Come fare la spesa sostenibile: il caso del latte in Pam-Panorama

Data:

Febbraio 2020. Quanto è facile per un consumatore oggi fare una spesa all’insegna della sostenibilità? In che modo i retailer aiutano il consumatore ad orientarsi? 
Guidati da queste domande e sempre mettendoci nei panni di un consumatore informato, attento alla sostenibilità e disposto a pagare un prezzo un po’ più alto per un prodotto di cui può riconoscere il maggior valore in termini di sostenibilità, continuiamo la nostra indagine con il quarto approfondimento in cui analizziamo l’offerta del latte a marchio PAM nel punto vendita di via Marconi a Bologna.
Reparto Latte, Formaggi e latticini 
Prodotto: Latte 
Marchio: PAM

L’esperimento davanti allo scaffale.

Come fatto la scorsa volta, anteponiamo un’avvertenza in merito al formato del punto vendita: siamo stati in un supermercato, in centro città, ristrutturato di recente, aperto fino alle 23.30. Alle 12 di lunedi sembrava al 60% della capienza e i rifornimenti erano in pieno corso: segnali di un’alta rotazione che può aver condizionato lo stato dello scaffale e in particolare del prodotto a marchio del distributore.

Lo scaffale è nuovo e soprattutto è chiuso da due ampie ante che lasciano vedere perfettamente il contenuto dei vari ripiani. È il primo scaffale frigo di nuova generazione che incontro in questo esperimento e questo mi predispone bene, sia perché è un’evidente attenzione al risparmio energetico del punto vendita, sia perché la sensazione è di un maggiore ordine e protezione per il latte e gli altri prodotti che sono custoditi nello scaffale.

La magia si spezza però appena cerco di orientarmi -ad ante chiuse- tra la selva di prodotti che ho davanti. Ci sono tre ante di cui due dedicate al latte (così recitano le scritte poco visibili in alto – vedi foto) e una alle spremute, però di spremute non se ne vedono e nel primo ripiano in alto ci sono prodotti che non sono né latte né spremute, percepisco un po’ di disorientamento.

Alla ricerca del prodotto a marchio PAM lo sguardo viene in parte catalizzato dalla colonna blu (il pack del latte senza lattosio, sia a marchio PAM che non) e dallo stopper che indica il “prezzo promessa”, quello che PAM promette sarà basso per sempre. Non rientra nell’analisi quindi passo oltre alla ricerca del latte a marchio PAM che alla fine si lascia trovare: è sul penultimo ripiano dello scaffale, poco visibile nonostante la reglette “prezzo promessa” e lo stopper bianco e rosso. Il pack nemmeno aiuta, l’etichetta ha solo una macchia di colore per il resto è bianca e si confonde con la bottiglia. 
Niente ci parla di sostenibilità né ci orienta nella scelta in maniera decisiva.

Difficile anche individuare le diverse tipologie: intero, parzialmente scremato, microfiltrato (più giorni). Ficco la testa nello scaffale per scattare una foto e così scopro che ci sono tutte le varianti: tappo blu, rosso, rosa e azzurro. Per il resto sono quasi identici, al solito il microfiltrato ha la bottiglia in PET bianco non riciclabile, sembra una costante da cui solo Coop si discosta finora.


Mi metto alla ricerca del latte biologico e con un po’ di fatica lo trovo tra gli altri brick e sempre sullo stesso ripiano. Ha un pack in cartone e un prezzo un po’ più basso degli altri che ho visto in precedenza, mi pare un buon candidato per la palma del prodotto più sostenibile.


Gettando lo sguardo in quell’area dello scaffale vedo che nel ripiano più basso ci sono delle confezioni in cartone con il marchio PAM: è lo stesso latte alta qualità che prima era in bottiglia ma ha un formato da 1,5 lt e il pack in cartone con tappo in plastica. Si distingue da tutti gli altri e grazie al formato ha anche un prezzo al lt più basso di quello in bottiglia. Faccio due conti e mi solletica l’idea che due cartoni da 1,5lt contengano la stessa quantità di latte di tre bottiglie da lt. In pratica non solo il packaging è in cartone e non in plastica ma ogni 3 litri evito l’uso di una confezione. Dovrei essere certo di consumare 1,5 lt di latte in 3-4 giorni se voglio evitare sprechi che andrebbero ad annullare l’effetto positivo del minore uso di packaging ma, per ora, mi pare una buona soluzione alternativa al biologico per impattare meno comprando latte a marchio PAM. 
Approfondiamo e vediamo se si conferma.


