Gfk-Eurisko: buono da mangiare ma anche da pensare
Febbraio 2013. Il cibo non ha smesso affatto di essere centrale nelle nostre vite, di incorporarne il senso spiega Paolo Salafia, ricercatore di Gfk-Eurisko. È oggi più che mai un concentrato (unico) di significati stratificati e complessi. Che sostiene le nostre interazioni e scambi, riempie culture e immaginari, rivitalizza filiere ed economie.
Le nuove «metriche» alimentari
Il nostro modo di mangiare e bere, negli ultimi decenni è però cambiato negli approcci, nei contenuti, negli spazi, nei tempi, nelle modalità, sottolinea Salafia.
Con l’alleggerirsi e la diversificazione nella struttura dei pasti, l’allargamento della scansione alimentare, l’estendersi delle occasioni di consumo fuori casa, il moltiplicarsi dei punti di contatto con il cibo, tratti portanti di una nuova
modernità alimentare.
Buono da pensare (=buono da mangiare)
Ma il cibo deve innanzitutto essere commestibile «culturalmente» per diventare parte delle nostre abitudini, esperienze, rappresentazioni.
Deve cioè essere «buono da pensare» prima ancora che «buono da mangiare».
Un «buono da pensare» che oggi è sintesi di molte cose e non riguarda solo i contenuti (il cosa) ma tutta l’esperienza (il come) alimentare.
Per anni, idee come destrutturazione, de-ritualizzazione, individualizzazione, funzionalizzazione, sregolatezza, gastro-anomia sono sembrate il nostro ineluttabile destino alimentare. Non è stato così, sottolinea Salafia. Oggi, la cifra del nostro rapporto col cibo è molto più ricca: fatta di ricerca e saperi, ancoraggi e paradigmi (legittimi, rassicuranti), tempi, modi e riti (buone pratiche) capaci di dare senso, misura e spessore alla nostra esperienza. Per riappropriarsi attraverso il cibo di quel che per noi oggi è qualità della vita.
Il cibo va riprogettato
L’alimentazione diventa sempre più centrale nelle nostre vite: un concentrato di significati materiali e culturali densi, articolati e complessi
Il nostro modo di alimentarci sta cambiando – e cambierà – in modo significativo, per ragioni strutturali, demografiche, ecologiche, culturali…
…ma nelle nostre rappresentazioni ed esperienze la categoria del «buono da pensare» non si svuota affatto e va anzi incorporando sempre più valori (il gusto, la convivialità, il benessere, la «buona esperienza»…)…
…con una domanda in crescita da parte dei consumatori/attori (anche rivolta all’industria di marca e alla distribuzione) di ridefinire e riprogettare in maniera attiva e coinvolta, finalità, ruoli, regole e buone pratiche in campo alimentare.