Il Retail e l’imprenditoria giovanile. Un connubio anti-crisi perfetto.

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La situazione demografica e, soprattutto, delle imprese giovanili in Italia (nel Mezzogiorno in particolare), secondo Confcommercio, è tragica. Vediamo come il Retail alimentare può giocare un ruolo fondamentale per invertire un trend marcatamente negativo.

Nell’ambito del XV Forum nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio è stata presentata un’analisi con dati impietosi per quanto concerne l’imprenditoria giovanile.

In quarant’anni nel nostro Paese ci sono circa dieci milioni di giovani in meno (da 32,3 milioni del 1982 a 22,8 milioni del 2023), mentre è quasi raddoppiata la quota di ultrasessantacinquenni (da 7,5 milioni del 1982 a 14,2 milioni del 2023). Non c’è, dunque, immissione di nuove forze nel complesso della popolazione.

L’imprenditoria giovanile viene, nei fatti, schiacciata da elementi tipici di un Paese in declino. Il debito pubblico passa, nello stesso spettro temporale, dal 61.2% del PIL al 134.6% e ciò si riflette sulla possibilità dello Stato, gravato da forti spese per interessi, di investire sul futuro delle proprie imprese.

Anche la pressione fiscale passa dal 31.8% al 41.5%, in un ciclo che ricorda molto il proverbiale “cane che si morde la coda“.

Calo demografico=meno entrate=più tasse=impoverimento della popolazione=meno figli=ripeti

Guardando alle macro aree del Paese e focalizzando l’attenzione sul periodo 2011-2023 vediamo che questi fenomeni si sono concentrati ed esasperati. La perdita di popolazione italiana è tutta registrata al Sud (-1 milione di abitanti) che perde abitanti anche a causa dell’emigrazione verso Nord e all’estero, mentre non attrae stranieri. Più della metà della perdita di giovani è nel Mezzogiorno (ben 1,9 milioni su un totale di 3,7 milioni). Peggiori condizioni economiche comprimono, infatti, la demografia e senza demografia non c’è crescita.

In Italia in dodici anni (2011-2023) abbiamo perso 180mila imprese giovani, guidate da imprenditori under 35, di cui più del 40% nel Mezzogiorno (oltre 78mila). Questa perdita, peraltro, è solo in minima parte attribuibile alla transizione demografica.

Infatti, se in un dodicennio, da un lato, la popolazione complessiva è scesa dell’1,9% e quella della fascia tra i 25-39 anni del 19,9%, dall’altro, il totale delle imprese è diminuito del 3,4% e quelle giovani di ben il 28,6%. E, in particolare, tra il 2011 e il 2023 il tasso di imprenditoria giovanile, cioè la quota di imprese giovani sul totale delle imprese, si è ridotto di ben 3,1 punti percentuali, passando dall’11,9% all’8,8%. Con una quota di imprese giovani pari a quella del 2011 oggi avremmo tra i 47 e i 63 miliardi di euro in più di Pil. La quota di imprenditori giovani sul totale delle imprese ha, infatti, un impatto positivo e statisticamente significativo sulla crescita economica, a parità di altre condizioni: i risultati delle elaborazioni Confcommercio indicano, infatti, che al crescere dell’1% assoluto della quota di imprese giovani la crescita ottenuta risulterebbe compresa tra lo 0,9% e l’1,2% in media per ciascuna provincia.

Il declino, dunque, può essere contrastato solo incrementando il tasso di imprenditoria giovanile soprattutto nel terziario che negli ultimi trent’anni è il settore che ha generato crescita economica e l’occupazione (+3,5 milioni di occupati standard a tempo pieno dal 1995 al 2023 rispetto a meno di un milione negli altri comparti).

Il ruolo del Retail nel salvataggio del Mezzogiorno

Il Retail alimentare ha delle caratteristiche invoglianti per la creazione di valore nelle regioni meridionali, riassumiamole di seguito:

  • Occupazione. Si tratta di un settore che, nonostante gli avanzamenti tecnologici, continua a richiedere personale ad ogni nuova apertura di store.
  • Formazione. Il Retail alimentare forma costantemente figure professionali specializzate nei mestieri del fresco che, sviluppando competenze, aumentano anche il proprio livello retributivo.
  • Sviluppo. Nel meridione, in particolare, abbiamo assistito allo sviluppo di modelli consortili della Distribuzione Organizzata che consentono ai singoli imprenditori di avere alle spalle un partner che, oltre a fornire un marchio riconosciuto, condizioni di acquisto agevolate ed un marketing integrato, ha le competenze utili per accompagnare i giovani in un percorso formativo costante.
  • Vendite. A differenze di settori per i quali la concorrenza estera si è fatta sempre più difficile da combattere, il Retail alimentare rimane ancora appannaggio di aziende che sanno interpretare il territorio, conferendone i frutti anche agli imprenditori locali.
  • Filiera. Lo sviluppo del Retail alimentare consente di prosperare a tutte le imprese nostrane che forniscono prodotti e servizi ai commercianti, creando dunque un sistema virtuoso all’interno del quale il valore viene distribuito con successo.

È compito dei grandi retailers del Sud, operino essi con un modello consortile o in affiliazione, quello di incentivare in ogni modo l’imprenditoria giovanile, anche attraverso piani di finanziamento studiati ad hoc, magari in partnership con importanti istituzioni finanziarie del territorio.

In mancanza di ciò (come di altri elementi), i trend di spopolamento ed impoverimento in atto non potranno che continuare, causando in ultima ratio una regressione nel fatturato dei gruppi retail meridionali. Se è vero che, in una prima fase, una diminuzione del potere di acquisto può spostare fatturati dai consumi fuori casi a quelli dentro le mura domestiche (leggasi: meno soldi per i ristoranti e più per il retail), arriva un punto in cui la diminuzione generalizzata degli abitanti, conseguenza delle scarse condizioni economiche, si trasforma in crisi per tutti.

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