Carrefour in Italia ha privilegiato lo sviluppo del franchising. Analizziamo le sfide che derivano da tale settore e i numeri di una società (GS SpA) molto importante per il Gruppo.
Carrefour è un gruppo che nasce in Francia ma si sviluppa, nel tempo, a livello internazionale, con successi alterni. Alcuni mercati, infatti, sono stati abbandonati dall’azienda (pensiamo alla Cina o alla Colombia). È però un processo normale per chi si esercita in Paesi con culture di consumo e business models locali molto diversi. La stessa Walmart, ad esempio, ha abbandonato mercati come il Brasile, l’Argentina o il Giappone.
In Italia, ad oggi, la multinazionale francese opera con 1.200 punti vendita di cui 900 (il 75%) in affiliazione. Non è però sempre stato così (visto che Carrefour in Italia è presente dal 1972).
Prima, infatti, Carrefour era sinonimo di grandi superfici (gli ipermercati) che, pian piano, hanno ridotto il proprio peso (in termini di numerica) a favore di negozi più piccoli (i Market ma anche moltissimi Express), dati grandemente in affiliazione.
È da qualche anno, infatti, che Carrefour Italia sta puntando molto sul franchising come leva per aumentare la redditività aziendale.
Il problema è che, se da un lato l’affiliazione rappresenta un metodo per ottenere del fatturato (ed una marginalità ad esso collegata) senza effettuare gli investimenti che servirebbero per aprire, in alternativa, negozi diretti, dall’altro presenta delle sfide importanti, soprattutto per chi, come Carrefour, non opera storicamente con un modello cooperativo/consortile o concentrato da sempre sull’affiliazione.
In prima istanza, possiamo dire che ci sono molti negozi i quali cambiano spesso “bandiera” (insegna) poiché, essendo poco profittevoli, con una certa regolarità cercano nuove opportunità di affiliazione (leggasi: contributi) per continuare a rimanere in piedi, oggi sotto l’ombrello di un retailer e, domani, sotto quello di un altro. Tendenzialmente, non si tratta di clienti profittevoli per un franchisor. Questi, come tanti altri operatori del panorama retail italiano, costituiscono in aggiunta un rischio in termini di rientro del credito per l’affiliante.
In secondo luogo, molti imprenditori/commercianti fanno parte di sistemi consortili/di affiliazione che hanno costruito su tale modello la propria fortuna. In questi casi, spesso gli affiliati sono anche soci del Cedi (es. Conad) ed ottengono servizi (anche di natura finanziaria) che li fidelizzano all’insegna. Si tratta spesso e volentieri di clienti profittevoli (per un franchisor) e solidi che non è facile “rubare” alla concorrenza.
Come terzo punto, possiamo dire che compito di un franchisor è quello di garantire ai propri affiliati gli strumenti migliori per competere al meglio nei territori di riferimento. Uno di questi strumenti è, ad esempio, un buon posizionamento prezzo. Carrefour, in tale frangente, non è nota per applicare prezzi di vendita al pubblico molto convenienti e questa è una grave pecca per chi, affiliandosi, vuole essere sicuro di far parte di un gruppo riconosciuto per adottare una politica commerciale aggressiva in termini di posizionamento verso i concorrenti (soprattutto in un mondo dove la quota discount si avvicina al 24%).
Il quarto elemento da citare è, poi, il seguente: per chi fa affiliazione è suggeribile gestire una rete diretta e, in generale, conti economici profittevoli. Ciò dimostra all’affiliato che le pratiche operative in vigore all’interno del Gruppo (e che vengono “vendute” al franchisee) sono in grado di portare il business a produrre i risultati sperati. Guardando i numeri di GS SpA, la società più importante del Gruppo Carrefour in Italia, vediamo, invece, che, almeno questa realtà, produce delle perdite rilevanti.
Il quinto ed ultimo elemento da tenere in considerazione, è quello che riguarda i format. Spesso, esercitarsi sul mercato con nuovi format che possono però risultare poco innovativi o performanti, rischia di rappresentare un “boomerang” negativo per il franchisor che voglia attrarre imprenditori i quali ricercano business model vincenti.
