Disintermediazione: è un affare per chi?

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Disintermediazione: è un affare per chi?

Luglio 2014. Internet, la rapida diffusione dei dispositivi smart, l’uso sempre più agevole delle reti informatiche consentirebbero di scavalcare i tradizionali sistemi di vendita e distribuzione: il salto è chiamato “disintermediazione”.

Il termine sembra avere acquisito dignità profetica dopo l’opera “THE NEXT ECONOMY”, scritta da Paul Hawken (scrittore, ambientalista e imprenditore) nel 1983.

Ecco un passo emblematico:

“The single most important trend to understand is the changing ratio between mass and information in goods and services. This change will decide whether your present employer will be in business a decade from now. If you own a business, it will determine whether your company will grow or diminish. It will tell you whether your chosen study or career will be rewarded or ignored in the future. It will accurately predict the chances of success of products and services in the marketplace. It will tell you if your wages will go up or down in the coming years. And it will tell you where to invest, how to invest, and when to invest.”

Il rapporto che si instaura tra la massa e le informazioni su beni e servizi è quanto di più utile rimane da capire per il bene del proprio business, per interpretare le direzioni assunte dalla società. A distanza di oltre trent’anni, questo messaggio suona istruttivo come se fosse stato concepito poco tempo fa.

Il testo mette in relazione società e capacità di diffondere le informazioni, evoca nel lettore contemporaneo le innumerevoli possibilità della tecnologia di permettere il superamento di processi obbligati in una dimensione fisica.

L’era di Internet potrebbe semplificare il commercio per mezzo della disintermediazione.

L’industria raggiungerebbe velocemente l’attenzione del consumatore e potrebbe organizzare la propria produzione in funzione dell’ordine diretto, minimizzerebbe i rischi di previsioni errate, abbatterebbe i costi derivanti dagli eccessi produttivi.

L’utente finale si troverebbe nella comoda situazione di poter scegliere il prodotto desiderato lungo un assortimento sterminato, trasmettere l’ordine, pagare “on line” in pochi e veloci gesti. Tutte azioni evidentemente capaci di semplificare ciò che il contesto materiale ha sempre complicato.

I prezzi di vendita non si trascinerebbero dietro il peso delle spese di intermediazione.

Detto così, pare che consumatore finale e industria trarrebbero solo vantaggi: i prezzi sarebbero più bassi, fare la spesa sarebbe meno faticoso, le produzioni sarebbero calibrate su parametri certi.

Ma nella pratica, l’opzione è positiva?

Scegliere la “disintermediazione” comporta superare la distribuzione, estrometterla dai rapporti commerciali, arrivare direttamente al consumatore, ma a fronte di rinunce precise.

1.  Rinunciare al servizio di prossimità reso disponibile dalla distribuzione, immediato e riconoscibile sul territorio, in teoria garante di potenziali e affidabili volumi di vendita;

2. Rinunciare alla facoltà di dedicarsi interamente alla produzione dei beni, alla ricerca ed all’innovazione, al perseguimento dell’esclusività e della migliore valorizzazione del brand sul mercato, per distrarsi nella predisposizione di appositi canali distributivi e strumenti logistici, con relativi costi;

3. Rinunciare all’opportunità di sottoporre i propri prodotti al contatto fisico (tattile e visivo) con la clientela;

4. Rinunciare all’opportunità di avvalersi del servizio di consulenza offerto “in store” dagli intermediari;

5. Rinunciare alla visibilità dei propri prodotti attraverso i canali promozionali abitualmente attivati dal retailer;

6. Rinunciare all’opportunità di consentire in modo pratico al consumatore, nel corso dell’esperienza di acquisto, di misurare la prestazione potenziale in relazione alle sue esigenze specifiche;

7. Rinunciare all’opportunità di consentire ai propri prodotti di partecipare ad allestimenti ed esposizioni mirati a catturare l’attenzione immediata dei consumatori sul territorio, a suggerire prestazioni complete;

8. Rinunciare alla possibilità di confrontarsi sul campo, ad armi pari ed in uno stato di confronto paritario, con la concorrenza rimasta sui canali tradizionali.

La scelta è libera per il produttore, ma conseguentemente vincola il consumatore. Come in tutte le cose, presenta sfaccettature sia positive che negative e impone razionali analisi comparative su costi e benefici.

Nel comparto alimentare, salvo alcune nicchie, sarebbe impraticabile per ovvie ragioni, in quello non alimentare effettivamente ci si potrebbe provare.

Sarebbe temerario per qualsiasi mente proiettata nel futuro aspettarsi di potere ordinare e pagare “on line” il latte, lo zucchero, i biscotti, la pasta, l’olio, la frutta, la carne.

Comporterebbe vantaggi economici ed emotivi potere scegliere su un vasto assortimento di beni non alimentari, impossibile da presentare concentrato sugli spazi tradizionali di un negozio fisico, attraverso comode, semplici e sicure operazioni virtuali effettuate da casa, seduti al tavolo di fronte a un computer.
 

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