Da McDonald’s, rispetto al 2020, l’hamburger costa il 100% in più. Scopriamo quale ruolo può avere il Retail nel rendere la ristorazione più accessibile, analizzando il caso Walmart.
L’idea per questo articolo parte da una foto, scattata presso un ristorante McDonald’s italiano a dicembre 2024 che ripropongo qui di seguito:
McDonald’s è un esempio di catena internazionale che, per distribuzione capillare e notorietà, ha un’influenza importante sulla percezione comune dei prezzi delle merceologie che tratta, in questo caso prevalentemente hamburger, patatine fritte, bevande e snacks.
Per chi conosce in dettaglio la catena, il menu salvaeuro è sempre stato un porto sicuro che contemplava items acquistabili con poco i quali permettevano al cliente di comprare un pasto completo decisamente conveniente.
Questa foto, a differenza della prima, risale invece ad un documento del 2020 in cui si vede che, all’epoca, era possibile acquistare un hamburger per 1€, un cheeseburger per 1.50€ ed un toast per 1.50€. Attualmente, tali prezzi risultano rispettivamente pari a 2€, 2.70€ e 2.70€.
Ciò significa che il prezzo del normale hamburger è aumentato, in 4 anni, del 100%, mentre quelli del cheeseburger e del toast dell’80%.
Il Covid, la guerra in Ucraina e la conseguente inflazione, hanno ridotto considerevolmente il potere di spesa dei clienti che, oggi, si riversano in massa presso i discount e cercano continuamente di rifornirsi presso formule commerciali che garantiscano il risparmio.
In vari articoli abbiamo parlato, ad esempio, dei modelli distributivi no food DILP (Despecialized Items with Low Prices), incentrati su prodotti a basso prezzo, e di come importanti catene del comparto discount alimentare stiano approcciando la prossimità.
All’aumento dei prezzi non corrisponde un relativo aumento dei salari e ciò porta i clienti a dover tagliare le uscite. Una delle spese che, notoriamente, si taglia per prima è proprio quella legata all’out of home, ovvero ai ristoranti. Il calo generale nelle vendite della ristorazione si riflette poi in un tentativo, da parte delle catene principali, di recuperare i consumatori offrendo menu ad hoc, orientati al risparmio.
È notizia di quest’anno quella che vede il CEO di McDonald’s mondo annunciare, ad esempio, che la catena punta ad attrarre nuovi clienti ampliando l’offerta di menu accessibili.
Cosa c’entra il Retail?
In un articolo di ottobre abbiamo citato il programma Walmart Plus, attivo presso la nota catena di super store americana.
Tra le iniziative che riguardano il programma c’è una collaborazione con la catena Burger King utile al fine di far ottenere sconti importanti (-25%) al cliente.
In un mondo in cui mangiare fuori, anche presso formule commerciali inizialmente note per la loro accessibilità, è diventato economicamente più oneroso che in passato, collaborare con le catene di ristorazione per rendere i pasti più accessibili può essere un ottimo volano per le vendite di retail e ristoranti.
Cos’è la cascata inflattiva e perché va tenuta a bada?
In un quadro europeo in cui, tendenzialmente e storicamente, si cerca di contenere l’inflazione sotto il 2% annuo, quando si verificano uno o più fenomeni che causano l’impennata dei prezzi, la tentazione è quella di arrotondare per eccesso.
In altre parole, facciamo l’esempio di un produttore che tratta un vasto range di articoli alimentari, con ingredienti solo parzialmente in comune.
Spesso, succede che, in un periodo inflattivo, piuttosto che analizzare nel dettaglio quali incrementi nel costo delle materie prime impattino realmente e in quale misura i vari articoli, la tentazione è quella di aumentare i prezzi in modo orizzontale, magari di importi percentualmente simili. Tale fenomeno genera, a cascata, maggiore inflazione perché chi compra questi prodotti a costi ingiustificatamente maggiorati deve a sua volta alzare i prezzi per i propri clienti.
È anche grazie a situazioni del genere che un’aumento dei prezzi possibilmente contenibile all’interno del +15%, si traduce in un +20%,+30% o +40%.
Nella ristorazione, oltre ai casi citati, abbiamo visto i prezzi raddoppiare o quasi anche in altre situazioni. Si pensi al pre-Covid, quando, ad esempio, i ristoranti di sushi offrivano menu all you can eat anche a 14/15€ a pranzo mentre, invece, recentemente, tali cifre sono lievitate per attestarsi sui 25€ circa (+80%).
Il Retail, come detto, può sicuramente offrire ai propri clienti dei metodi per risparmiare sull’out of home, attraverso le opportune iniziative di marketing, cercando di rimediare parzialmente all’erosione del potere di acquisto dei consumatori. La redazione di RetailWatch monitorerà con interesse tali iniziative per riportarne, laddove possibile, i risultati.