Sullo scaffale si distinguono 4 linee di prodotti a marchio PAM (escluse come sempre le linee speciali senza lattosio e ad alta digeribilità): 
Latte Fresco Alta Qualità da 1,5lt – 1,50€  Intero e PS con pack in cartone Elopack
Latte Fresco Alta Qualità da 1 lt – 1.09€ Intero in PET trasparente e analogo PS
Latte Biologico Pastorizzato – 1.39€ Intero con pack in cartone Elopack 
Latte Pastorizzato Microfiltrato – Dura più giorni 0.99€ (Intero e PS) in PET bianco

 Analisi del prodotto 
Come per tutte le precedenti analisi, per questa tipologia di prodotto gli indici di sostenibilità che un consumatore consapevole e in cerca di sostenibilità a buon prezzo può valutare davanti allo scaffale sono: 
L’origine della materia prima – latte italiano, Alta Qualità, biologico 
Lo stabilimento di produzione – la distanza  
Il trattamento di conservazione – fresco pastorizzato, microfiltrato, pastorizzato ad alte temperature
Il packaging – se riciclabile, se rinnovabile, se certificato

La materia prima – latte italiano, AQ, bio

La zona di mungitura indicata è per tutti prodotti l’Italia senza ulteriori specifiche.
Per il latte alta qualità non ci sono particolari dichiarazioni se non quelle che sottolineano la provenienza 100% italiana del latte. Lo stesso si può dire per il latte microfiltrato e per la versione analoga al latte Alta Qualità ma parzialmente scremato.  

Il latte biologico – oltre al marchio europeo di certificazione – riporta una chiara indicazione di sostenibilità che in qualche modo sembra fatta apposta per richiamare le domande che avevamo sollevato nel numero 0 di questa serie di articoli, quello dedicato al metodo di analisi. Eccola qui in foto.

Perché una generica dicitura come “tecniche agronomiche rispettose dell’ambiente”? 
Di solito un claim di questo genere si trova su prodotti che non hanno certificazioni, è una sorta di ombrello sotto il quale può finire qualsiasi cosa. Usarlo su una confezione di un prodotto biologico può essere significativo per chi non ha idea di cosa sia il biologico ma è troppo generico e confonde: se la stessa dichiarazione la trovo su un prodotto senza certificazione non sarò portato a credere che siano sostenibili allo stesso modo? 
A cosa si riferisce la dicitura “salvaguardia della Natura” con la N maiuscola? La Natura è un concetto vago e in gran parte messo in discussione da una riflessione seria sullo sviluppo sostenibile. Magari funziona per richiamare valori di autenticità e purezza ma può essere oggetto di confusione esattamente come il “rispetto per l’ambiente” o altre simili espressioni. E soprattutto, in che modo tutto questo si riverbera sulla qualità del prodotto o sul benessere animale? Non è dato saperlo. L’etichetta generica, uguale per tutte le linee di prodotto certificate bio, non è efficace per un prodotto di origine animale come il latte e soprattutto non mi dice praticamente nulla su come vivono gli animali, cosa mangiano, come vengono curati nel caso si ammalino.

Stabilimento di produzione – la distanza

Anche se abbiamo appurato nelle precedenti analisi che ha un peso sul computo della CO2e del tutto residuale, la distanza dal punto vendita rimane uno dei pochissimi criteri in mano al consumatore per valutare le emissioni di CO2e. Ne riportiamo i dettagli non tanto perché sono una misura importante ma sempre per mostrare e dimostrare quanto si possa fare confusione se non si hanno le giuste informazioni: ci si perde in dettagli irrilevanti o addirittura contraddittori (come ad esempio il caso di uno stabilimento vicino che però raccoglie latte da tutta Italia in confronto ad uno stabilimento un po’ più lontano che raccoglie latte da una zona bene precisa). 
Per il biologico lo stabilimento è a Campoformido (UD) a 252 km, per l’Alta Qualità lo stabilimento è lo stesso del latte microfiltrato ed è ubicato a Albano S. Alessandro (BG) a 233 km. 
Le domande a cui un consumatore non può rispondere per carenza di informazioni da parte del retailer rimangono le stesse : quanto incide sull’impronta ambientale la distanza tra l’allevamento e lo stabilimento, e dal punto vendita allo stabilimento di produzione? La differenza tra i vari stabilimenti è significativa, o vista l’alta impronta di CO2e della fase di allevamento sarebbe un valore residuale nel calcolo dell’impronta del nostro latte? 


Trattamento
Abbiamo in questo caso il latte biologico che è stato pastorizzato ad alte temperature e quindi ha perso un po’ della sua qualità, mentre il latte alta qualità è pastorizzato ma a temperatura minore come quello a durata prolungata che è microfiltrato. Entrambi dovrebbero avere maggiori proprietà nutrizionali ma come già rilevato in precedenza, nulla viene indicato in etichetta né come parametri nutrizionali né come semplici dichiarazioni di bontà. Il latte fresco microfiltrato sembra quello da preferire tra i trattamenti di conservazione in quanto non usa alte temperature e migliora sensibilmente la durata (almeno 10 gg dal trattamento): meno CO2 emessa (sempre presunta e in misura da definire) rispetto alla pastorizzazione ad alta temperatura del biologico e minore rischio di spreco alimentare domestico rispetto a quello Alta Qualità. Come però già anticipato è nel solito PET bianco non riciclabile.

