Cibo scaduto: il retail e l’IDM devono pensarci
Novembre 2013. Una recente ricerca di Waste Watcher-Osservatorio permanente sullo spreco di Last minute market permette di analizzare in profondità i motivi dello spreco alimentare.
. Quando si spreca. La ricerca mostra il progredire di una coscienza verso lo spreco sorprendente, complice la crisi e la ricerca dell’ottimizzazione della spesa. Coloro che sprecavano 1 volta a settimana sono passati in un anno dal 60 al 27%, coloro che non sprecano quasi mai dal 23 al 57%. Si badi bene, in un anno. La difformità di comportamenti così accentuata è dovuta a un cambio comportamentale molto articolato:
. il cibo non dura una settimana, dichiara il 13%,
. ho comprato confezioni troppo grandi, 10%, da qui la necessità di rivedere pack e peso,
. non sembra buono, sicuramente era bello sul lineare, ma non basta più per convincere la persona ad acquistare, 10%,
. ho sempre paura di non avere a casa cibo a sufficienza, è un target esteso, soprattutto sono le persone che lavorano e viaggiano, sulle quali, comunque, non si può insistere e spingere più di tanto gli acquisti, 7%,
. compro troppo cibo, 5%.
Fra i cibi gettati ovviamente i posti di onore spettano ai freschissimi: 54% frutta, 50% verdura, 33% formaggi.
Più interessanti di queste cifre, che, comunque, sono un caposaldo per chi vuol capire il sistema degli sprechi e la sua genesi, sono i verbatim collezionati dai ricercatori nelle diverse regioni. Ne esce un mosaico sul quale i dirigenti di marketing dell’IDM e della GD devono riflettere con attenzione e calibrare comunicazione, volantini e lineari di vendita.
Lombardia: ammuffisce.
Friuli Venezia Giulia: la verdura se non è appena raccolta va a male subito.
Piemonte: sia fa la spesa una volta la settimana e non dura.
Liguria: c’è la paura di rimanere con il frigo vuoto.
Toscana: va a male.
Umbria: è colpa delle maxi confezioni.
Lazio: si acquista troppo cibo e rimane in frigo.
Campania: si cucina troppo rispetto al consumo.
Sardegna: si fa sempre una spesa esagerata.
Sicilia: non ha un buon sapore-odore.
Veneto: si comprano confezioni troppo grandi.
Emilia Romagna: si fanno acquisti superficiali e non piacciono.
Abruzzo: si calcolano male le quantità.
Calabria: non si mangiano gli avanzi.
Basilicata: si butta appena il sapore cambia.
Puglia: si calcolano male le dosi.
È un elenco dettagliato che suona quasi come una ribellione a chi progetta la massificazione degli acquisti e le centralizzazioni dei rifornimenti, fattori economicamente importantissimi per la logistica, ma che non tengono conto del risultato finale di gran parte dei freschissimi, soprattutto in tempo di crisi. Da qui possono partire molti interrogativi:
. chiedere agli agricoltori a monte della filiera di rispettare di più il ciclo di vita del prodotto?
. dare più importanza alla stagionalità?
. ridurre le referenze?
. lavorare con produttori locali e cedi locali più piccoli?
O altri interrogativi ancora.
Rimane il fatto di un malessere strisciante evidente da parte del consumatore, che, prima o poi, dovrà essere affrontato e risolto.