Eccellenze Campane: l’Eataly di Napoli
Febbario 2014. Eccellenze Campane è una declinazione, tutta partenopea, dell’idea commerciale di Eataly. Non a caso l’inventore è Pasquale Buonocore, fino a pochi mesi fa socio di Oscar Farinetti nel progetto distributivo che tutti conosciamo.
IL FORMAT
L’idea di fondo è quella di un contenitore in cui raggruppare le eccellenze enogastronomiche della Campania (e ce ne sono tante), contrapponendo al triste appellativo di “Terra dei Fuochi” quello di “Terra del buono”.
Produzione, ristorazione e vendita sotto lo stesso tetto. Una filiera cortissima, che permette al cliente di comprare, in qualche caso, un prodotto che viene realizzato sotto i suoi occhi (le mozzarelle di bufala campana, la birra artigianale, il pane e la pasta fresca) e che comunque ha pochi chilometri.
Un mix tra un polo fieristico e un centro commerciale, dove tra produttori e ristoratori si contano oltre 65 aziende e circa 7000 referenze.
LA LOCATION
Eccellenze Campane sorge in una ex capannone industriale dismesso (anche qui il parallelo con l’Eataly di Torino balza all’occhio), totalmente riqualificato ed ridisegnato con cura. Siamo nella periferia est di Napoli e, purtroppo, la zona non è proprio il fiore all’occhiello della città. Il collegamento con i mezzi pubblici non è ottimale ed è un grande limite per un format che dovrebbe diventare una tappa obbligata per i turisti in visita alla città.
IL POSIZIONAMENTO
Il posizionamento prezzo di Eccellenze Campane è sicuramente medio alto, ma non è una sorpresa. L’assortimento è poco ampio e profondo, soprattutto per le referenze esposte a scaffale. Va bene l’eccellenza, ma c’è da mettere in conto il rischio che da format commerciale si trasformi in un museo del cibo, in cui guardare senza comprare.
ASSORTIMENTO
Assortimento fortemente incentrato sui freschi e sulla produzione artigianale e in loco. Non c’è uno spazio per la vendita di pesce (un’anomalia per una città di mare) e la vendita continuativa dei prodotti ortofrutticoli freschi (solo nel fine settimana, all’esterno, viene allestito un mercatino con prodotti d’eccellenza). Oltre al food c’è anche uno spazio, di una ventina di metri lineari, dedicato ad accessori e forniture per la cucina e la tavola.
Assortimento di vini abbastanza ampio con circa ottanta referenze, una buona selezione di denominazione geografiche protette e la possibilità di comprare un più economico vino locale sfuso, imbottigliato in dama da cinque litri o da imbottigliare in una bottiglia portata da casa.
EXPERIENCE
L’immobile ha mantenuto la rigorosità degli spazi del capannone originario: soffitti alti, ampie vetrate interne ed esterne e luce naturale di giorno. L’atmosfera è un po’ fredda, anche a causa dell’assortimento non ricchissimo e di un flusso commerciale un po’ disordinato: un percorso circolare in cui si alternano ristorantini e (piccoli) banchi di formaggi e salumi, pane e carne. Un peccato trovare, nei già ristretti spazi di vendita a scaffale, tavoli ed espositori vuoti, inutilizzati.
Belle le cucine a vista e il tipico calore, tutto partenopeo, del personale che è preparato e disponibile. Nella struttura è presente anche un’aula magna dove si tengono seminari di cucina ed incontri tematici sulle eccellenze del territorio.
Sono almeno cinque le casse dislocate lungo il percorso e dedicate alle imprese commerciali e di ristorazione, alle quali si aggiungono quattro casse all’uscita.
COMUNICAZIONE
Ogni esercizio commerciale affianca all’insegna una breve frase in dialetto napoletano, che ne evidenzia prezzi e qualità con ironia. Così l’Aula Magna diventa Aula Magnà (perché si studia e si mangia), mentre in pasticceria “c’è una riccia che mi frolla per la testa” e il ristorante con carne alla brace diventa “’a furnacella”.
Manca una puntuale comunicazione a scaffale: si dà quasi per scontato che il cliente conosca territori e tipicità o che sappia distinguere tra le varie denominazioni presentate. Gli spazi non mancano e una collaborazione più stretta con i produttori potrebbe colmare questo gap, anche per invogliare il cliente a spendere più di tre euro per un barattolo di pomodorini.
Anche i ristorantini sono forse un po’ troppo essenziali nella comunicazione. Nei menù si potrebbe mettere l’accento sugli ingredienti d’eccellenza utilizzati e, magari, giocare un po’ con lo storytelling, per supportare le vendite e giustificare i prezzi un po’ più alti rispetto alla media delle tante (e comunque) eccellenti pizzerie e ristoranti di Napoli.
Il sito web www.eccellenzecampane.it è abbastanza curato, con una bella sezione dedicata agli artigiani del gusto presenti nel centro. Manca una sezione dedicata ai prodotti, con schede tecniche e descrizioni accurate. Inoltre non è possibile acquistare online (altro canale importantissimo di vendita, soprattutto per il cliente non locale).
SOSTENIBILITA’
Il progetto di Eccellenze Campane è sicuramente un format interessante sotto il profilo della filiera corta e della valorizzazione delle eccellenze del territorio. Un format replicabile e declinabile in diverse realtà geo-gastronomiche.
Al momento sembra più orientato alla ristorazione e alla promozione delle tipicità, mentre la parte di vendita a scaffale è un po’ sottodimensionata.
Assortimento, cura dei dettagli e iniziative di marketing mirate soprattutto ai turisti (impensabile rivolgersi solo a un pubblico locale, che spesso trova prodotti d’eccellenza anche nel negozio di fiducia sotto casa) sono le chiavi di volta per un progetto ambizioso, coraggioso e lodevole sotto tanti punti di vista.
Il format è una forte scommessa di un imprenditore che mira a diversificare il proprio portafoglio entrando nel ricco business dell'agroalimentare Made in Italy. Il progetto è tanto più ardito in quanto il mercato partenopeo è ricco di offerte fortemente concorrenziali in termini di qualità dei prodotti e prezzi al consumatore. Ad oggi Eccellenze Campane appare più utile come vetrina nel capoluogo di regione a tante piccole realtà della periferia regionale desiderose di crescere. E non credo fosse questo il progetto originario. Il format ha migliori potenzialità in altri contesti di mercato.
Queste iniziative debbono rispondere sempre e preliminarmente a due quesiti/condizioni: 1) Cosa c'è di così buono (per me cliente) che giustifichi il viaggio e la spesa maggiore?; 2) La cosa sta in piedi dal punto di vista economico-gestionale? Nel medio lungo periodo è dunque necessario mantenere se non aumentare 1) l'attrattività del periodo dell'apertura (quando ci vado perché è nuovo), 2) un estremo rigore gestionale (in particolare per il fattore di costo maggiore, il personale). Ed è meglio se queste previsioni sono parte fondante del progetto iniziale. Visitai l'Eataly di Torino poco dopo l'apertura: i dipendenti erano oltre 250, un numero che, pur con tutti i se ed i ma, può reggere solo con volumi di vendita costantemente elevati. Eventualmente ciò si verifica per il fortunato locale torinese, o per il suo fratello newyorkese. Resto però dubbioso sull'applicabilità della formula in situazioni meno favorevoli.