Packaging


Abbiamo quattro tipologie di packaging: il PET bianco della linea microfiltrato Dura più giorni, il PET trasparente del latte Alta Qualità, il cartone Elopack Diamond del latte biologico e il cartone Elopack PurePack del latte Alta Qualità da 1,5lt (la differenza tra i due Elopack è visibile solo se si guarda sotto le alette e non risultano composizioni e smaltimenti differenti da quanto riportato sul pack) 
Sappiamo che il PET bianco non è riciclabile eppure è l’unico che contiene latte microfiltrato: non c’è corrispondenza tra il contenuto e il contenitore, anche se la scelta del materiale è per tutelare il latte più a lungo, quella di un polimero non riciclabile non è l’unica soluzione per un pack che protegga più a lungo.
Il PET trasparente è riciclabile ma è pur sempre plastica. 
Elopack della linea biologica come quello PurePack dell’AQ ha la certificazione FSC misto per la componente di cartone che è quella principale del poli-accoppiato. Ma nelle indicazioni di smaltimento leggiamo che rientra nel CPAP quindi il suo effettivo riciclo dipende dal comune e dagli impianti disponibili sul territorio. La cosa interessante è che cercando sul web si scopre che Elopack è un’azienda carbon neutral e così sono anche i suoi packaging: perché non riportarlo sull’etichetta? 
In ogni caso il cartone sebbene abbia il tappo in plastica e un riciclo un po’ più complesso rappresenta per il consumatore in cerca di sostenibilità la scelta più convincente, e tra i due Elopack quello del formato da 1,5lt ha senza dubbio la meglio, sia per convenienza economica che per impronta ambientale.

Giudizio di sintesi

L’offerta del latte a marchio PAM 
Rispetto alle precedenti l’offerta è sempre ad un buon livello ma non ha picchi di eccellenza e sostenibilità per quanto riguarda la materia prima che è genericamente italiana. Non ci soddisfa l’etichetta del biologico come già motivato mentre il packaging quasi tutto riciclabile vede anche un interessante Elopack a emissioni compensate alla fonte. Anche se il formato da 1.5lt è una bella innovazione l’offerta complessiva rimane comunque un mezzo punto sotto l’ottimale.

Giudizio 3,5 su 5

Il prodotto più sostenibile
Con le informazioni incomplete di cui un consumatore può servirsi davanti allo scaffale il latte più sostenibile a marchio PAM è il latte fresco AQ da 1,5lt. 
Materia prima italiana Alta Qualità, uno stabilimento che tra tutti è il più vicino al punto vendita, packaging a base di cartone certificato FSC Misto e soprattutto il formato da 1,5 lt che riduce sia i costi che il peso del packaging sul contenuto senza appesantire troppo la programmazione del consumatore: si tratta di 7,5 bicchieri di latte da 200ml. Se due persone ne consumano uno al giorno la confezione sarà interamente consumata in 4 giorni, tempo limite per la buona conservazione del latte come indicato sulla confezione.
Soluzione originale che in fondo risolleva un’offerta che non entusiasma ma mantiene un buon livello.  
Voto 3,5 su 5  
 


Il retailer

La scelta non è semplice per il consumatore che cerca sostenibilità, lo scaffale è caotico e le indicazioni sul prezzo basso non sono efficaci se non per segnalare il latte senza lattosio. Eppure PAM nel Local ha apportato una piccola innovazione nella comunicazione che va nella giusta direzione. Prezzo digitale evidenziato in maniera efficace, presentando tre tipologie di segnalazione che richiamano criteri di sostenibilità: latte italiano, biologico o del territorio. Perché solo nel formato Local evidenziare la sostenibilità a scaffale? Vedremo se la novità prenderà piede anche negli altri format e/o in altre insegne. 
 
Il giudizio sul retailer a questo punto è complicato dalle contraddizioni: lo scaffale è a basso consumo ma poco intellegibile, l’offerta non è qualitativamente brillante né la comunicazione sul pack ci parla di sostenibilità in maniera adeguata ma è la prima volta che troviamo un formato da 1.5lt in pack cartone. A tenere PAM sul livello degli altri reatiler c’è questa piccola ma efficace novità del bollone sul prezzo digitale che viene usata principalmente per dare evidenza a criteri di sostenibilità dei prodotti a scaffale. 
Una strada semplice, che usa gli strumenti già in possesso dei retailer per fare chiarezza e orientare le scelte verso la sostenibilità, se estesa e perfezionata potrebbe portare PAM ad essere una delle prime realtà a orientare non solo in base al prezzo ma anche in funzione del valore di sostenibilità del prodotto.

Voto 2 su 5 
che diventerebbe 3 su 5 se le evidenziazioni a scaffale venissero adottate anche nei PAM Panorama.

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