Eurisko: commercio tradizionale senza networking
Febbraio 2013. La crisi del commercio e della distribuzione è evidente. Soprattutto i “Piccoli”, come ricorda quotidianamente Dario Di Vico, stanno maledettamente soffrendo e spesso chiudendo. Con un certo fatalismo velato di tristezza ogni giorno scopriamo negozi, bar e ristoranti appena aperti e subito chiusi in un valzer triste degli addii che rende malinconiche le città. Peccato. Perché il commercio è la vita pulsante della comunità, il riferimento degli scambi e dei desideri dei cittadini che vogliono sentirsi vitali e che desiderano centri storici il più possibile aperti e non strade del centro spente, appena la vita degli uffici finisce. Anche se non tutti sono entrati nel loop, anche se eccezioni esistono.
Quali? Coloro che hanno saputo individuare un ubi consistam originale e sostanziale, con immaginazione sociologica e intelligenza del mercato (in questa prospettiva, gli aiutini ovviamente esistono). Chi ha saputo definire una posizione in grado di intercettare desideri nuovi o vecchi nel territorio di copertura. Non è impossibile, basta studiare, sondare il territorio antropologicamente, nella sua apertura ad ombrello. E, una volta individuata un’area scoperta, coltivare le relazioni non illudendosi che il cliente entri nel negozio senza nessun tipo di stimolo. Occorre convincersi del contrario.
E’ il negozio che deve uscire, intercettare, coinvolgere e convincere che sta proponendo cose e servizi utili in quanto unici. Bisogna scoprire la dimensione del network e fare networking. Il commerciante, alla caccia di questa nuova relazionalità, sarà poi in grado di cooptare persone e famiglie, intercettandole nei bisogni, interessi, culture specifiche apposta ritagliate. Difficile? Lo è. Ma il commercio oggi non può che essere la rappresentazione dei nuovi bisogni della popolazione, sempre meno mass market.