di business non di magia. Ma ben più importante della risposta sono le sue implicazioni. Presto o tardi si tornerà ai “fondamentali” e ciò per una incontrovertibile legge non scritta ovvero, come scrisse Aristotele, che l’uomo è un animale sociale e risponde a questa sua natura, che mai come in questi giorni appare insopprimibile in tutti noi, costretti in casa. E questo bisogno di contatti, di socialità, di materialità è pienamente soddisfatto dal retail “fisico”. Certo, le abitudini di acquisto non saranno più le medesime precedenti al “boom” nell’utilizzo del commercio elettronico (sempre più anche nel grocery), il settore commerciale ed immobiliare avranno conseguenze difficili da quantificare nella misura e nella durata, si avranno perdite, molte aziende non ce la faranno, molte persone non ce la faranno. Ma se è vero quanto sopra, ci sarà una ripartenza del commercio tradizionale seppur con modelli di consumo ed abitudini diverse, ma ci sarà.

E allora se vogliamo trovare uno spunto positivo nell’attuale tragico momento della vita del Paese è quello che ci ha fatto riscoprire il bisogno di socialità, l’esigenza di frequentare posti affollati, il rapporto di amore-odio con i nostri simili. Pertanto va bene il mantra #iorestoacasa che in modo ossessionante riecheggia fra le mura domestiche, ma non si vede l’ora di sentirne un altro del tipo #iovadofuori. Questo è l’auspicio.

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