ADM-Nomisma: filiera agro da concentrare
Aprile 2014. Nomisma ha presentato recentemente uno studio per ADM-Associazione della distribuzione moderna. Lo studio ha analizzato la filiera agro-alimentare italiana, la formazione del valore e dei prezzi lungo la filiera. Eccone una sintesi con i commenti di Francesco Pugliese, Presidente di ADM e dg di Conad, Marco Pedroni, Presidente di Coop Italia e Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistruzione.
LA FILIERA AGROALIMENTARE: RILEVANZA SOCIO-ECONOMICA
La filiera agroalimentare italiana è una realtà molto articolata con un elevato numero di operatori economici a vario titolo impegnati nella produzione e distribuzione dei prodotti agricoli e alimentari, un segmento di consumo che vale 220 miliardi di euro (di cui 147 miliardi di euro per consumi domestici e 73 miliardi di euro per consumi “fuori casa”).
Tante e fortemente integrate sono le imprese che operano nei diversi anelli della filiera: nella fase produttiva figurano le aziende agricole (produttrici di materie prime e prodotti freschi per il consumo) e le imprese dell’industria alimentare (dedite alla lavorazione delle materie prime in prodotti trasformati).
Ai protagonisti dell’agroalimentare nazionale si affianca poi un importante indotto di imprese esterne alla filiera (ed appartenenti ad altri settori economici) che ad essa offrono servizi essenziali (trasporto, packaging, logistica, energia, mezzi tecnici e beni strumentali per l’agricoltura e l’industria alimentare, servizi di comunicazione e promozione, ecc.).
Il processo di produzione e distribuzione di prodotti agroalimentari coinvolge una rilevante porzione dell’economia italiana, rappresentandone il 13,2% degli occupati (3,3 milioni di lavoratori) e l’8,7% del PIL (119 miliardi di euro), un peso che sale al 13,9% considerando anche l’indotto economico su altri settori produttivi. La centralità delle imprese della filiera agroalimentare nel sistema economico nazionale è immediatamente percepibile anche in virtù dei 76 miliardi di euro di retribuzioni annualmente sostenute, dei 23 miliardi di euro di investimenti e di un contributo erariale superiore ai 20 miliardi di euro, al netto dei contributi ricevuti dalle imprese (in gran parte – 70% – indirizzati verso la fase agricola).
Un altro elemento che contraddistingue la filiera agroalimentare è la sua capacità di tenuta negli anni di crisi economica; pur accusandone gli effetti (come risulta dalla contrazione dei consumi alimentari a valori costanti, ossia al netto dell’inflazione), nell’ultimo quinquennio questa filiera è riuscita a rafforzare la sua importanza nell’intera economia nazionale (il suo peso è passato dall’8,4% all’8,7% in termini di PIL e dal 12,6% al 13,2% in termini di occupati) e limitare gli effetti, in primis sui livelli occupazionali, della perdurante stagnazione economica.
IL RUOLO DELLA DISTRIBUZIONE NELLA FILIERA
Tra i protagonisti della filiera c’è la distribuzione a libero servizio (per il 90%, in termini di fatturato, riferibile agli operatori della Distribuzione Moderna) che, assieme al dettaglio tradizionale, garantisce la distribuzione finale di prodotti agroalimentari per consumi domestici.
La distribuzione a libero servizio contribuisce al PIL italiano con un valore aggiunto di 12 miliardi di euro, in gran parte funzionale a remunerare gli occupati in questa fase della filiera (8,3 miliardi di euro le retribuzioni sostenute annualmente). Un’altra importante destinazione del valore aggiunto prodotto sono gli investimenti, circa 2,2 miliardi di euro.
All’interno della filiera agroalimentare, il ruolo della Distribuzione tende a crescere; tra il triennio 2004-2006 e il 2008-2011 questa fase ha conosciuto una crescita importante del valore prodotto (aumentato di 2,5 miliardi di euro), un processo che ha avuto come beneficiari gli stakeholders (in primis i dipendenti), più che le aziende distributive stesse. Nel periodo in questione, infatti, le retribuzioni pagate dalle imprese distributive sono aumentate di 1,9 miliardi di euro, assorbendo i tre/quarti del maggior valore creato, mentre gli utili delle aziende sono diminuiti di circa 240 milioni di euro.
CARATTERISTICHE E CRITICITÀ DELLA FILIERA
La filiera agroalimentare italiana si distingue non solo per la numerosità degli operatori ma anche per alcune caratteristiche che impattano sul livello di efficienza e competitività, tra cui:
o struttura produttiva e, in misura inferiore anche quella distributiva, troppo frammentata rispetto a quanto avviene in tutti gli altri principali paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito e Spagna):
. ridotta dimensione media delle imprese agricole e dell’industria alimentare;
. limitato grado di concentrazione nella fase distributiva.
A queste peculiarità, si aggiungono gli effetti che derivano dai deficit infrastrutturali e dagli elevati costi «di sistema»; a titolo esemplificativo, le imprese italiane, e tra queste quelle dell’agroalimentare, sostengono:
o un costo del trasporto su gomma delle merci (1,59 €/km) superiore del:
32% rispetto alle imprese spagnole (1,21 €/km);
20% rispetto alle aziende francesi (1,32 €/km);
18% rispetto alle imprese tedesche (1,35 €/km);
o un costo dell’energia elettrica (0,22 €/kWh) superiore del 70% alla media comunitaria (0,13 €/kWh).
