Gennaio 2014. Domenico Brisigotti, responsabile della marca del distributore Coop, ha partecipato alla tavola rotonda sulla marca del distributore a Marca Bologna.
Ecco il suo pensiero:
“La marca del distributore italiana è ancora distante dalle percentuali di quelle europee. È una distanza significativa e non si capisce bene perchè… La distanza è dovuta alle politiche che le insegne fanno intorno alla marca del distributore: i fornitori, dalla IDM alle piccole imprese.
Abbiamo margini di crescita importanti che però non sono raggiungibili con le attuali politiche di sviluppo. La crescita attraverso l’espansione della numerica può essere una strada, ma non certo quella attraverso le promozioni. È molto più probabile che avvenga per un intervento delle insegne sulla struttura assortimentale nei diversi canali e nelle diverse categorie.
Lo diciamo sempre nei convegni ma non avviene mai…
I dati delle PL vanno dati per canale
I dati mostrati da IRi non segmentano la marca del distributore per canale. Se facessero vedere la nostra incidenza nel canale supermercati ci accorgeremmo come possa arrivare al 50%.
La crescita non avviene solo attraverso le promozioni ma anche attraverso gli obiettivi che un’insegna si da: non solo volume, quindi, ma anche valore a sostegno della scala prezzi e di lungo periodo.
L’avanzata del discount sta cambiando lo scenario, anche nelle relazioni con l’industria.
Bisogna lavorare sul lungo periodo
Nel lungo periodo bisogna creare valore, mettendo al centro dello sviluppo il brand e facendo innovazione. Nel farla bisogna mettere in conto anche possibili flop, si spenderanno risorse senza risultato immediato. Bisognerà lavorare sui comportamenti di acquisto per singoli segmenti della popolazione, con investimenti dedicati.
I processi produttivi si sono evoluti e le aziende fornitrici hanno raggiunto standard qualitativi elevati. Questo va molto bene, ma anche un altro risvolto: tutti i retailer possono accedere in tempi brevi a un vantaggio competitivo che prima non avevano, mettendoci in difficoltà.
Mi sembra che Brisigotti e Bordoni abbiano espresso i concetti più sensati: 1) la marca del distributore può crescere a livello europeo se si sfronda l'assortimento dai vari co-leader e follower, ma nessuno o quasi lo fà, perchè è sicura di perdere contributi che non è certa di recuperare con il prodotto a marchio. 2)si chiede giustamente innovazione all'industria, che viene puntualmente o quasi ostacolata con esose richieste da parte del trade.
Brisigotti ha sviluppato un?analisi di enorme importanza, sottolineando che il dato delle PL, visto dal lato del distributore, ha dimensioni e significati molto diversi da quelli derivati ? sino ad ora – dal punto di vista dell?industria. Per far capire la reale natura delle marche del distributore Brisigotti afferma che le quote andrebbero calcolate per canale! Giusto. Ma non solo ? dico io. Le quote andrebbero calcolate nei NEGOZI TRATTANTI! Infatti il retailer ha l?autonomia (che l?industria non ha) di decidere dove è profittevole vendere le proprie PL. Casino ? in Francia ? nei suoi Petit Casino ha portato le sue PL ben oltre al 50%. Infatti esse assolvono benissimo alla funzione dei piccoli acquisti ?riempitivi? a complemento delle grandi spese. Nei suoi iper Geant, ovviamente, la quota delle PL si diluisce enormemente. La quota delle PL inoltre ? aggiungo io ? andrebbe calcolata su sottoclassi di prodotto perché il retailer non ha interesse (facendo produrre attraverso i copacker) a esaurire tutto l?assortimento. Avendo disposizione i dati sulle vendite per referenza può scegliere di produrre solo quelle ad alta rotazione: non tutti i gusti di yogurt o di succhi, non tutti i detergenti, … ma solo quelli che assicurano volumi critici. Che interesse ha nel produrre yogurt alla beetroot che interessano solo una supernicchia di consumatori salutisti? O i biscotti savoiardi per fare la zuppa inglese? Voci che tuttavia concorrono con molte altre a costituire il totale su cui si calcola la quota. Essendo quanto detto inoppugnabile, il dilemma per un ulteriore sviluppo delle PL si riassume, molto semplicemente, così: Se attraverso uno sviluppo del marketing delle PL spingo la loro quota (nei Negozi Trattanti e nelle Sottoclassi di Prodotto) dal 40 al 60% – tenuto conto che il loro prezzo si posiziona al 30% sotto la media ? il loro maggior profitto percentuale compensa il maggior costo di sviluppo e la diminuzione di incentivi offerti dall?industria? Ecco il dilemma: ? E? meglio avere un po? più di quattrini subito e certi o averne meno ora e molti di più, (incerti e faticosi), in futuro? Ciò significa, in altre parole, che da una logica di buying il retailer dovrebbe passare a quella di marketing-at-retail cioè prendersi cura di qualità, varietà, packaging, comunicazione, consumer promotion delle proprie PL, … esattamente come hanno fatto Casino e Monoprix in Francia fino agli estremi di Mark & Spencer (i U.K.) e Trader Joe?s (in U.S.) Dalle parole di Brisigotti (come di altri) traspare comunque una progressiva difficoltà ad accettare promozioni di prezzo che attacchino il core-business del retailer (ovvero le voci dove la PL è leader o quasi ? sempre secondo l?interpretazione di cui sopra). Le implicazioni per l?industria non potrebbero essere più chiare (e strategicamente utili).