Etichette: andiamo controcorrente

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Etichette: andiamo controcorrente
 
Luglio 2015. La battaglia in corso è di quelle che potrebbe – anzi dovrebbe – coinvolgere. A tratti, infatti, è una battaglia ideologica. Ci riferiamo al Regolamento UE 1169/2011 che riguarda l’etichettatura dei prodotti. Tra molte cose positive, sparisce l’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione e la cosa è già in vigore dal 13 dicembre 2014, con buona pace dei difensori della trasparenza. Le opinioni sono diverse e tutte hanno buone ragioni.
 
Le posizioni
 
Gli schieramenti vedono da un lato i paladini del Made In Italy – industria e distribuzione (quella italiana in prevalenza, ma non tuttta, ahinoi) – dall’altro l’Unione Europea le multinazionali del cibo e del carrello che, a dire la verità, hanno un atteggiamento meno netto che possiamo considerare di “non esplicita contrarietà” nei confronti del regolamento europeo.
  
In rete si trovano molti pareri illustri e un sito (ioleggol’etichetta.it) all’interno del quale è possibile firmare una petizione per reintrodurre quanto previsto dal D. Lgs 102/92, che appunto prevedeva l’obbligo di indicare il luogo di produzione e la regione sociale del produttore. La battaglia però va giocata in sede comunitaria, perché un obbligo relativo solo al territorio italiano sarebbe inutile.
 
In ogni caso occorre considerare che il Regolamento UE elimina l’obbligo, ma non vieta certo l’inserimento dell’informazione sul luogo di produzione, che diventa facoltativa.
Il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina ha già chiesto alle aziende della filiera di lasciare esplicitata sulla confezione questa informazione.
 
Alcuni tra i protagonisti hanno aderito all’invito, molti alla petizione mentre altri se ne stanno rintanati senza prendere posizioni sulla questione.
 
Sgombriamo il campo da un equivoco : la sicurezza.
 
La sicurezza alimentare non c’entra nulla.
Sapere che un prodotto è fabbricato a Fano, a San Giovanni Lupatoto a Pescara o ad Alba nella via Tal dei Tali non aggiunge e non toglie nulla alla sua sicurezza. La tracciabilità è garantita dal lotto di produzione che è la chiave per risalire la filiera in caso di allerta e per impedire la distribuzioni di altri prodotti potenzialmente dannosi.
 
La Qualità?
 
Anche la qualità non ha molto a che fare con il luogo di produzione.
Essa infatti dipende dagli ingredienti più che dall’indirizzo del produttore. Una produzione al top della qualità può provenire dalla stessa zona industriale dalla quale proviene un prodotto di primo prezzo.  Anche a livello di consumatore non appare un discrimine. Nessuno, ovviamente, conosce i siti produttivi al punto da preferire un prodotto rispetto ad un altro per la sua fabbrica di origine.
 
Cosa c’è di positivo a difesa del consumatore
 
Il nuovo regolamento (UE 1169/2011) prevede la presenza della tabella nutrizionale unificata – su: valore energetico, grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, proteine, zuccheri e sale – ed è richiesta una maggiore attenzione all’indicazione degli allergeni – glutine, derivati del grano … –
Scompaiono inoltre alcune diciture un po’ generiche tipo “oli vegetali”. Se c’è olio di palma deve essere indicato. Prevede alcune migliorie grafiche come l’uso di caratteri più visibili e molto altro ancora a difesa del consumatore come ad esempio la data di scadenza, che deve essere riportata su ogni singola porzione preconfezionata e non più solo sulla confezione esterna.
 
Il consumatore?
 
Abbiamo la percezione netta – suffragata da qualche ricerca – che la sensibilità del consumatore sui temi sia della trasparenza in etichetta sia ancora molto bassa. I responsabili di acquisto ci sembrano ancora divisi in due grandi categorie: quelli che acquistano la marca – specie in alcune categorie – e quelli che acquistano le promozioni. I primi sono fedeli/abitudinari e magari un po’ condizionati dagli investimenti in adv delle GM, i secondi attenti allo scontrino. Pochi esaminano le etichette con l’obiettivo di ottenere un elemento di scelta.
 
In conclusione
 
Il dibattito prosegue ad ondate, successive all’interesse di qualche trasmissione tv di prime time o di qualche tweet “pesante”.
 
Riteniamo sia però fuorviante agitare lo spettro della sicurezza. L’abolizione dell’obbligo ad inserire il luogo di produzione non influisce sulla tracciabilità che rimane garantita.
 
Il problema nasce nel momento in cui una ricetta tipicamente italica viene delocalizzata, cioè prodotta all’estero – il prodotto sarebbe quello “originale” ma il luogo di produzione no. E qui, secondo una delle fazioni, è doveroso informare il consumatore. E’ altresì vero che chi produce tipicità in zone in cui i prodotti sono nati rispettando la tradizione anche dei luoghi oltre che degli ingredienti, lo indicherà senz’altro in etichetta, dando quindi al consumatore ancora una volta l’ultima parola.  I prodotti al top avranno l’indicazione del luogo di produzione.
 
Invece di accusare l’Europa di penalizzare il made in Italy – anche se è chiaro che di certo non lo favorisce – ci sembrerebbe più utile formare i consumatori di oggi e di domani (si pensi alle scuole) ad alcuni semplici concetti, creando così la domanda di prodotti italiani originali e certificati.
Spesso – non sempre – i prodotti fatti in Italia sono molto buoni sono molto controllati e contribuiscono (sempre) a creare lavoro specializzato nel belpaese. Occorre dirlo … con forza e chiarezza. Spesso le etichette contengono informazioni molto importanti dal punto di vista nutrizionale e salutistico e ci possono raccontare una storia sui prodotti e sulle nostre tradizioni che sono sicuramente tra le migliori a livello mondiale.
 
Se ci sarà “cultura”, il mercato si regolerà di conseguenza, emarginando i prodotti scadenti.
È necessario un grande lavoro da fare dentro e fuori dal Paese per far crescere questa cultura.
 
Abbiamo l’impressione che non si faccia abbastanza.
 

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