Come cambia il merchandising tradizionale con la shelf scarcity
Marzo 2017. E’ opinione comune sia tra gli accademici che tra gli addetti ai lavori come nel “merchandising” debbano risiedere le leve d’azione necessarie a valorizzare i prodotti, incrementandone vendite e rotazioni ed a orientare le scelte dei consumatori sul punto di vendita.
In sintesi estrema, ogni operazione di merchandising dovrebbe condurre ad un assetto dei banchi espositivi dominato da tre aspetti ben precisi, tutti curiosamente caratterizzati dalla lettera “P”: Pienezza, Pulizia, Presenza del Prezzo.
A ragione infatti, la pienezza (reale o semplicemente fatta percepire a seguito di astuti adattamenti estetici) desumibile dal migliore stato di rifornimento, la pulizia insita in spazi integri, ordinati e chiaramente leggibili, nonché la presenza del prezzo che comunica coerentemente il costo degli articoli sono da ritenere fattori indispensabili per esprimere degnamente le potenzialità del punto vendita.
Tutte cose alla cui base, ovviamente, è predisposta un’organizzazione operativa, tutte cose inculcate nei profili manageriali da teorie giustamente condivisibili.
RETAILWATCH, nel corso di questo approfondimento tecnico, non obietta quanto consolidato nel tempo attraverso faticose esperienze di vendita a coronamento di rassicuranti capisaldi, tuttavia punta a dare un onesto risalto a indagini scientifiche meritevoli di considerazione e riflessione, nella logica costruttiva di una diversa interpretazione del merchandising.
Il contenuto oggetto dell’approfondimento è uno studio sulla “Shelf Scarcity”, condotto da Daniele Porcheddu, Associato di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università degli Studi di Sassari.
Tali Parker, Lehmann, Van Herpen avevano in precedenza studiato i nessi tra la rarefazione delle referenze a scaffale e le preferenze di consumo, rilevando come i clienti tendessero a preferire gli articoli in display caratterizzati da maggiore “scarsità relativa”, ossia quei prodotti relativamente meno numerosi.
Il fenomeno era stato ricondotto a quanto teorizzato dalla BANDWAGON EFFECT THEORY (Corneo, Jeanne (1997)) dove è postulato che le persone si lasciano guidare dalle manifeste preferenze di consumo di altri clienti, osservabili, nel contesto specifico, da tracce di vuoto di prodotti a scaffale.
La conseguenza di certe conferme indurrebbe a “sacrifici deliberati” di porzioni di esposizione allo scopo di aumentare le probabilità di prelevamento ed acquisto da parte dei clienti, col rischio però di assecondare situazioni selvagge che, se incontrollate, sconfinerebbero pericolosamente nell’impoverimento della qualità formale dei lineari.
In pratica, paradossalmente, si proverebbe a vendere di più esponendo di meno!
Sembra impraticabile, nei fatti, ciononostante i riscontri esistono, hanno base sperimentale e pertanto non sono serenamente trascurabili.
E’ risultato come i soggetti tendano sistematicamente a percepire come più rarefatti gli elementi sui ripiani degli espositori alla propria sinistra, lungo il senso di percorrenza in corsia, indipendentemente dal fatto che ciò sia realmente vero. Specularmente, i set di prodotti collocati nei display alla destra dell’osservatore devono fronteggiare la tendenza dei soggetti a “sottostimare” il grado di rarefazione relativa.
La rarefazione a scaffale alla sinistra non presenta lo stesso “peso percettivo” di quella a destra di un ipotetico osservatore.
Porcheddu, in collaborazione con Baingio Pinna (Ordinario di Psicologia Generale), ha sperimentato la possibilità di utilizzare informazioni aggiuntive sulla spalliera dei display, che evocano forme poligonali, ai fini di favorire la maggiore percezione della “rarità relativa” e di conseguenza l’incremento delle potenzialità di vendita dei prodotti.
RETAILWATCH considera utile mettere in risalto quanto emerso dallo studio.
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