Tirelli: i prezzi non rappresentano la qualità
Novembre 2014. I prezzi non rappresentano la qualità. È la conclusione che si ricava osservando il grafico accluso. All’aumentare del prezzo l’indicatore primo della qualità della frutta venduta in tante insegne di super e ipermercati, non aumenta, ma si distribuisce casualmente. Al di là di tante chiacchiere, questi numeri rivelano una realtà imbarazzante (almeno sul piano teorico).
Se questo è vero (ed è vero) ne discendono implicazioni importanti.
- Come si può affermare che i consumatori operino scelte razionali?
- Quali criteri razionali seguirebbero i manager scegliendo il posizionamento di prezzo/qualità della propria insegna?
- e come gestirebbero la dinamica di prezzi e promozioni?
Prima domanda: perché la frutta? Risposta: la frutta è ritenuta il biglietto da visita dei supermercati, poiché:
. a) la sua qualità oggettiva non può essere alterata, con la cottura o il condimento e
. b) perché il giudizio in merito di ogni individuo è immediato e inappellabile.
Tornando al nostro tema va detto che la teoria micro-economica (su cui si fonda il marketing) che viene insegnata nei corsi introduttivi universitari, ipotizza che tutta l’informazione relativa ad un prodotto si rifletta nel suo prezzo. A sua volta il prezzo è determinato dal gioco della domanda e dell’offerta da parte di agenti economici razionali. Dunque consumatori e i distributori prendono decisioni logiche, interpretabili e prevedibili che si possono quantificare e rappresentare.
Il nostro grafico mette in discussione questa ipotesi basilare. Ma per comprenderne appieno il significato occorre chiarirne le premesse:
- nel caso dei prodotti industriali confezionati la qualità è fissata nello spazio-tempo dalla produzione seriale. Nutella e il dentifricio AZ si riproducono in maniera identica, immutabile per lungo tempo. Dunque, un distributore ha la certezza che la qualità che offre è identica a quella dei propri concorrenti. Anche i consumatori, attraverso una frequente ripetizione dell’acquisto, possono acquisire una conoscenza qualitativa “quasi” oggettiva del prodotto.
- Nel caso dei prodotti deperibili (tra cui, nel nostro caso, la frutta) questo non avviene. Per valutarne il pregio nella dimensione spazio un consumatore dovrebbe acquistare simultaneamente, diciamo le stesse pesche (come abbiamo fatto noi), in molti punti di vendita. Per valutarlo lungo la dimensione tempo dovrebbe tenere memoria (come abbiamo fatto noi) della qualità (variabile) delle pesche vendute dalle varie insegne nel corso di una stagione.
Ne discende che, soprattutto nel caso dei prodotti altamente deperibili e stagionali come la frutta, esiste una doppia asimmetria informativa. George Akerlof ha spiegato per primo questo concetto importantissimo che ha rivoluzionato la moderna microeconomia. La PRIMA asimmetria è costituita dal divario esistente tra ciò che effettivamente conosce il consumatore (e cioè poco) circa gli effettivi attributi di ciò che sta per comprare e ciò che conosce (ed è molto di più) il distributore. La SECONDA asimmetria (sempre nel caso dei prodotti deperibili) riguarda la scarsa conoscenza che ha il distributore circa la qualità offerta giornalmente dai suoi competitor. Per saperlo egli dovrebbe monitorare costantemente ed esaustivamente (come abbiamo fatto noi) la qualità e i prezzi di quel che è in vendita negli altri negozi all’interno delle sue varie isocrone (e ad oggi non lo fa).
Dunque, tornando al grafico e mettendo sui due assi i prezzi di vari tipi di frutta e il loro contenuto zuccherino (gradi Brix) scopriamo che tra queste due variabili non esiste alcuna correlazione. Ma perché i proprio i gradi Brix della frutta? Da soli essi non rappresentano la qualità complessiva del prodotto. È vero! La dolcezza di un frutto deve bilanciarsi anche con una certa acidità. La polpa deve inoltre essere di consistenza adeguata. Il frutto non deve essere danneggiato. E poi esistono la maturità e il calibro e lo stato di conservazione, l’aspetto, il colore, ecc.
Tuttavia queste variabili hanno una varianza minore dei gradi Brix e sono molto più legate ad una valutazione soggettiva. In conclusione, pur essendo disponibili anche questi dati, essi complicherebbero in maniera proibitiva il ragionamento senza nulla aggiungere e, dal punto di vista statistico, aumenterebbero la casualità della rappresentazione. La misurazione dei gradi Brix rappresenta pertanto un buon indicatore della qualità oggettiva di un frutto e dunque della soddisfazione che un consumatore può trarne.
In ogni caso è improbabile che esistano clienti dei nostri supermercati che valutino i loro acquisti dotandosi di un rifrattomento e di un phmetro. Teoricamente potrebbero farlo i distributori così da adeguare il prezzo relativo rispetto alla concorrenza, ma a quanto pare non lo fanno.
