Il cliente fa showrooming? Fategli pagare lo show
Maggio 2014. Alcuni mesi prima che fosse coniato il termine showrooming (da una giornalista del WSJ aprile 2012), il direttore Rubinelli mi fece un’intervista in cui sostenevo che la diffusione degli smartphone avrebbe trasformato i negozi in showroom: i clienti lo avrebbero visitato, avrebbero maneggiato e provato i prodotti e poi avrebbero comprato on line o in un altro negozio, più conveniente. La soluzione era integrare i vantaggi del canale digitale con quelli del canale fisico. Alla fine il direttore mi guardò con indulgenza. Qualche mese dopo ad un convegno, dovetti litigare per scrivere showrooming nella presentazione dei lavori.
Il tempo passa, tutti parlano di showrooming, il fenomeno deve ancora raggiungere il suo picco, ma possiamo già dire che finirà presto. Per una ragione elementare: i negozi da visitare per praticare lo showrooming chiuderanno per il calo delle vendite.
Si tratta di capire se chiuderanno più i propri negozi o quelli dei competitor; se i singoli Retailer saranno preparati o la vivranno come un dolce ma non meno feroce tsunami.
Se l’e-commerce è un danno, lo showrooming è la beffa. La pedonabilità, la chimera dei retailer, proprio adesso che è vicina si rivela mostruosa. Il web accessibile solo dal desktop la minacciava, lo smartphone la agevola. Per ogni nuovo modello di XY la pedonabilità s’impenna, i clienti molestano gli addetti eppure le vendite stagnano.
Lo showrooming, per i retailer che vendono prodotti in esclusiva, non è poi uno svantaggio. Un prodotto Zara lo si può comprare solo da Zara. Per Zara, che lo compriate on line o in un negozio poco cambia. A Zara, lo showrooming potrebbe anche giovare: stesse vendite ma meno negozi, meno stock, meno personale etc.
Il futuro
Per quelli che non hanno esclusive, il futuro appare o dovrebbe apparire critico. Occorre un cambio radicale nella concezione del negozio.
Molti retailer hanno investito tanto perché i loro negozi fossero il palcoscenico per lo show della merce: entrate sempre più grandi, vetrine sempre più alte e senza quinte. Uno show sempre in scena, con ingresso gratuito e aperto a tutti. Nella speranza che poi, finito lo show, gli spettatori avrebbero comprato il merchandising.
Oggi le vendite di merchandising non bastano più a finanziare lo show. I negozi devono cambiare funzione, farsi pagare per ciò di cui il cliente effettivamente beneficia, che sempre più raramente è la disponibilità della merce.
Occorre definire nuovi modi di accesso al negozio e a tutti i suoi servizi. Il più semplice e utilizzato da sempre è l’accesso ai soli soci, a coloro che pagano un’iscrizione: Sam’s club di Wal Mart è l’8° retail per fatturato degli USA. La considero una soluzione percorribile solo per un ristretto gruppo di retailer e troppo rigida per una clientela sempre più mobile.
Dobbiamo immaginare modi più flessibili, sia per durata sia per tipo di servizi. In questo senso il canale digitale, i social media e l’ecommerce sono i primi e più validi alleati per selezionare i clienti, per capire su quali investire, a quali offrire servizi. Dobbiamo immaginare un negozio nuovo perché quello vecchio sta per chiudere.
