Il fuori casa potenziale nei centri commerciali vale 98 milioni di coperti
Maggio 2017. Dice Bruna Boroni, ricercatrice di TradeLab, per l’away form home, i consumi fuori casa che in 10 anni (dal 2005 al 2016) 8,5 mld di euro sono migrati dai consumi in casa a quelli fuori casa. La ricerca che RetailWatch è in grado di commentare è stata eseguita in occasione del convegno Dove va lo shopping, sponsorizzato da Canali&C e da CNCC.
Prima di approfondire questi dati e di due canali, i consumi in casa e quelli fuori casa, sono necessarie alcune premesse.
. I dati del consumo in casa sono raccolti, tramite la lettura del codice a barre, da Nielsen e IRi, GFK li raccoglie intervistando le persone, come molti altri istituti di ricerca. Sono dati consolidati anche se non tengono conto che i consumi alimentari si sviluppano anche in altri canali di vendita (come evidenziato da Retail Watch: panetterie, mercati all’ingrosso e al dettaglio, via via fino alle farmacie). Quindi il dato è parziale. Federdistribuzione dice che i consumi commercializzabili alimentari ammontano a 115 mld, quelli del fuori casa 137 mld. Li riportiamo per onestà intellettuale. Gli approfondimenti svolti da TradeLab hanno un valore in sé, al di la di altre fonti, perché mettono a confronto i canali stimando il totale.
. Nel fuori casa mancano dati ufficiali, nonostante molte siano le stime. A maggior ragione i dati di TradeLab hanno un valore in sé, non a caso sono venduti.
Il quadro italiano
Iniziamo allora il nostro resoconto partendo dal 2016.
Il mercato del fuori casa ha sempre registrato performance migliori di quelle del Paese e del PIL prodotto. La domanda di fuori casa è poco elastica al reddito disponibile.
Il confronto internazionale
Come riferito il fuori casa vale il 33% del mercato alimentare totale. Se raffrontiamo questa percentuale con l’incidenza in altri paesi si può dire che ci saranno in futuro altre sottrazioni del fuori casa ai consumi in casa. Infatti l’awayformhome (fuori casa) in Spagna vale il 50%, nel Regno Unito il 43%. Francia (26%) e Germania (27%) invece dove nella prima dominano gli ipermercati e nella seconda i discount hanno quote inferiori alle nostre. Forse la Spagna, come sistema alimentare, può insegnarci qualcosa nelle previsioni.
I bisogni di consumo nel fuori casa
Rispetto a quelli in casa i consumi fuori casa sono bisogni più complessi, meno basici e ripetitivi, qui si può parlare di Experience e di reale frammentazione delle offerte con decine e decine di segmentazioni e adattamenti. Oltreché alla esperienzialità i consumi fuori casa rispondono a bisogni come il benessere, la gratificazione, la socialità, l’heritage, i modelli di appartenenza, gli stili di vita e quant’altro. Come si vede la concorrenza non manca davvero.
La struttura dell’offerta
Senza contare il fatturato del vending (la distribuzione automatica) il fatturato del fuori casa scende a 75,5 mld. Il fuori casa, dice Bruna Boroni, ha circa 305.000 punti di consumo, il secondo mercato europeo dopo la Spagna. In dieci anni i punti di consumo sono cresciuti di 50.000 unità.
Il fuori casa nei centri commerciali
Secondo Bruna Boroni i consumi fuori casa nei centri commerciali rappresentano il 5% del fatturato complessivo dei centri commerciali e il 3% del fuori casa.
Come si vede la concentrazione nel consumo è accentuata. Il 75% dei visitatori dei CCI comunque consumano qualcosa. Secondo la ricerca di TradeLab il 13,3% non fa acquisti nella galleria ma consuma da mangiare e da bere. Ovviamente questi dati sono inficiati dall’offerta esterna, in particolare da quella del centro storico o da altre polarità commerciali come i factory outlet.
Interessante la dinamica dello scontrino medio, in euro.
Purtroppo non abbiamo a disposizione i dati di confronto con i consumi corrispettivi fuori casa e fuori dal centro commerciale. Durante la presentazione Bruna Boroni parlava troppo velocemente… Ce ne scusiamo.
Il 63% dei consumatori si dice soddisfatto del consumo nei centri commerciali, ma il 21% è insoddisfatto, e non è una percentuale bassa. Confusione e lunghi tempi di attesa, offerta non adeguata, mancanza di buon rapporto qualità-prezzo, alcuni dei motivi.
Le tipologie più frequentate dagli alto spendenti (quel 13,3% che ha dichiarato di recarsi nei CCI per consumare, non per comprare) sono, nell’ordine: pizzerie, trattori, ristoranti trendy, ristoranti gourmet, etnici, benessere.
Bruna Boroni stima che il fatturato sviluppato dagli alto spendenti assommi a 14,3 mld. I ricercatori hanno poi chiesto agli intervistati se la tipologia di ristorante che in genere frequenta, fosse presente nei CCI, se ci andrebbe, scoprendo dalle risposte affermative che questo nuovo mercato varrebbe 98 mio di pranzi o di cene.
Insomma nelle food court c’è ampio spazio di lavoro sia per numero di esercizi sia per nuove tipologie, a patto che la trasformazione avvenga veramente. Abbiamo detto potenziale, non reale…