E allora come si spiega il fenomeno? Ecco alcune risposte:
Dunque, tornando al grafico e mettendo sui due assi i prezzi di vari tipi di frutta e il loro contenuto zuccherino (gradi Brix) scopriamo che tra queste due variabili non esiste alcuna correlazione. Ma perché i proprio i gradi Brix della frutta? Da soli essi non rappresentano la qualità complessiva del prodotto. È vero! La dolcezza di un frutto deve bilanciarsi anche con una certa acidità. La polpa deve inoltre essere di consistenza adeguata. Il frutto non deve essere danneggiato. E poi esistono la maturità e il calibro e lo stato di conservazione, l’aspetto, il colore, ecc.
Tuttavia queste variabili hanno una varianza minore dei gradi Brix e sono molto più legate ad una valutazione soggettiva. In conclusione, pur essendo disponibili anche questi dati, essi complicherebbero in maniera proibitiva il ragionamento senza nulla aggiungere e, dal punto di vista statistico, aumenterebbero la casualità della rappresentazione. La misurazione dei gradi Brix rappresenta pertanto un buon indicatore della qualità oggettiva di un frutto e dunque della soddisfazione che un consumatore può trarne.
In ogni caso è improbabile che esistano clienti dei nostri supermercati che valutino i loro acquisti dotandosi di un rifrattomento e di un phmetro. Teoricamente potrebbero farlo i distributori così da adeguare il prezzo relativo rispetto alla concorrenza, ma a quanto pare non lo fanno.
E allora come si spiega il fenomeno? Ecco alcune risposte:
- I supermercati operano in un quadro di concorrenza largamente imperfetta o oligopolistica. Le loro location con i vari costi sommersi per la clientela (vicinanza, parcheggio, servizi offerti, atmosfera, ecc.) modificano, come ben noto, il concetto di convenienza di prezzo.
- I consumatori non operano scelte “monadiche”, ma comprano interi pacchetti di beni e servizi che valutano in base ad un concetto vago di prezzo globale. In altri termini il prezzo delle banane può compensare il prezzo non competitivo della carne e così via. Il tutto viene scontato per i costi-ombra del trip legati al tempo speso, al trasporto, ecc.
- La buona qualità di una merceologia può compensare quella mediocre di un’altra bilanciando la soddisfazione complessiva.
- I clienti di un’insegna di cui hanno abitualmente fiducia non hanno consapevolezza della qualità offerta da quelle concorrenti. Il costo di raccolta di questo genere di informazione sarebbe enorme rispetto al beneficio.
- I clienti hanno una percezione dei prezzi, non una cognizione e ancor meno una memoria degli stessi, in funzione della stagionalità e dell’andamento dei raccolti.
Dall’altra parte i distributori hanno una chiara informazione sul proprio rapporto prezzo/qualità e spesso lo attribuiscono (sbagliando) ai loro clienti. In realtà essi ignorano qual sia la reale percezione di questo rapporto non solo dei clienti abituali, ma soprattutto di quelli potenziali (cioè di coloro che NON ACQUISTANO). La parte succosa del retail marketing sta nel “lato oscuro” dello shopper behaviour, ovvero nelle motivazioni e nelle decisioni di chi non è stato conquistato dall’insegna. Il quesito più interessante non riguarda la customer satisfaction di chi entra nel punto vendita, ma la CUSTOMER DISSATISFACTION di chi non ci entra. Le ricerche di mercato basate su domande alla clientela relative ai prodotti deperibili e rivolte a chi compra sono distorte! D’altra parte chiedere un giudizio sulla qualità di un prodotto così effimero come l’ortofrutta a chi non acquista è illogico, poiché il consumatore non acquistandolo, per definizione non può giudicarlo!
In sostanza applicare i criteri di ricerca sviluppati per i beni di largo e generale consumo confezionati e industriali a quelli deperibili e stagionali è sbagliato e ingannevole.
In conclusione le certezze dei manager della distribuzione circa il loro reale controllo delle catene di cause-effetti:
qualità oggettivaà prezzo à soddisfazione del cliente
è illusoria.
Prezzi di equilibrio basati sulla qualità oggettiva si raggiungono solo in condizione di accentuata concorrenza e là dove opera davvero la mano invisibile del mercato.
Un esempio ci è dato da una location americana: all’incrocio della Broadway 2828 con la Cathedral Pkwy. Vi operano infatti tre supermercati, Westside Market, D’Ag Fresh, Rite Aid e nel raggio di 400 metri: Garden of Eden, Morton & Williams, Los Vecinos, Broadway Farm, Gristedes, Central Market, Milano Market, … Non si può negare che in simili situazioni il consumatore sia effettivamente libero di scegliere e che il mercato stabilisca prezzi molto più vicini all’equilibrio dei reali rapporti prezzo/qualità!