Art. 62: cresceranno il discount e le store brand

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Art. 62: cresceranno il discount e le store brand

Marzo 2012. Al di là delle letture legislative in campo, la vicenda dell’Art. 62 (cercate in archivio l’origine del decreto e il testo originale) è necessario guardare oltre, senza più accusare l’una o l’altra parte in campo di aver commesso questo o quello. Infatti per RetailWatch hanno qualcosa da farsi perdonare entrambe: il nostro parere è che serviva e servirà soprattutto in futuro, un accordo di filiera globale (IDM-GDA), strategico e duraturo. Cioè le associazioni (del commercio e dell’industria) dovrebbero avere un’unica posizione, con una visione, appunto di filiera verticale, compatta e con uno spettro a 360°.
Stante le divisioni, i punti di vista differenti, le posizioni distanti, ufficialmente e, peggio, ufficiosamente, l’applicazione dell’Art. 62 sta dimostrando proprio l’assenza di un ragionamento unico tipico da filiera integrata. La distribuzione con la regolazione dei giorni di pagamento avrà problemi finanziari, l’industria avrà problemi nei rapporti con la gda.

Ecco chi ci guadagnerà
Chi ci guadagnerà da queste divisioni, dall’applicazione dell’Art. 62? Le insegne forti dei discount (in primis Eurospin, che è il vero dominus del canale, le altre hanno quote di mkt diverse) che dei brand dell’industria di marca possono, anche, fare a meno. Negli altri canali di vendita soprattutto chi ha un assortimento equilibrato sul versante valore-qualità-prezzo, con una politica di branding accentuata, potranno beneficiare, come ha fatto Mercadona in Spagna, della ricerca di convenienza da parte del consumatore. Il posizionamento di prezzo, la qualità vera dei prodotti, scaveranno un vallo, una distanza difficilmente colmabile nel breve periodo, fra il discount e le altre tipologie di vendita: superette, supermercati, ipermercati. Fra i beneficiari anche chi applica una scala prezzi corta, come U2 di Unes.
Nella GDA, poi, prenderanno sempre più piede la private label, le store brand, perché ormai i rapporti fra gruppi distributivi e co-packer sono di buon livello in generale, e proprio le store brand potranno avvalersi delle posizioni di debolezza delle seconde e terze marche dell’IDM, dell’acuirsi dei rapporti fra industria e distribuzione e delle discussioni sui giorni di pagamento. Questo avverrà non solo per il confezionato ma anche per il fresco, dove il peso dei grandi consorzi capaci di incassare i benefici dell’Art. 62 saranno sempre più evidenti.

Aprite un tavolo di filiera
Serve, allora, un tavolo di filiera verticale che sappia capire gli errori di essersi presentati in ordine sparso e senza distinzioni capibili, anche da parte del consumatore, oltrechè dalla business community, ed evidenti per un appuntamento importante. Sui ritardi di pagamento lasciateci esprimere un’opinione: la forchetta fra i pagatori giusti (in primis Esselunga) e quella dei pessimi pagatori (i nomi sono certi, li sapete tutti) si conosceva nell’ambito della business community da tempo. Bastava che fossero indicati con nome e cognome e rimessi sulla giusta strada proprio dalle associazioni, perché hanno creato un gap, un vantaggio competitivo distorto con i giusti pagatori; i metodi potevano essere diversi. Il comune sentire che ormai è tracimato anche nei settimanali femminili e nei quotidiani è che una parte dell’utile operativo della distribuzione è fatto con una quota di interessi finanziari e di contribuzione marketing, giudicata per lo meno inopportuna e di grande dimensioni, ponendo in secondo piano il ruolo calmieratore che la distribuzione ha come sua dimensione ideale e pratico-quotidiana e il suo impatto sulla struttura dei consumi.

Serve, davvero, un tavolo di filiera che faccia capire al legislatore che c’è un solo obiettivo nell’alimentare (ma anche nel non food): la trasparenza e una vera visione economica e sociale, soprattutto in un momento di grave crisi economica e sociale della nostra Italia. Per non parlare poi della sostenibilità di un tale sistema e di quello che pensa a proposito il consumatore. Ma su questo punto, di capitale importanza, rimandiamo ad altri articoli futuri di RetailWatch.

Gli ostacoli al tavolo di filiera
Per arrivare alla formazione del tavolo RetailWatch vede alcuni ostacoli, apparentemente complessi:
1.    Listini industriali vs condizioni di vendita. L’industria di marca e non, ha e avrà la necessità di ritoccare i listini per l’aumento delle materie prime e dei costi in generale. Grosso modo la distribuzione li accetta in cambio di contropartite, le più disparate. Non sarebbe meglio dividere la posta in due e concertare gli aumenti e i loro costi, aumentando l’efficienza logistica (la riduzione del numero dei cedi) e quella di vendita?
2.    Contributi fuori fattura. Sono aumentati nel tempo e le voci sono diverse. Non converrebbe portare il tutto in fattura e arrivare al prezzo netto-netto, soprattutto se stiamo andando, e i testimoni non mancano, verso l’every day low-nice price? Ma questo è il parere di RetailWatch.
3.    L’evoluzione delle supercentrali. Forse converrebbe ridurre il loro peso e quindi il valore del sell in puntando sui valori del sell out e del raggiungimento degli obiettivi in discussione al raggiungimento dell’accordo negoziale. Ci vorrebbe una task force congiunta vendite industria-vendite distribuzione, che si mettessero all’opera per dare enfasi alle vendite finali, adottando strategie, modelli e strumenti per esaltare le vendite finali, che interessano entrambe le controparti, IDM e GDA.

Si, sarebbe proprio un salto culturale di notevole portata. Ma quanto sta accadendo (Art. 62, cambiamento dei comportamenti di acquisto e di consumo, mercati delle materie prime) dovrebbe suggerire di imboccare la strada di ridurre gli attriti, non aumentarli, equilibrando da parte dell’industria il mix di investimenti fra consumer marketing vs trade marketing, a favore di quest’ultimo, se non altro perché le ricerche ci dicono che gran parte delle decisioni di acquisto (60%) vengono prese nel punto di vendita.

Per la redazione di questo articolo sono stati consultate le ricerche di Symphony-Iri, Nielsen, Laboratorio di trade marketing dell’Università Bocconi, quotidiani e femminili.

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