Ricordo, ad esempio, quando Carrefour portò in Italia il format “3 minuti“, un negozio di prossimità molto piccolo che privilegiava un assortimento “ready to eat“, composto anche da panini e gastronomia pronta da scaldare. Entrando in uno di questi store, pensai che fosse difficile sviluppare vendite con tale impostazione. L’offerta, infatti, appariva un po’ limitata anche in quelle categorie (il “ready to eat“, appunto) che avrebbero dovuto costituire il vantaggio competitivo e la caratterizzazione del formato.
Anche il format “Terre d’Italia” che ho visitato a Milano, si presenta semplicemente come un piccolo bar con al seguito una selezione di vini ed un assortimento che non riesce ad essere profondo in categorie specifiche. Insomma, anche qui, personalmente, non ho visto la base per poter sviluppare vendite particolarmente importanti.
Se guardiamo, inoltre, il “Carrefour Contact” di Piazza Angilberto (960 mq circa) a Milano (visitato a marzo 2024), format pensato in chiave EDLP (prezzi bassi sempre, senza volantini) con una forte presenza dell’MDD “Carrefour” ed un assortimento razionalizzato (7.000 referenze circa vs le 13.000 circa del “Market“), notiamo un punto vendita con una concezione che ricorda quella dei primi discount (ambiente un po’ vecchio, grigio ed una presentazione prodotti a scaffale non sempre ordinata).
In un mondo in cui chi fa convenienza come i discount (es. Aldi, Lidl, EuroSpin ed MD) costruisce punti vendita sempre più belli (a livello visivo) e ordinati, il Carrefour Contact ha sicuramente una bella sfida davanti per scavarsi la propria quota di mercato.
I numeri di GS SpA
Nel 2023, GS SpA ha ricavi dalle vendite e prestazioni (“ricavi”) pari a 3.84 miliardi di euro circa, abbastanza in linea con il risultato 2022.
Se alla voce sopra descritta togliamo (acquisti+variazione delle rimanenze), otteniamo 547 milioni di euro che rappresentano il margine sui consumi, pari al 14.26% circa dei già citati ricavi.
La voce “Altri Ricavi” è abbastanza corposa, pari a 645.8 milioni di euro circa (un valore più alto del margine sui consumi).
Il costo del lavoro incide per il 12.63% dei ricavi (un’incidenza un po’ alta ma non esagerata) e la perdita d’esercizio è pari a 128.7 milioni di euro circa (in peggioramento rispetto ai -115.8 milioni di euro del 2022).
Conclusioni
Carrefour, in Italia, ha lanciato format che non sempre hanno riscontrato grande successo, ha tendenzialmente rinunciato allo sviluppo di reti dirette in determinati territori, operando in alcuni casi con accordi di master franchising e si è dedicata grandemente all’affiliazione.
Per quanto concerne il master franchising, è noto che in Puglia la rete di Apulia Distribuzione (ex master franchisee) ha optato per abbandonare l’insegna “Carrefour“, a favore del proprio marchio “RossoTono” e ciò ha causato una diminuzione della quota di mercato dell’operatore francese nel Paese.
Le sfide legate al franchising, sopra enunciate, che Carrefour deve affrontare, se non verranno vinte, rischiano di relegare l’insegna ad un ruolo marginale in Italia, praticamente confinato allo sviluppo di piccoli negozi in affiliazione, posizionati nei centri delle città maggiori (dove il brand ha più risonanza, ad esempio, presso i turisti) e poco competitivi in termini di prezzi al pubblico.
Ovviamente, Carrefour potrebbe anche scegliere di portare la propria strategia franchising all’estremo, concedendo ad un operatore qualificato la gestione del marchio in tutto il Paese o in aree più grandi dello stesso (sempre tramite accordi di master franchising) ma, al momento, si tratta di ipotesi piuttosto fantasiose.
Monitoreremo, comunque, lo sviluppo di Carrefour nel nostro Paese per verificarne gli avanzamenti.