Intelligenza Artificiale: opportunità e rischi nel mondo del lavoro

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L’Intelligenza Artificiale è e rimane un tema caldo. I rischi, nel mondo del lavoro, sono però diversi, dall’ “impigrirsi” della mente, alla possibilità di perdere originalità. Approfondiamo il tema con il supporto di una psicologa esperta.

L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale (AI) è in continuo aumento in tutti gli ambiti della vita ed in particolare nel contesto professionale.

Si tratta di una risorsa tecnologica di portata eccezionale. Basti pensare che, secondo un report, realizzato nel 2023 dalla Federazione Internazionale di Robotica (FRI), il numero dei robot industriali installati nel mondo ha subito un incremento di anno in anno pari al 31% circa.

Le aziende prediligono gli strumenti AI per velocizzare i processi relativi alla risoluzione di problemi e per il reperimento di informazioni utili a supportare le attività dei vari settori aziendali, sembrerebbe con ampia soddisfazione delle imprese e dei lavoratori.

Sull’area delle risorse umane, il riflesso di questa nuova tecnologia  risulta molto impattante almeno sulla produttività, ma a tutt’oggi non esistono studi accreditati che indichino se l’AI sia utile ad aumentare le competenze dei lavoratori o se vi sia il rischio di un’ accettazione passiva e dequalificante degli effetti di questa tecnologia, con una riduzione del livello di apprendimento sul lavoro.

Un interessante studio cinese condotto nel 2023 dalla Shandong University di Weihai e dalla Peking University di Shenzhen [1], propone un’ analisi approfondita ed empirica circa l’impatto dell’IA sui lavoratori che, se da un lato possono migliorare le loro condizioni di lavoro facilitando alcuni processi, dall’altro potrebbero subire l’effetto “sostitutivo” nel reperimento di informazioni e nella creazione di contenuti.

Tale meccanismo potrebbe provocare un effetto di dequalificazione e diminuzione del livello di apprendimento sul lavoro con la conseguente riduzione dell’incremento e miglioramento del know-how professionale.Se così fosse, il tema diventerebbe molto delicato.

Altro tema è la questione dell’autenticità dei contenuti prodotti dall’utilizzo dell’AI. Infatti, il rischio nel reperimento continuo e rapido di informazioni è quello di non riuscire a governarne la fase di verifica della validità dei dati.

Inoltre, al di là dell’originalità dei contenuti, non possiamo dimenticare gli aspetti legati al contributo che l’intelligenza umana apporta in modo “naturale” al problem solving, alla creatività, al pensiero critico, con tutte le conseguenti ricadute in termini di credibilità ed obiettività delle informazioni gestite.

La facilità nell’accesso a grandi quantità di informazioni, all’utilizzo di nozioni che possono essere aggregate dal sistema, senza che vi sia dietro il solo lavoro della mente umana e senza lo sforzo di sintesi, può generare lavori che peccano in originalità.

La creatività è poi un elemento fondamentale anche nella realizzazione di percorsi di problem solving, se la intendiamo come risultato di inventiva e di capacità di trovare alternative (per esempio il pensiero divergente) nella risoluzione di problemi, così come è strettamente collegata ai concetti di fantasia ed immaginazione, capacità tutte assolutamente umane.

Creare con la mente percorsi alternativi, spaziando per molteplici possibilità risolutive, viaggiando per prove e tentativi, costruendo percorsi creativi nella formulazione di ipotesi è una attività di cui la mente umana ha bisogno per prosperare.

Sigmund Freud, padre della Psicanalisi, definiva la creatività come esperienza strettamente connessa alla dimensione inconscia dell’essere umano, attività psichica collegata ai sentimenti ed agli affetti e pertanto unica, assolutamente originale in ogni individuo [2] e pertanto irriproducibile.

Risolvere problemi senza soluzioni precostituite, richiede anche capacità critica, valutazione, utilizzo delle esperienze pregresse.

L’intuizione (insight che in psicologia cognitiva significa anche saper guardare in sé stessi [3]) richiede proprio la capacità di collegare elementi tra loro e riconoscerne i rapporti e le reciproche possibili influenze, significa immaginare.

E se per produrre un elaborato chiediamo all’AI di reperire, aggregare, sintetizzare concetti al posto nostro, stiamo rischiando di chiedere al nostro device di immaginare per produrre spesso e volentieri manufatti intellettuali poco originali, scevri di quella tensione emotiva che mettiamo in campo quando, invece, chiediamo al nostro pensiero di produrre idee sempre nuove.

L’AI può essere estremamente utile per ottimizzare e velocizzare l’accesso alle informazioni, ma non deve impigrire chi la utilizza, bloccandone senso critico e creatività. Smettere di essere originali, infatti, significa diventare meno capaci di trovare soluzioni in modo autonomo, delegando in definitiva all’esterno (in questo caso ad un software) attività che caratterizzano l’essere umano e che permettono al cervello di funzionare appieno.

Articolo realizzato grazie alla collaborazione della dott.ssa Donatella Orsini, psicologa con esperienza pluriennale nella gestione delle risorse umane.

Bibliografia

[1] : Li, C.; Zhang, Y.; Niu, X.; Chen, F.; Zhou, H. Does Artificial Intelligence Promote or Inhibit On-the-Job Learning? Human Reactions to AI at Work. Systems 2023, 11, 114. https://doi.org/ 10.3390/systems11030114.

[2] Freud,S., Lezione XXII, p. 365

[3] Kohler, W. (1917), Intelligenzprϋfungen an Anthropoiden (tr. It. L’intelligenza delle scimmie Antropoidi, Giunti, Firenze, 2009).

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