Health Care Retail: guardare al futuro facendo tesoro delle best practices

Data:

Gennaio 2020.Nei centri commerciali, nelle strip, sta aumentando in numero di strutturae sanitarie. È il momento per fare il punto sull’health care retail. Intervista a Pierre Telleri, Honorary Clinical Lecturer, Barts Cancer Institute Queen Mary University 

Come definiresti oggi la figura del Farmacista: professionista sanitario, healthcare counselor oppure un retailer del wellness?

Oggi, almeno in Italia, è ancora purtroppo un “addetto alla consegna del farmaco” che, a richiesta da parte del cliente dà consigli. Non è quindi ancora un professionista pro attivo.

Il farmacista italiano oggi, ha una discreta competenza su integrazione e dermocosmesi se lo confrontiamo con i suoi colleghi oltremanica, ma che non è accompagnata da un’adeguata capacità comunicativa usi

In futuro, però se vorrà avere concrete possibilità di continuare ad avere un ruolo, come professionista sanitario, dovrà imparare a diventare un vero e proprio counselor dell’Healthcare inteso come esperto della prevenzione e del benessere e in grado di educare il proprio paziente ai coretti stili di vita e di integrazione. E’ chiaro che questa rivoluzione di ruolo sarà possibile solo attraverso la formazione e la riqualificazione dei farmacisti che si stanno confrontando con un mercato incentrato sempre di più su commodities, reperibili ovunque.

Farmacia = paziente cronico = ricetta: è una sintesi ancora attuale nel percepito dei cittadini/consumatori oppure è un residuo storico che ci si porta dietro?

Sicuramente ancora oggi il percepito dei clienti in Italia è che la farmacia non sia un canale conveniente. Tranne rare eccezioni di chi ha sviluppato modelli drugstore, la farmacia Italiana è un luogo dove puoi trovare prodotti di qualità percepiti come “superiori” e, nella migliore delle ipotesi, un consiglio di utilizzo.

Il farmacista è comunque una figura che in Italia ha una sua valenza ed è stimato come professionista. Si sta passando da un modello che vedeva la maggior parte del fatturato generato dalla prescrizione ad un modello che sta cercando di reagire alla crisi del farmaco etico e alla crisi economica con lo sviluppo dei segmenti come quello dell’otc, integratori e cosmetici che stanno “salvando” i fatturati.

Come viene percepita la farmacia all’estero?

Se prendiamo il modello anglosassone la genericazione dei farmaci da prescrizione e la liberalizzazione del canale farmacia ha creato una situazione che vede un mercato diviso fondamentalmente in tre modelli.

  • da un lato le grandi catene che hanno come modello la farmacia nel supermercato (Tesco, Sainsbury`s, Morrison, Somerfield, Waitrose ecc..) che dispensa farmaci da prescrizione e in questo caso la farmacia è concepita come servizio. Questo modello è orientata prevalentemente alla vendita dell’OTC e ad integrare l’offerta food. Il farmaco da banco in offerta viene usato come prodotto da richiamo come promozione.
  • esistono poi le catene modello drugstore della bellezza come Boot’s e Superdrugs che sono format che fino ad ora hanno visto la parte di prescrizione come marginale e come veicolo per vendere e promuovere prodotti di bellezza e igiene.
  • in ultima analisi esistono le farmacie indipendenti che hanno un fatturato che è composto per l’80% da farmaco di prescrizione.

Di certo la professionalità del farmacista d’oltremanica è molto limitata al farmaco e lascia pochissimo spazio a specializzazioni in ambiti come l’integrazione o la dermocosmesi.

Se guardiamo invece all’Europa mediterranea il modello spagnolo è molto simile a quello italiano di 10/15 anni fa.  La Spagna è ancora un paese dove non è avvenuta la liberalizzazione del canale farmacia.

In Francia, invece, abbiamo sia catene molto orientate allo prezzo, all’offerta e allo sconto con grandi superfici, sia farmacie indipendenti che adattano il modello supermercato. In Francia la competizione dei prezzi sta mettendo in seria difficoltà il canale. Il livello di cultura su integrazione e dermocosmesi sono più sviluppati e si iniziano a vedere modelli di specializzazione.

Dal tuo osservatorio con sede a Londra presso il Bart Cancer Institute, quali sono le “best practics” del settore che non vengono sfruttate dalle farmacie italiane e perché?

La sfida dei prossimi anni per la farmacia sarà sicuramente quella di saper integrare servizi e prodotti in un’ottica di prevenzione. Questo significa essere capaci di sviluppare competenze educative, di couseling sanitario. In Gran Bretagna ci sono percorsi di specializzazione erogati dalle università dedicati ai processi di consulenza al paziente nell’ambito dei servizi che sono molto avanzati. In Italia abbiamo sviluppato delle prime realtà di health point (punti salute) in farmacia applicando modelli già utilizzati oltremanica. I risultati sono stati molto interessanti e incoraggianti, segno che la clientela è ricettiva verso questo modello di farmacia e di approccio.

Quale ruolo strategico rivestono i grossisti in Italia in un contesto dove la farmacia “gioca” da battitore libero?

I grossisti hanno giocato un ruolo strategico e molto importante come aggregatori delle farmacie  e supportando le farmacie indipendenti nella creazione di gruppi di acquisto e nell’ottimizzazione della logistica. Oggi possono essere registi del cambiamento. Sia come creatori di nuovi format e catene, se riusciranno ad evolvere da modelli di piattaforme logistiche e piattaforme di servizi per le farmacie orientate al prodotto, verso un modello di piattaforme di servizi e prodotti orientati al cliente finale, sia come proprietari. Alcuni grossisti si stanno già muovendo in questa direzione anche se il gap sta nel management che non ha una vera cultura nel servizio verso il cliente finale.

Qual è il principale servizio che oggi manca nelle farmacie italiane rispetto allo scenario internazionale?

Il servizio che dovrà essere implementato negli health point delle farmacie sarà quello di assicurazioni sanitarie integrative. Il modello di riferimento è quello statunitense dove le catene che hanno acquisito direttamente gruppi assicurativi (vedi CVS, che ha acquisito Aetna nel 2018). In Italia iniziano adesso le prime collaborazioni ma sicuramente sarà uno degli scenari possibili che inizieranno a concretizzarsi anche da noi.

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