Queste criticità strutturali, di filiera e di sistema, limitano la competitività e lo sviluppo dell’agroalimentare italiano, provocando un aggravio di costi che si ripercuote sia sulla competitività delle imprese che sulla formazione dei prezzi alimentari al consumo.
Con riguardo al primo punto, basti pensare all’enorme potenziale non ancora sfruttato sul fronte dell’accesso ai mercati esteri. Nonostante i buoni risultati degli ultimi anni, le esportazioni alimentari italiane sono meno della metà di quelle tedesche (rispettivamente 27 miliardi di euro e 57 miliardi di euro nel 2013). Allo stesso tempo la propensione all’export dell’Italia in questo settore è decisamente inferiore a quella di tutti i principali competitor europei (21% per l’Italia, 23% per la Spagna, 25% per la Francia e 31% per la Germania). D’altronde, le stesse motivazioni aiutano a spiegare perché la gran parte del valore della spesa alimentare degli italiani serva a sostenere i costi di produzione, mentre una parte davvero marginale si riferisce agli utili delle imprese che, a vario titolo, operano all’interno della filiera.
FORMAZIONE DEI PREZZI ALIMENTARI E DISTRIBUZIONE DEL VALORE
Gli italiani spendono ogni anno per alimenti e bevande circa 220 miliardi di euro, comprensivi sia dei consumi domestici che delle spese “fuori casa”, un valore che può essere scomposto in diverse componenti al fine di valutare quale sia la destinazione finale delle somme sostenute dal consumatore finale.
Considerando la filiera agroalimentare come un unico grande universo (e quindi l’insieme di tutti gli operatori che in essa operano: agricoltura, industria, ingrosso, dettaglio tradizionale, distribuzione e ristorazione), emerge come dei 216 miliardi mediamente spesi ogni anno per alimenti e bevande tra il 2008 e il 2011, solo poco più di 7 miliardi sono stati trattenuti, a titolo di utili, dalle imprese che operano nella filiera agroalimentare (figura 1).
La produzione e distribuzione di prodotti agroalimentari richiede, infatti, una serie di processi nelle varie fasi della filiera che contribuiscono alla formazione finale dei prezzi al consumo.
Una prima importante porzione del valore della spesa alimentare – 73,5 miliardi di euro – è funzionale a sostenere l’acquisto, da parte delle imprese della filiera, di beni e servizi da aziende appartenenti ad altri settori economici: ci si riferisce ad esempio ai servizi di trasporto e logistica, promozionali o ancora all’acquisizione di mezzi tecnici o beni funzionali al packaging dei prodotti agroalimentari.
È poi da considerare come il reperimento dei capitali di debito (spesso di origine bancaria) necessari all’attività delle imprese della filiera abbia un costo, stimabile in circa 10 miliardi di euro annui. A tale somma vanno poi aggiunti ben 7 miliardi di euro destinati ad imprese estere per ripagare le importazioni nette (saldo negativo della bilancia commerciale) di prodotti agroalimentari.
A contribuire in maniera rilevante alla formazione dei prezzi alimentari sono anche i costi relativi agli investimenti realizzati dalle imprese agroalimentari (ammortamenti) e le imposte pagate da queste ultime all’erario; queste due voci assorbono rispettivamente 22,5 e 20 miliardi di euro.
Quasi 76 dei 216 miliardi di euro sostenuti dalle famiglie italiane per consumi alimentari servono poi a ripagare il costo delle retribuzioni degli occupati nei vari anelli della filiera (addetti delle imprese agricole, industriali, distributive, ecc..).
In sintesi, la gran parte del valore speso ogni anno degli italiani è sì incassato dalle aziende poste a valle della filiera agroalimentare (dettaglianti, distribuzione, ristorazione), ma la sua destinazione finale è verso i vari attori economici che operano nella filiera o che con essa hanno rapporti economici. E anzi, ciò che è più interessante notare è che solo una parte minoritaria di tale valore ha come beneficiari finali imprese e addetti della filiera agroalimentare: dei complessivi 216 miliardi di euro di consumi alimentari (media del quadriennio 2008-2011), meno della metà e precisamente 83 miliardi di euro remunerano imprenditori (7 miliardi di euro, a titolo di utili) e lavoratori (76 miliardi di euro, a titolo di retribuzioni), a cui si aggiungono altri 23 miliardi di euro che servono a finanziare il rinnovo del capitale aziendale (ammortamenti) delle imprese operanti nella filiera.
La maggior parte del valore della spesa alimentare (51%) è destinata invece ad attori esterni alla filiera: imprese di altri settori economici (73,5 miliardi di euro), Stato (20 miliardi di euro), sistema finanziario (10 miliardi di euro), imprese estere (7 miliardi di euro).
Tutto ciò è ancora più chiaro rapportando la distribuzione dei consumi alimentari per ogni 100 euro di spesa del consumatore italiano nel periodo 2008-2011 (figura 2).
Deloitte nel 2009-2010 ha avviato in Italia il progetto «Food & Agricolture» rivolto agli imprenditori e alle aziende operanti nel settore Agroalimentare. Il progetto parte dal presupposto che il settore agroalimentare in Italia rappresenta un elemento strategico e di vantaggio competitivo che deve essere continuamente e sempre più valorizzato. Il settore agroalimentare è al centro dell?interesse del mercato non solo italiano, ma anche internazionale e costituisce, per quanto riguarda i prodotti e le aziende nostrane, una fonte di grande interesse anche da parte di investitori. http://www.deloitte.com/view/it_IT/it/industries/midmarket/32c78ce3da88a310VgnVCM2000003356f70aRCRD.htm