La crescita è il piano A. Il piano B non esiste
Ottobre 2015. Abbiamo bisogno di sentire parlare di crescita? Certamente si. Crescita come cambiamento continuo e, auspicabile, miglioramento.
Potrebbe essere questo, a giudizio di RetailWatch, il riassunto finale del Festival della Crescita, organizzato da FutureConceptLab a Milano. Un riassunto difficilissimo da redigere (ma ci tentiamo lo stesso) dopo una quattro giorni di convivi e dialoghi nei quali si sono succeduti imprenditori, ricercatori, filosofi, demografi, politici, giornalisti per cercare di dipanare la tela della crescita e renderla felice (contrapposta alla decrescita felice, citata poche volte, ma sempre dietro le quinte, in quanto di matrice eguale ma di conclusioni diverse).
Il problema è verificare l’assioma cambiamento uguale a crescita, perché alcune volte non funziona, a volte produrre significa ancora produttivismo fine a sé stesso dove prevale la quantità e non la qualità. Infatti c’è troppa finanza nell’economia, che si riversa nel linguaggio, negli atteggiamenti, nella mentalità della società e produce crescita distonica fatta di troppe differenze. Ma se è vero che è la soggettività che fa la differenza, e lo si è visto in molte case history, allora siamo sulla buona strada, perché la crescita è pensare che il futuro sia migliore dell’oggi. Nonostante stiamo uscendo dalla crisi, però, ma non c’è ancora il sentiero, il percorso della crescita, chiaro e visibile. Il soggettivismo, nel cambiamento come nella crescita, non può bastare perché stiamo giocando in squadra e la differenza la fa l’allenatore e il suo pensiero lungo, di strategia e poco di tattica.
Comunque la frase più bella sentita: “La crescita non è la fine ma il mezzo. La felicità è il fine e si costruisce poco per volta, proprio perché è la soggettività che fa la differenza”. Quella più drastica e pervasiva: “Crescere è il piano A. Il piano B non esiste”.