Key Performance Indicators: ci ragioniamo?

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Key Performance Indicators: ci ragioniamo?

Novembre 2015. Le prestazioni non possono essere osservate e valutate soltanto su base economico-finanziaria, ci si perderebbe. Infatti la parte più utile e importante è la dimensione strategica che attiene ai campi dell’efficienza, della qualità del servizio e della soddisfazione del cliente.

Certe criticità sfuggono alla contabilità, ma richiedono interventi tempestivi da definire dopo misurazioni puntuali e sistematiche.

In soccorso arrivano i KPI che, forse per sembrare rimedi davvero efficaci, sono citati addirittura come acronimo di termini britannici.

Nella traduzione comune significano: “indicatori chiave di prestazione”.

Potremmo osare disputare sul senso di praticità, modernità e professionalità espresso dalla sintesi estrema di parole inglesi al confronto di un lungo, italiano, noioso ed enigmatico “indicatori chiave di prestazione” ?

Beh, non proviamoci nemmeno…

Vogliamo sottolineare invece perché in realtà questi KPI avrebbero utilità nel garantire l’esercizio effettivo di un metodo virtuoso nella misurazione degli andamenti di parti dell’azienda (pdv, settore, reparto).

Si tratta in fondo di semplici informazioni… ma hanno la peculiarità di essere:

CRITICHE;
SINTETICHE;
SIGNIFICATIVE;
PRIORITARIE.
 
“Critiche” perché fungono da base per le scelte del management;

“sintetiche” perché traducono rapidamente e brevemente variabili semplici o composte (fatturato, vendite per addetto impiegato, vendite per numero di ore lavorate, vendite per metro quadro di spazio espositivo, vendite per metro quadro di spazio generale, e così via…);

“significative” perché danno significato ai fenomeni che tendono a rappresentare;

“prioritarie” perché per ogni livello strategico, direzionale oppure operativo si rivelano irrinunciabili ai sani cicli di pianificazione e controllo.
 
In definitiva, avvalendosi dei KPI si dispone di un “metodo” e lo si usa per misurare i fenomeni aziendali nel tempo e nello spazio, ma soprattutto per definire obiettivi e controllarne il perseguimento, attraverso la comparazione periodica degli scostamenti;

il metodo serve a interpretare più agevolmente quel giudice equo ed imparziale che è il “numero”, consente inoltre di intraprendere per tempo le azioni che si reputano necessarie alle correzioni.

Dovrebbe essere chiaro: la pura analisi contabile risulta meno completa e più oscura.

Abbandonarla, anche se solo parzialmente e procedere con decisione verso la fiducia nei KPI significa scegliere di evolversi verso dimensioni moderne e organizzate, investire nell’equipaggiamento informatico, nella formazione e nella competenza degli interpreti.

Significa anche costi, fatica, oneri per reindirizzarsi a carattere mentale.
 
Ma cosa misurano con esattezza, cosa c’è bisogno di monitorare in modo organizzato e sistematico ?

EFFICIENZA (produttività e costi unitari);

LIVELLO DI SERVIZIO (tempi di risposta alle richieste del cliente);

QUALITA’ DEI PROCESSI (conformità degli “output” alle attese).
 
A cosa sono finalizzati ?
Aumento della redditività;
Aumento dell’efficienza operativa;
Comprensione delle esigenze dei clienti;
Aumento della soddisfazione dei clienti (come effetto che scaturisce dal punto 3);
Aumento del numero di clienti (come effetto che scaturisce dai punti 3 e 4);
 
L’esempio che segue, offerto da Retail Watch e riferibile al punto 2 sopracitato, chiama in causa la produttività oraria giornaliera per addetto con cui un pdv ambisce a lavorare per mantenere il proprio business sostenibile, in base ai livelli di vendite che riesce a totalizzare, senza generare disservizio e senza esuberi di spesa.

In questo caso gli indicatori chiave di prestazione richiedono di calibrare il volume delle ore giornaliere lavorate all’interno di un “range” che non superi il “parametro 105” e non scenda al di sotto del “parametro 95”.

Si è scelto “95” come minimo al di sotto del quale si recupererebbe oltremodo redditività, ma col pericoloso sacrificio di seminare disservizio nella clientela e nella tenuta della vendita.

Si è scelto “105” come massimo al di sopra del quale ci sarebbe spreco di ore in rapporto all’operatività reale.

Evidentemente il monte orario giornaliero ideale sta in mezzo (“100”).
 
A puro titolo esemplificativo, quindi…

se il pdv, settore o reparto incassa €25.000 al giorno, secondo questo modello metodologico, dovrebbe avvalersi di un monte orario complessivo variabile tra 238.10 e 263.16. Il numero di “teste intere” (dipendenti effettivi in organico, con contratto di lavoro part time e/o full time) che partecipa ai due valori di riferimento tenderebbe ad essere adattato al caso.
 

VENDITE (€) “IND. 95”
Ore max. giorn.
“IND. 100”
Ore giorn. ideali
“IND. 105”
Ore  min. giorn.
       
4000 42,11 40 38,10
5000 52,63 50 47,62
6000 63,16 60 57,14
7000 73,68 70 66,67
8000 84,21 80 76,19
9000 94,74 90 85,71
10000 105,26 100 95,24
11000 115,79 110 104,76
12000 126,32 120 114,29
13000 136,84 130 123,81
14000 147,37 140 133,33
15000 157,89 150 142,86
16000 168,42 160 152,38
17000 178,95 170 161,90
18000 189,47 180 171,43
19000 200,00 190 180,95
20000 210,53 200 190,48
21000 221,05 210 200,00
22000 231,58 220 209,52
23000 242,11 230 219,05
24000 252,63 240 228,57
25000 263,16 250 238,10
26000 273,68 260 247,62
27000 284,21 270 257,14
28000 294,74 280 266,67
29000 305,26 290 276,19
30000 315,79 300 285,71
31000 326,32 310 295,24
32000 336,84 320 304,76
33000 347,37 330 314,29
34000 357,89 340 323,81
35000 368,42 350 333,33
36000 378,95 360 342,86
37000 389,47 370 352,38
38000 400,00 380 361,90
39000 410,53 390 371,43
40000 421,05 400 380,95
 
In definitiva, nel caso in esame, procedendo con 250 ore al giorno si è coerenti con la propria operatività; se invece si agisce con 290 ore si spende troppo in rapporto a quanto si incassa (indice a “86.21”), se si lavora con 190 ore (indice a “131.58”) si guadagna troppo, deragliando nell’abuso e rischiando di mettere seriamente a repentaglio la qualità del servizio e dell’assetto complessivo.
 
 
 

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