I centri commerciali alla ricerca dell’impatto sociale e di Michael Porter
Marzo 2017. Il CNCC, l’associazione dei centri commerciali, ha promosso un convegno sull’impatto sociale dei suoi impianti. E ha fatto benone. Il tema soprattutto per chi è molto visibile è un tema rilevante a 360°, a filiera verrebbe da dire. Dalla politica, alle amministrazioni pubbliche, agli investitori, ai gerenti, ai tenant, ai cittadini.
Cosa che non hanno capito in molti è che la social responsibility (CSR) può essere tranquillamente messa al centro del bilancio economico. Mancano purtuttavia in Italia casi concreti che possano far intravvedere una strada, larga e aperta, per dimostrare che anche i centri commerciali la stanno imboccando. I casi che vengono mostrati, ahimè, sono quasi sempre al limite della promozione commerciale, fatti sporadici, non strutturati nei calendari dei gerenti, ma occasioni per dire che anche i centri commerciali qualcosa fanno.
L’impatto della industry
Eppure una industry di 1.000 impianti, con 1,8 mld di visite l’anno, 51 mld di fatturato (ai quali va aggiunta l’iva), non rappresenta solo delle macchine per vendere, ma dovrebbe rappresentare una parte consistente della società civile, che ha a cuore, appunto, i temi della sostenibilità sociale. Dei centri commerciali dove effettivamente tutti i target della popolazione siano i benvenuti, giovani e anziani, ricchi e poveri, isole felici e sicure, si, ci mancherebbe altro, ma con una visione aperta si nei nuovi impianti sia in quelli datati, che sono il vero problema di questa industry.
Bene, allora, ha fatto Francesco Sordi, responsabile marketing e responsabilità sociale di IGD, a richiamare i suoi colleghi, su questo tema, partendo dall’economista Michael Porter e la sua tesi sui vantaggi competitivi, perché essere realmente parte della società può portare significativi vantaggi in termini economici, finanziari e di marketing, a patto che al centro ci sia il cittadino-visitatore, nessuno escluso. Il vantaggio competitivo, poi, per essere tale, deve essere effettivamente condiviso da tutta filiera che abbiamo descritto sopra, altrimenti è qualcosa d’altro, non di certo la CSR che si invoca. E cioè: è necessario fare attività sociale integrata al business e non disgiunta. L’approccio di relazione con tutti gli stake holder, necessita di capire in profondità i mutamenti sociali in atto e soprattutto quelli futuri.
La volontà e la prudenza di Renato Cavalli
L’organizzatore della giornata, Renato Cavalli, vice presidente di CNCC, e delegato alla questione, è apparso consapevole, ma un po’ timido e poco deciso, a spiegare di allontanare i casi promozionali da quelli effettivi della CSR. Ma siccome è un galantuomo e un esperto dei temi, si sarà segnato in agenda nuovi punti da sciogliere e rilanciare nella comunità del business dei centri commerciali, al di là della diatriba perniciosa sui non luoghi e di Marc Augé, che, ai clienti dei centri, poco interessa.
In buona sintesi: adattiamo la teoria del Porter e facciamola fruttare, in termini sociali e economici.