Discount 3.0, in una società in evoluzione

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Discount 3.0, in una società in evoluzione

Giugno 2013. In una società che sta vivendo una profonda evoluzione sociale che impatta fortemente anche sugli stili di vita e quindi di consumo, è necessario prendere atto che il discount del futuro potrà e dovrà essere ben diverso da quello che finora abbiamo conosciuto, e questo nonostante negli ultimi anni questo format abbia registrato indubbi successi, incontrando il favore dei consumatori anche in seguito alla perdurante recessione che sta ridisegnando le abitudini di consumo degli Italiani.

In Italia la crescita del discount (sia a valore che a volume) sta rallentando nei primi 3 mesi del 2012 come testimoniano i dati SymphonyIRI.
 

Se allarghiamo la prospettiva agli ultimi anni in effetti possiamo notare come l’incremento della rete non abbia coinciso con un aumento della quota sui consumi LCC (largo consumo confezionato) che resta di poco superiore al 10%, ancora lontano dai valori europei.

La spiegazione di questa mancata correlazione tra quota e crescita della rete è in parte imputabile alla progressiva saturazione del mercato (non solo del format discount) e a una minore qualità delle nuove aperture (scelta di location e bacini con potenziali via via inferiori).

Come detto, la crescita degli ultimi anni è stata certamente “incentivata” dal contesto economico, ma sarebbe improprio dire che i discount ne abbiano semplicemente “beneficiato”, dato che tutti i principali players del settore hanno messo in campo strategie di evoluzione sul fronte dell’offerta e dei servizi che hanno saputo incontrare il favore dei consumatori in un momento tanto delicato. E’ però indubbio, come testimoniano numerose indagini, che i discount siano stati per molti consumatori un “canale rifugio”, ovvero un modo per fare fronte al contesto modificando le proprie preferenze di spesa alla ricerca di un maggiore risparmio.


 
In sintesi, qual è stato il percorso evolutivo dei discount? Senza soffermarsi in eccessivi distinguo, possiamo suddividere il ciclo di vita dei discount in tre principali passaggi:

1.    PRICE! Fase caratterizzata da una forte enfasi sui prezzi, con layout molto semplici, un assortimento non particolarmente ampio né tantomeno profondo, e nessun tipo di servizio;

2.    MORE GOODS, BUT ALWAYS CHEAPER! Un assortimento più ricco– c’è chi intraprende, più o meno prudentemente, la strada delle private label e chi invece inserisce le marche leader– i punti vendita divengono meno “austeri” e si iniziano attività di comunicazione di tipo promozionale più classiche, abbandonando in alcuni casi l’approccio puro every day low price;

3.    SERVICES AND PROMOTIONS! Si introducono i reparti freschi e assistiti, per aumentare il servizio alla clientela ampliando così la sovrapposizione competitiva rispetto ai supermercati; si arricchisce l’offerta con prodotti non food– tale aspetto per alcuni retailers diviene addirittura la principale value proposition per il cliente- e aumentano gli investimenti in comunicazione, soprattutto promozionale.

 

Partendo dalla considerazione che la crescita di questi anni è stata aiutata anche da una certa distrazione e sufficienza con la quale gli altri formati (supermercati in primis) e l’industria hanno osservato l’evoluzione in atto nei discount, la domanda da porsi è: quale dovrà essere il prossimo passo del discount?

Il rischio che si corre oggi, però, è che il percorso evolutivo del formato inizi a somigliare troppo a quello dei supermercati.

Per inseguire i volumi, infatti, negli ultimi tre anni la pressione promozionale  è aumentata, soprattutto in alcuni comparti (pensiamo ai freschi e al freddo, quelli in qualche modo più esposti alla concorrenza trasversale degli altri formati, dove la pressione media è raddoppiata in soli 2 anni).

Tale scelta porta con sé delle ovvie conseguenze: per i discount in cui la quota del prodotto di marca è ancora elevata, ciò comporta una pericolosa erosione dei margini; per i discount in cui le private label hanno un ruolo cruciale, un’eccessiva pressione promozionale rischia di alterare la strategia di costruzione della scala prezzi, sia quella reale che- cosa ancora più importante- quella percepita dal consumatore/cliente con conseguenti rischi di disorientamento.

Ma al di là di queste ovvie considerazioni sarebbe sufficiente volgere lo sguardo agli altri canali- ipermercati in primis- dove la sempre maggiore pressione promozionale (che ha sfondato il 28%) non è andata di pari passo con un miglioramento dei volumi, anzi ha drogato il mercato trasformando i consumatori in cherry pickers seriali.

Riempire le cassette delle lettere di volantini non sarà sempre la strada migliore…

Il discount deve disegnare nuove strade di crescita, che siano sostenibili non solo nel breve ma anche nel medio e lungo periodo.

