C’era una volta, forse erano due, Berlinguer

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C’era una volta, forse erano due, Berlinguer

Autore: Giulio Rubinelli per la scheda del film, Luigi Rubinelli per gli abbinamenti food

“La memoria e’ la gramigna piu’ tenace dell’umanita’. La storia insegna, ma non ha scolari” (Antonio Gramsci)

E’ sempre bello vedere che un giovane trova la sua strada. Quando, dopo anni di fatica e sacrifici, un ragazzo finalmente capisce “che cosa vuole fare da grande”. E’ il caso dell’esordiente Walter, classe 1955, diplomato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, che dopo anni erranti attraverso mondi che non gli appartenevano, nella fattispecie un tentativo poco riuscito nel mondo della politica (dove non e’ riuscito ad andare oltre al dilaniamento di un intero partito), ha finalmente individuato la sua reale vocazione: il cinema. Bravo Walter!
Si sa, sessant’anni sono tanti e la crisi e’ dietro l’angolo. Niente di nuovo. Quanti ne conosciamo che intorno a quell’eta’ hanno fatto I bagagli e hanno trasformato la loro vita in agricoltori, pittori o sacerdoti buddisti. Lui no. Lui ha avuto la lucidita’ di capire che il macrobiotico non e’ la risposta, ma che, grazie alla sua fallimentare esperienza, avrebbe potuto trarne un’opera su come avrebbe voluto che andassero le cose. Anche qui niente di nuovo. La maggior parte dei registi esordienti dedica ai propri mentori l’opera prima. Il suo ispiratore, per quanto si possa stentare a crederci, e’ Enrico Berlinguer, musa politica, non cinematografica, si intende. Ne nasce cosi ‘Quando c’era Berlinguer’, un documentario, scherzi a parte, davvero ben riuscito sulla vita dell’ex segretario del Partito Comunista Italiano. Nonostante alcuni errori (attribuibili comprensibilmente alla giovane eta’) come quello di abbinare titoli di coda e immagini (grave mancanza di rispetto verso chi ha partecipato alla lavorazione del film) e delle interviste vagamente pedanti e fuori luogo al principio del film, la pellicola di Veltroni e’ realmente un ritratto dell’Italia migliore che fu. Berlinguer ne esce come il Quinto Beatle- amato da tutti: dai giovani e dai loro genitori, dalla sinistra, ma anche stimato dalla destra.
Difficile davvero trattenere le lacrime vedendo per un’ora e mezza politici ed intellettuali dalla sessantina in su’ commuoversi parlando di ideali e valori, di integrita’ etica e morale dell’ultimo vero politico italiano, la cui scomparsa segno’ il lento declino del Partito Comunista Italiano. Non ci interessa entrare nel merito politico, l’opera di Berlinguer ha per noi oggi del fantascientifico (I toni infatti risultano vagamente fiabeschi, a tal punto da indurci a ribattezzare Il documentario “C’era una volta Berlinguer”), contenutisticamente pero’ il film di Veltroni e’ riuscito nella missione, dichiarata dai titoli di testa, di realizzare un tributo alla buona politica e alla memoria collettiva di cittadini italiani.
Tecnicamente e strutturalmente molto didattico (probabilmente arrugginito dagli anni, risalendo il diploma al 1973), ma mai banale, “Quando c’era Berlinguer” e’ tuttavia un film dal quale e’ difficile distrarsi, che cattura lo spettatore per l’intera sua durata, per l’appunto sia quelli che hanno vissuto gli anni di Enrico, sia per quelli che non avuto questo onore, costretti a conoscere solo Arcore, I suoi conflitti d’interesse e fatti giudiziari (detta appunto “Generazione Berlusconi”).

Se questo documentario sia un atto di colpa politico di Veltroni non ci e’ dato saperlo. Rimane il film. Bello, genuino e semplice. Non era richiesto altro. E’ cosi che ce lo abbiamo in mente tutti Berlinguer: bello, genuino e semplice. Come il suo partito. Diverso da tutti gli altri Partiti Comunisti al mondo. O come dice Jovanotti: “La parola ‘comunista’ e’ una parola che non mi fa paura, perche’ la riconduco a quel volto e a quel sorriso”.

VELOCITA’: Unica prerogativa del documentario, è che scorra. “Quando c’era Berlinguer” viaggia. E viaggia bene.
TEMPERATURA: Rossa come le bandiere di qualche tempo fa. Calda come gli animi di Piazza San Giovanni.
QUALITA’: Nonostante le battute di spirito, ci riserviamo la possibilità di definirla una pellicola quantomeno dall’alto spessore contenutistico
DA VEDERE CON: Tutti. Fate un compromesso storico con gli amici dello schieramento opposto e guardatelo  insieme. Col sorriso.

Gli abbinamenti food

Difficile fare gli abbinamenti a un film del genere. Per giunta non parlando nemmeno di politica, questa recensione complica l’operazione. Teoricamente dovremmo mettere barbera e un panino di mortadella, ma è davvero banale e non renderemmo giustizia né alla barbera (che era il vino degli operai e dei contadini) né alla bologna (che accompagnava la barbera).

Eccoli:

Vino: Pio Cesare è un produttore serio che ama la tradizione da sempre e, soprattutto, non molla perché ha vigne proprie. Provate questa Barbera d’Alba del 2010 e ritroverete un gusto e un sentore veri.

Salumi: e se di mortadella dobbiamo parlare eccone una particolare davvero, la mortadella di asino del Salumificio Santoro di Cisternino, già produttore del Capocollo di Martina Franca. E’ un presidio di Slow Food. E non pensate abbia un prezzo proibitivo, tutt’altro: 3 euro per una vaschetta di 120 gr. Li vale tutti.

Cioccolato: stiamo su un italiano doc, Novi fondente Extra, un gusto lungo e persistente. Non siate esagerati: accontentatevi della tavoletta di 100 gr, a meno che siate in tre, allora va bene quella da 200 gr.

 

1 commento

  1. Molto bella e ironica l'analisi fatta da Giulio su questo documentario che ci ha stupito un po' tutti, visto il nome del regista esordiente.

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