L’avanzata dei discount e la volontà di fidelizzare la clientela, hanno portato i distributori italiani ad aumentare di anno in anno il peso della propria MDD sul venduto. Quali sono i rischi e le opportunità di un tale incremento?
Recentemente abbiamo parlato del prodotto a marchio di Eataly (qui l’articolo completo) proprio perché si tratta di un tema molto “caldo” che non accenna a perdere rilevanza.
Possiamo dire che i “re del prodotto a marchio” sono, nei fatti, i discount, che con un assortimento composto esclusivamente (o quasi, in alcuni casi) da Private Labels riescono ad ottenere performance/mq molto importanti (pensiamo, ad esempio, agli 8.800€/mq circa di Lidl Italia o ai quasi 8.000€/mq circa di Spesa Intelligente SpA).
Se una volta l’IDM rappresentava una certificazione di qualità e sicurezza alimentare, con il tempo le normative si sono evolute, le aziende produttrici con esse e, dunque, ad oggi è difficile trovare persone che reputino meno sicuri prodotti non commercializzati dall’Industria di Marca.
I discount che, in epoca moderna, dovremmo forse chiamare “format specializzati nella convenienza“, hanno cavalcato negli anni quest’onda, costruendo con approccio industriale i propri articoli, creando marchi ad hoc per ogni merceologia e conferendo a questi prodotti connotazioni qualitative elevate (pensiamo al marchio “Italiamo” di Lidl riservato all’eccellenza italiana o ai prodotti “Amo Essere Bio” e “Fior di Natura” di EuroSpin, dedicati al biologico e agli amanti del vegetale).
Per alcuni, aumentare troppo i prodotti a marchio all’interno dell’assortimento I+S+LSP significa entrare a gamba tesa nel terreno competitivo dei discount per uscirne con le “ossa rotte”. In sostanza, si rischia di trasformare il supermercato in un simil discount (assenza o presenza limitata dell’IDM) senza però garantire la medesima convenienza per il cliente. È noto, infatti, che la PL dei supermercati ha generalmente un prezzo più elevato rispetto a quella dei discount i quali sono capaci di generare importanti volumi su un numero relativamente contenuto di referenze.
Qui però il vero rischio è mettere in dubbio le premesse del business dei supermercati che sono molto diverse rispetto a quelle del discount.
- Premessa del Discount: “Il cliente accetterà un’offerta ridotta di articoli a patto di ottenere un forte risparmio sulla spesa“
- Premessa del Supermercato: “Il cliente vorrà sempre avere accesso ad un assortimento ampio al prezzo più competitivo possibile“.
Come suggerisce Jeff Bezos, per comprendere la durabilità del nostro business dovremmo sempre chiederci cosa non cambierà invece di cosa cambierà. La domanda, qui, potrebbe essere: “Tra vent’anni il cliente vorrà ancora un’ampia scelta o accetterà, al contrario, di comprare solo 2.500/3.000 referenze (assortimento discount)?“
Se la risposta è che la scelta sarà sempre determinante, significa che la premessa di business del supermercato rimane valida nel tempo, e che la PL può essere semplicemente usata come strumento a servizio dei clienti di tale modello commerciale per offrire scelta di qualità e competitività (i due elementi cardine della premessa di business). Il suggerimento è, dunque, quello di non concentrarsi necessariamente sulla quota MDD ma piuttosto sull’offrire al cliente ciò che si aspetta dal “modello supermercato“. Riassumendo, l’MDD rappresenta un mezzo, non lo scopo.
Ovviamente, l’avanzare dei discount ha posto sempre maggiore stress sui prezzi delle commodities, che i supermercati sono stati costretti ad abbassare per non creare un gap troppo grande tra i loro prezzi e quelli del formato di convenienza.
Come si comportano Esselunga e Coop e perché differiscono da Selex?
Stabilito che l’MDD è utile al fine di 1) rendere l’assortimento più competitivo per il cliente (vessato da una situazione economica stagnante e dalla recente inflazione), 2) conquistare quote di mercato in merceologie a bassa fidelizzazione verso l’IDM e 3) fidelizzare la clientela con prodotti che meritano, è anche vero che “tappezzare” il punto vendita di MDD senza un criterio grafico idoneo rischia di trasformare i supermercati in monotoni showroom di prodotti a marchio insegna.
Vediamo come si muove Esselunga:
A differenza dei discount che, tendenzialmente, inseriscono solo sul retro del prodotto il marchio insegna, qui il logo “Esselunga” è ben visibile sul fronte del prodotto. Nonostante ciò, però, ogni prodotto presenta una grafica caratteristica ed evocativa, tipica della merceologia che rappresenta. Non viene, dunque, utilizzato uno stile standard, indipendente dal tipo di referenza e dalla linea prodotto di competenza. Se togliamo il marchio “Esselunga” dal burro, ad esempio, potrebbe tranquillamente trattarsi di un articolo venduto da un piccolo burrificio delle Alpi. Lo stesso vale per la linea “equilibrio“, dotata di elementi caratterizzanti dedicati al mondo del gluten free.
Anche Coop è passata dai famosi prodotti blu e rossi, tutti graficamente molto simili, ad uno stile che prevede sempre la valorizzazione dell’insegna, dando però risalto alle caratteristiche distintive dei singoli articoli e delle diverse linee.
Le singole linee prodotto si fanno marchio e l’insegna rimane in modo più discreto anche se sempre sul fronte del packaging.
Selex, invece, presenta spesso dei pack con uno stile che, generalmente, si mantiene uniforme saltando da una categoria merceologica all’altra, risultando monotono e meno accattivante. Vediamo alcuni esempi:
Ho visto alcuni articoli Selex con una grafica rinnovata recentemente ma, in un contesto in cui i prodotti MDD aumentano, è importante domandarsi se si stanno valorizzando abbastanza i singoli packaging al fine di non far apparire al consumatore i prodotti a marchio come una versione più cheap di quelli offerti dall’IDM.
Entrando in Esselunga, per molto tempo, ho avuto l’impressione che il prodotto a marchio fosse meno presente che altrove. La verità è semplice: Esselunga li camuffa bene, facendone risaltare le caratteristiche peculiari ed evitando di creare un’omogeneità grafica forzata tra referenze e linee differenti.