Pomodoro da insalata dalla Polonia?
Settembre 2015. L’attenzione della business community sui prodotti e l’etichettatura è arrivata al suo apice con l’annuncio della re-introduzione dell’obbligo di evidenziare in etichetta lo stabilimento di produzione. Una battaglia che sembrava difficile ma che è stata vinta con un asse inedito fra alcuni distributori, alcuni produttori e alcuni ministri del nostro governo. Inutile elencarli tutti, chi volesse leggere i nomi degli autori di una siffatta Unione, legga la pagina pubblicitaria di U2-Unes/Finiper fatta su alcuni quotidiani.
L’attenzione sulla indicazione di provenienza dei prodotti è sempre alta e dovrebbe interessare sia la business community sia le organizzazioni dei consumatori soprattutto di alcune categorie di prodotto, come il pomodoro, dove l’Italia eccelle in qualità e quantità.
La fotografia di questo articolo non è di RetailWatch ma di Dario Di Vico, opinionista del Corriere della Sera, che si chiede nel twittarla, come non l’avesse mai notata prima d’ora: un pomodoro da insalata proveniente dalla Polonia. Francamente non l’avevamo visto neppure noi.
Tutti sappiamo che per garantire gli assortimenti e le scale prezzi la gdo deve fare ricorso a un numero elevato di produttori, nazionali e internazionali. Ma anche di pomodori freschi? Dalla Polonia, poi? La domanda è imbarazzante e la foto è stata ripresa in un Carrefour, ma poteva essere stata fatta in tantissime altre insegne della gdo.
C’è proprio bisogno di fare ricorso alla Polonia, che non ha giornate di sole eguali all’Italia per mettere sui lineari un pomodoro fresco? Quanto è costato trasportarlo dal nord Europa fino ai lineari di vendita di Carrefour? Il prezzo è davvero competitivo rispetto a un pomodoro di eguale caratteristiche, ma italiano? Insomma: era proprio necessario importarlo quando l’Italia abbonda di questi prodotti? E l’impronta di sostenibilità?
Forse è il caso che tutta la business community rilanci una campagna di attenzione verso i prodotti italiani, freschi e non, indicando in modo evidente che sono prodotti italiani, facendosi paladina dei prodotti italiani, comunicando che certi prodotti è giusto che vengano prima dall’Italia. Non è vero?
Proviamo a fare un ragionamento su questa materia, dopo la re-introduzione dell’indicazione di stabilimento in etichetta? I retailer provino a sentirsi italiani per primi favorendo almeno fin che si può nelle quantità i prodotti italiani. Forse i consumatori e i clienti, saranno più fedeli al posizionamento del “prodotto in Italia” e i consumi e il reddito nazionale ringrazieranno.
Proviamoci.