Tirelli: imparare da Estonia e Latvia
Febbraio 2015. Di euforia in euforia il personaggio del giorno, dopo Draghi, è il giovane Alexis Tsipras, il nuovo Houdini che promette di far scappare la Grecia dalle catene e dalla gabbia in cui l’hanno rinchiusa la Troika, gli euroburocrati e la “finanza”. Il suo progetto, però, è talmente risibile che generalmente non supera la semplice domanda che rivolgo ai miei interlocutori (e a lei che legge): “Sarebbe disposto a investire tutti i SUOI risparmi nei titoli di stato greci emessi in questo nuovo corso?”. Se risponde NO, le conclusioni sono tratte. La semplice ineludibile premessa per uno stato con un debito insolvibile e un rating S&P di B tendente al CCC+, è: “come ottenere un’ingente, continua massa di denaro fresco da reinvestire in spesa corrente e opere pubbliche per tacitare il popolo esasperato?”.
De Gasperi e il piano Marshall
Alcide De Gasperi, nel 1946, affrontò un’analoga e ben peggiore situazione, in modo diverso: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: … questo trattato è, nei confronti dell’Italia, estremamente duro; ma se esso tuttavia fosse almeno uno strumento ricostruttivo di cooperazione internazionale, il sacrificio nostro avrebbe un compenso. … è in questo quadro di una pace generale e stabile, Signori Delegati, che vi chiedo di dare respiro e credito alla Repubblica d’Italia: un popolo lavoratore di 47 milioni è pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano.” Ed ottenne così il Piano Marshall e tutto quel che seguì.
Non perdiamo dunque tempo con le macchiette e parliamo di altri giovani come Taavi Rõivas, il 35-enne primo ministro dell’Estonia, sconosciuto ai nostri ignorantissimi opinion makers che hanno invaso la TV. L’Estonia, ammaestrata da 50 anni di comunismo, ha liberalizzato tutta l’economia tranne porti e impianti energetici. Il sistema bancario è totalmente aperto agli investimenti esteri. La costituzione impose un bilancio statale equilibrato e, dal 2003 al 2007, esso è stato addirittura in surplus sino al 2%. Allo stesso tempo il debito pubblico non superò il 7% del PIL. L’Estonia scelse poi di imporre un’unica tassa piatta sul reddito del 21% e sui profitti aziendali distribuiti, esentando quelli reinvestiti nella produzione. Le imprese versano il 33% del salario lordo dei loro dipendenti per la sicurezza sociale.
Ciò nonostante, l’Estonia, naturalmente, venne anch’essa colpita duramente dallo scoppio della bolla speculativa del 2008 e il suo PIL precipitò del 4 e poi del 14% nel 2009. La disoccupazione balzò dal 4 al 16%. Il governo cedette momentaneamente e produsse un deficit per due anni, ma nel 2010 tornò al pareggio di bilancio e poi a un piccolo surplus. Nel frattempo, prima di entrare nell’euro, nel 2011, mantenne uno stretto controllo sulla sua offerta di moneta e l’economia non subì traumi. In conclusione, contrariamente a dispetto delle teorie economiche insegnate nelle università, la disoccupazione negli ultimi anni è diminuita sino all’attuale 6% e il PIL è tornato a crescere tra il 2 e il 4%, al pari dei salari reali. Oggi in Estonia, ci sono 6 università pubbliche e 5 private. Allo stesso tempo le strutture sanitarie sembrano molto efficienti, tant’è che il costo delle cure mediche è del 50-70% inferiore ad altre nazioni europee e il turismo sanitario dall’estero è fiorente. Insomma: tenere i conti in ordine, tassare il minimo possibile e spendere oculatamente il denaro raccolto senza ricorrere all’inflazione, paga!
Latvia e il taglio della spesa pubblica
LATVIA: (a proposito dove si trova? A nord, a sud o in mezzo a Estonia e Lituania?) fu guidata dal 2009, dal 38enne Valdis Dombrovskis. Nel pieno della recessione egli, come programma, annunciò un drastico taglio della spesa pubblica. Standard & Poor's ridusse il suo rating a BB+/B, ovvero” non investite sui titoli estoni perché sono quasi spazzatura!”.
Paul Krugman, “grande mente” del pensiero economico profetizzò sul New York Times: “Latvia è una nuova Argentina, solo un po’ più stupida”. Per inciso Krugman è quel Premio Nobel che auspicava un’ipotetica psicosi da invasione di alieni per costruire rifugi e strutture difensive (ovviamente inutili) allo scopo di stimolare la depressa economia americana (Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=nhMAV9VLvHA). Certamente la Latvia guidata dal giovane Dombrovskis, nel 2009, vide esplodere la disoccupazione sino al 18%, ma dopo 2 anni di deficit pubblico e di un debito cresciuto dall’8% del PIL al 20%, (per l’ostinato rifiuto di aumentare le tasse), riportò il bilancio in pareggio e anche in attivo; la disoccupazione cominciò a scendere sino all’attuale 9% con prospettive reali di ulteriore riduzione tendenziale. Latvia è una nazione che adottò l’euro solo il 1 gennaio 2014 e dove le aziende pagano il 15% secco di imposte e le persone il 24-25%. Dal 2011 il suo PIL è aumentato del 4% annuo.
Morale della storia: non ci sono solo i “giovanotti latini”, nuovi fenomeni della nuova “geo-polit-economia” per i quali entusiasmarsi. I “giovanotti baltici”, un po’ grigi, sicuramente meno logorroici, psicologicamente poco aggressivi, guidano i loro freddi paesi verso la prosperità e sono un esempio molto più convincente da studiare (per chi ne ha la voglia).