Conviene ancora aprire Pet Store?

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I Pet Store hanno avuto un veloce sviluppo, dettato anche dall’impegno diretto di importanti fondi d’investimento. Quali caratteristiche devono avere, però, per rappresentare ancora oggi un buon modello da sviluppare?

È da qualche anno ormai che, in diversi casi, alcuni imprenditori indipendenti ci chiedono la nostra opinione riguardo alla convenienza di aprire o meno punti vendita dedicati agli animali.

A questo proposito, è opportuno tenere presente che, oltre agli specialisti di settore, molti importanti player della grande distribuzione convenzionale si sono cimentati già da tempo nel campo dei negozi pet. Pensiamo ai casi di PetStore Conad, Amici di Casa Coop e Animali che Passione Selex, tanto per fare degli esempi.

I pet store, dopotutto, rispondono ad un’esigenza chiara. In un Paese afflitto dal declino demografico gli animali domestici sono diventati più numerosi degli esseri umani. Euromonitor stima ce ne siano attualmente circa 65 milioni.

Soprattutto cani e gatti, poi, svolgono anche una funzione sociale in un mondo interconnesso dove, secondo l’opinione diffusa, le interazioni umane si sono diradate e raffreddate. È in tale contesto che avere l’affetto di un cucciolo può risultare benefico per la salute ed è per questo che la GDO si è attrezzata con linee di prodotti e di negozi dedicate.

Che incrementi registra il mercato?

Sulla carta, il mercato dell’alimentazione cane/gatto cresce e, infatti, Arcaplanet e Isola dei Tesori, i principali player nazionali specializzati, negli ultimi anni hanno avuto un exploit significativo con l’apertura di nuovi store a tamburo battente.

Non dobbiamo dimenticare però che entrambe queste catene hanno visto l’ingresso, nel proprio capitale sociale, di importanti fondi di investimento.

È bene ricordarlo perché, solitamente, quando i fondi si cimentano in un progetto retail, hanno l’obiettivo di aumentare repentinamente ed in modo rilevante il fatturato e la presenza territoriale al fine di assicurarsi le location migliori e, con esse, il mercato.

Una volta ultimato il piano di sviluppo ed incrementato il valore della quota societaria detenuta, tendenzialmente tali veicoli d’investimento vendono l’azienda a terzi. Arcaplanet, ad esempio, è stata recentemente acquisita dal colosso del petfood tedesco Fressnapf.

Questo elemento è fondamentale da considerare perché quando in un mercato operano i fondi si rischia di guardare ad uno scenario falsato, dove lo sviluppo non è trainato solo dal cash flow generato dall’azienda ma anche da ingenti capitali esterni. Le somme, quindi, si possono tirare solo quando questi capitali smettono di fluire ed il business deve rimanere in piedi con le proprie forze.

Per quanto concerne le due principali catene di pet citate, nel prossimo triennio vedremo su quali livelli di performance si assesteranno.

Quali sfide per un business retail a basso volume?

Per business a basso volume si intende un modello che sviluppa vendite a mq contenute, generalmente inferiori a quelle del retail alimentare. È, ad esempio, il caso dei pet store.

Fino a qualche anno fa, prima dell’impennata inflattiva, della guerra in Ucraina e del Covid, le vendite/mq generate dai pet store erano generalmente al di sotto della soglia dei 2.000€. Parliamo di negozi che realizzavano 1.700/1.800€ a mq circa.

Oggi la situazione è cambiata perché alcune catene superano i 2.000€/mq di media per attestarsi anche sui 2.500€/mq. Sono però numeri diversi rispetto al retail alimentare che viaggia su cifre doppie, triple e quadruple.

I business a basso volume hanno, da sempre, due necessità, ovvero presentare prezzi più competitivi rispetto a quelli applicati dai retailer generalisti e riuscire ad ottenere margini abbastanza alti da coprire i costi e garantire profitti, nonostante le basse vendite/mq.

È vero che i pet store hanno costi di gestione più limitati se messi a confronto con quelli dei supermercati ma è anche vero che, in mancanza di un margine adeguato, sviluppando fatturati contenuti, agli occhi di un imprenditore aprirne uno può apparire azzardato per mancanza di adeguata redditività.

Se guardiamo a questo spaccato del 2022, estratto da un benchmark di categoria, ci accorgiamo di come i margini delle due catene specializzate principali siano decisamente buoni, proprio in virtù di quanto dicevamo prima.

In questa particolare situazione, per praticità, con il termine “margine” si intende il margine sui consumi mentre nel “margine allargato” si somma anche la voce “altri ricavi”.

Per alzare i margini ed abbattere i prezzi Arcaplanet, ad esempio, ricorre molto alla leva dell’MDD che ormai, all’interno della catena, veicola all’incirca il 50% dei volumi. Questo tipo di strategia però, in alcuni casi, rischia di rivelarsi controproducente per lo sviluppo delle vendite.

Da un lato, infatti, nel mondo del pet i veterinari hanno ancora un grande peso nel consigliare i clienti e, visto che tendenzialmente suggeriscono l’acquisto di prodotti noti, non trattare alcuni di questi articoli in assortimento significa perdere occasioni per incrementare la cifra d’affari.

In seconda battuta, un business specializzato necessita di essere conveniente sui prodotti di marca di modo che il cliente fidelizzato a quei marchi possa percepire il reale vantaggio di acquistare presso lo specialista. Aumentare oltremodo la presenza di MDD, a scapito dei prodotti più famosi, rischia di rendere i negozi meno comparabili con l’esterno, facendo sfumare la percezione di convenienza.

Non dimentichiamo che nel mercato pet ciò ha ancora più valore visto che il benchmark i clienti lo effettuano costantemente anche consultando piattaforme online come Zooplus ed Amazon. A differenza di quanto accade nell’alimentare, infatti, qui il canale online ha una quota di mercato superiore al 10%.

Ciò non significa che l’MDD non costituisca un’ottima leva competitiva ma bisogna fare attenzione a non farla diventare l’unica scelta disponibile.

E per quanto riguarda l’affiliazione?

Per rispondere alla domanda che dà il titolo a questo articolo, volendo dare una prospettiva ad un imprenditore affiliato potenziale, dobbiamo prima fare una considerazione: importanti operatori del settore come Arcaplanet, ad esempio, non fanno franchising.

Questo accade perché nei business a basso volume è opportuno avere un controllo totale sull’assortimento trattato di modo da negoziare al meglio con i fornitori, ottimizzare le quantità, incrementare il margine e scaricarlo tutto sulla rete di negozi affinché essa possa risultare profittevole.

Operare, infatti, con un margine troppo contenuto in un business che sviluppa vendite/mq ridotte è un gioco a perdere.

Per aprire un pet store in affiliazione è importante concentrarsi su due aspetti fondamentali. Per prima cosa, il posizionamento dell’insegna non dev’essere troppo premium. Il consiglio è quello di posizionarsi al massimo a 100 rispetto ai concorrenti principali.

È poi preferibile ottenere un margine complessivo di almeno 35/36 punti percentuali. Ovviamente, alcuni format hanno vendite/mq superiori rispetto ad altri e ciò va assolutamente considerato ma, in linea di massima, queste sono le indicazioni che ci sentiamo di fornire.

Continueremo a verificare le performance dei format pet al fini di analizzare le strategie che risultano vincenti per le imprese e per i loro clienti.

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