Cina, lo specchio delle nostre debolezze
Maggio 2012. Visitare Shanghai è sperimentare la negazione di qualunque consolidata conoscenza storica.
Da sempre il potere manifesta se stesso attraverso il bello, come segno di dominanza e forza. Così è nata Roma, Parigi, Vienna, Londra, New York e qualunque città nel mondo.
Tranne Shangai, dove il crescente potere si accontenta di costruire una città dormitorio, una Sesto San Giovanni ripetuta all’infinito, destabilizzante, alienante.
Da sempre la storia lascia il suo segno e al contempo posto alla modernità, al cambiamento: abitudini, valori, ma anche simboli e segni visivi del vecchio sono affiancati dal nuovo, creando luoghi ed esperienze uniche e distintive.
Tranne Shanghai, il non-luogo più non luogo di tutti: ormai ci siamo tutti abituati ai non-luoghi della mobilità, dagli ascensori con sottofondo di muzark agli aereoporti, alle stazioni della metropolitana. Ma vivere in un non-luogo è davvero un livello superiore di straniamento.
A Shanghai non c’è traccia della storia: i pochissimi resti di un passato unicizzante sono maltrattati dall’invasione di una standardizzazione occidentalizzante del tutto anonima. Shanghai è come vivere dentro un ascensore, e non è areosa come sensazione.
Luoghi comuni?
Di solito tutto questo la gente che torna da Shanghai non lo dice: preferisce elogiare alberghi che avendo previsto l’installazione di tante diverse prese elettriche non richiedono l’uso dell’adattatore, si lascia sedurre dal numero di gru e dai grattacieli. “Hai visto quanti?”, dice quando sarebbe più giusto dire “Hai visto che brutti?”
Se sollevi la questione, di solito la gente ti risponde che è colpa di Mao, è colpa del comunismo che ha cancellato tutto. Storia e religione. Risposta debole perché 60/70 anni di comunismo non hanno certo il potere di cancellare una storia millenaria e nell’Europa dell’Est non hanno nemmeno scalfito il sentire religioso. Quindi? La risposta deve essere un’altra, attiene all’attitudine profonda di un popolo e la risposta è forse antropologica.
Arrivi a Shanghai e ti aspetteresti un piano urbanistico, la mano di grandi architetti, un’intrigante mescolanza di antico e iper-moderno. E invece no, ti senti chiuso in un gigantesco anonimo globale centro commerciale. Per altro riempito esclusivamente da marche occidentali, con una ripetizione ossessiva.
E qui arriviamo a un altro punto, anzi il punto: da sempre il mondo si domina con visione e idee. A volte sbagliate, ma pur sempre motore della forza. No, in Cina, no: qui esiste solo la cultura della copia. Niente altro. Si comprano icone fatte da altri. Si cresce un popolo che, ahimè, dominerà il mondo solo perché un miliardo e mezzo di persone avrà da spendere 10 euro.
Non c’è altro.
Gli Stati Uniti hanno dominato il mondo a colpi di idee, su tutto: dalla musica alla tecnologia. Possiamo odiarli, possiamo amarli – e io li amo – ma così è stato. Non sarà così la dominazione cinese.
Ma la vera questione non l’abbiamo ancora affrontata: perché l’Occidente si fa mettere in scacco da un Paese che dimostra di dimenticare la storia, non avere il bisogno del bello e, ancora più grave, non ha idee?
Se solo l’Europa avesse ancora un sogno, un orgoglio e un po’ di gioventù vedrebbe con agilità come “gestire la questione cinese”.
Una proposta di riposizionamento
Basterebbe non vendere nessun sistema produttivo, riportare tutte le produzioni dell’eccellenza e del lusso nei paesi di origine, dall’Italia alla Francia, e poi vendere la risultante di quella produzioni ai nuovi miliardari cinesi che sono felice di spendere il più possibile, ammortizzando i costi di un sistema produttivo meno competitivo.
Le borse di Prada in Cina potrebbero costare 10.000 euro ed essere firmate 100%made in Italy e così tutte le altre label del lusso, e poi l’arredamento, il design, i vetri di Murano…tutto, costruendo linee di iper-lusso destinate ai nuovi ricchissimi del mondo.
Le nostri sorti economiche cambierebbero in fretta: basterebbe capire cosa vuole bulimicamente quel mercato e farglielo pagare profumatamente, facendo sistema.
Invece no, vendiamo alla Cina le nostre eccellenze, produciamo lì e rivendiamo qui, per altro sempre meno.
La vera domanda quindi non è perché la Cina è così ma perché noi europei ci facciamo “cinesizzare”. Forse perché la voce dell’Occidente oggi è quella del mondo finanziario, che come la Cina ridicolizza la storia, non conosce il bello e soprattutto non ha idee ma solo forza bruta….