Il primo passo da compiersi sarà pertanto andare oltre la connotazione di “canale rifugio” ma senza perdere l’atout della convenience. Il percorso che i discount dovranno compiere dovrà passare attraverso questi i seguenti elementi:

1.    una gestione strategica degli assortimenti attraverso un’accorta attività di category management che preveda un attento monitoraggio dei nuovi stili di consumo;

2.    migliorare l’appeal del punto vendita, organizzando in modo più distintivo la “rappresentazione” della propria offerta merceologica, facendo contestualmente una vera attività di branding sui propri marchi;

3.    imparare a dialogare coi territori per divenire il nuovo e vero proximity store, anche lavorando geograficamente su assortimenti e offerta promozionale (non solo volantino);

4.    implementare attività di loyalty marketing che sappiano essere distintive e contribuire al branding d’insegna.

Vediamo però rapidamente alcuni di questi punti, partendo dall’ultimo citato.

E’ oramai maturo il tempo che anche i discount varino attività di customer relationship management: il fatto che nei primi mesi del 2013 i comparti merceologici dei discount che stanno registrando i maggiori incrementi (in valore) siano il fresco e l’ortofrutta (rispettivamente +5,2% e +11,7% in base ai dati di SymphoniIRI) è un’ennesima spia di come parlare di fidelizzazione della clientela discount non debba più sembrare un’eresia.

Ciò non significa che sia sufficiente dotarsi di una carta fedeltà (i portafogli dei consumatori italiani ne sono già pieni), quanto dotarsi di una strategia di relazione col cliente chiara e diffusa (ovvero condivisa da tutte le risorse umane e parte integrante di qualsiasi scelta dell’insegna), che parta dagli assortimenti e dai servizi e definisca percorsi di fidelizzazione e relazione nell’ambito dei quali siano chiari e dichiarati gli obiettivi dell’insegna e i benefici tangibili per il cliente, in un rapporto trasparente e che non può non tenere conto dell’approccio multicanale del consumatore italiano, oramai molto più attento e intelligente nella fase di acquisto e sempre più sordo alle sole voci dell’advertising tradizionale.

Ad esempio. Hanno ancora senso operazioni a premio con in palio set di padelle o altri utensili di cucina? Ci si è mai chiesti se tali operazioni costituiscono un effettivo valore per il cliente o non sono che un’appendice a una scelta di consumo determinata da altri fattori? Tali attività nascono per semplici “copia e incolla” anno dopo anno, ma il discount dovrebbe evitare di comportarsi come una fotocopisteria e investire in modo più intelligente le proprie risorse. Sarebbe, ad esempio, certamente più premiante investire in attività di special (social) promotion in grado di attivare in modo più dinamico i propri bacini con effetti anche nel medio e lungo termine.

Anche sul fronte degli assortimenti, bisognerà avere la capacità di seguire l’evoluzione della nostra società, abbandonando cliché e stereotipi del cliente-tipo che non hanno più motivo d’esistere.

Sapere leggere le nuove tendenze di consumo e la nuova struttura della società italiana, significherà avere la capacità di porre sui propri scaffali il prodotto giusto proprio nel momento in cui il cliente lo sta cercando.

Questo arricchimento dell’offerta- in cui lo sviluppo delle private label continuerà ad essere centrale anche prevedendo una sempre maggiore specializzazione dell’Industria in merito alle specifiche esigenze del canale in termini di prodotto e packaging- non dovrà però comportare la perdita della “sobrietà” degli scaffali, perché inflazionare i punti vendita di prodotti inutili è un errore già compiuto da altri formati che rischia di essere un groviglio da cui risulta poi difficile districarsi.

Contestualmente la comunicazione nei punti vendita dovrà essere migliorata, per essere non tanto elemento di grido e distrazione per il cliente, quanto elemento guida nella lettura dell’offerta. Sfruttando i nuovi device a disposizione dei consumatori e il loro nuovo approccio all’atto d’acquisto, sarà prioritario sviluppare attività di socializzazione degli acquisti, per non dimenticarsi di come il vecchio passaparola sia sempre il più potente mezzo di comunicazione a nostra disposizione.

In tale ambito non si intende infine disconoscere il ruolo di traino che il non food può avere, ma è importante non correre il rischio che l’offerta non alimentare di carattere promozionale diventi distraente rispetto all’obiettivo principale. I discount trarrebbero sicuramente vantaggio, nel medio termine, dall’evitare di vendere cose inutili ai propri clienti…

Se i discount sapranno prendere atto dell’evoluzione della società e degli stili di vita e di consumo, ridiscutendo un approccio al mercato e un paradigma organizzativo che finora è stato certamente premiante, lavorando su assortimenti, relazione col cliente e strategie commerciali (scegliendo ad esempio se perseguire attività di edlp o hi-low o un chiaro- per il cliente- bilanciamento tra questi due estremi) è facile prevedere che tale format saprà affermarsi anche negli anni a venire, a prescindere da quale sia il contesto economico contingente, raggiungendo quote di mercato più vicine alle medie europee.

Daniele Cazzani – Responsabile Marketing Ipermercati Pellicano – Gruppo Lombardini

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