1. Se le analizzi da tempo avrai trovato certo delle risposte. 2. Per rispondere concretamente a quella domanda, occorre partire da casi concreti. Diffido delle soluzioni buone sempre e comunque. E il mio lavoro di consulente è quello di dare risposte concrete che tengano conto della realtà aziendale. 3. Per esempio, limitare l?accesso al negozio o erogare i servizi a pagamento sono scelte che devono tener conto della strategia complessiva dell?azienda, del suo posizionamento, di cosa vende e dello scenario competitivo. 4. In una strategia che assume l?integrazione fra canale digitale e fisico può aver senso tenere aperto un negozio in perdita nella misura in cui contribuisce, non con le vendite dirette, alla vendite complessive del retail. In una riduzione complessiva del numero di negozi, possiamo immaginare una segmentazione di quelli rimanenti, a cui saranno assegnati un complesso di obiettivi e saranno valutati sulla base del loro raggiungimento. P.S. Nell?articolo che citavo all?inizio, pubblicato su questo sito a fine 2011, si parlava appunto come integrare i due canali. Forse era troppo presto, la parola showrooming non era stata coniata, le profezie apocalittiche sull?ecommerce non si erano avverate e molti vivevano nell'illusione che dal fronte digitale il peggio era passato e i social network avrebbero portato migliaia di clienti.
Articolo interessante, su questioni che sto analizzando da tempo. in concreto, però, come svolgiamo il tema dell'ultima frase: "Dobbiamo immaginare un negozio nuovo perché quello vecchio sta per chiudere"? Fabio
Caro Cancarlo, non vivi in un mondo parallelo. Semplicemente ti senti spaesato nel mondo attuale e ti rifugi nei luoghi comuni: "massaie grassocce"(per te dopo Nantas Salvalaggio il nulla?), "vestite come le figlia", chissà perché poi "approssimative". Non sai che "il filo di perle prima di 40 fa cafone"? Assumi che le mamme grassocce che vestono come le figlie sono peculiari delle fasce di reddito più basse (Piperno e Siti avrebbero qualcosa in contrario). Per te la commedia all'italiana ha il suo apice con i Vanzina? Io (e non paolo mosconi, per saperlo basta conoscere un po' di sintassi tipica dei forum) vivo a Milano e lavoro nel marketing. Non so che super/ipermercati visiti. Però è evidente che non sai come veste Maria De Fillipi, anche solo per curiosità intellettuale potevi verificarlo. E' evidente che non sei molto aggiornato perché whatsapp (non what's up) non è gratis da diverso tempo. Non penso che nei supermercati di Milano tu abbia sentito dire "aggratis", solo nei film dei suddetti per le vie di Milano qualcuno dice "aggratis". E' altrettanto evidente, soprattutto per chi lavora nel marketing o sedicente tale, che stiamo parlando di categorie dove la penetrazione on line è importante e comunque in crescita (per esempio libri, elettronica e abbigliamento). In generale si parla di merceologie per le quali il percorso di acquisto prevede sempre più spesso la consultazione dei canali di digitali al punto da spingere a cambiare luogo di acquisto rispetto al momento della decisione. E no, non mi riferisco ai nuovi ricchi, mi riferisco al contrario ad un categoria di clienti sempre più connessa che trova on line un alternativa sempre più conveniente ai negozi tradizionali (per assortimento, servizio, prezzo) e perciò frequenterà sempre meno. Perciò di negozi per "provare, testare e servizi pre e post vendita" ne serviranno pochi, molto pochi e ogni azienda sarà libera di finanziarli a modo proprio. Gli altri che non si saranno adeguati chiuderanno anche se si rivolgeranno ai pensionati. Perché saranno pure in pensione ma mica sono scemi e scopriranno le gioie dell'on line.
Mah, forse vivo in 1 mondo parallelo, anche se vivo a Milano e lavoro +o- nel Mktg da tempo… Nel senso che io nei Super/Ipermercati continuo a vedere sempre le stesse massaie grassocce, vestite come le figlie ( cioè in modo approssimativo, pseudo-giovanile, alla maria-de-filippi x capirci),perennemente con lo smartphone in mano che utilizzano esclusivamente x cazzeggiare tra loro tramite what's up ( che tanto è "aggratis"). L'unica differenza rilevante rispetto 10 anni fa è che il loro carrello della spesa è sempre più vuoto e che devono farsi il conto da sole, dato che le cassiere cominciano a diventare merce rara, in quanto costi fissi x le varie insegne GDO . Ma forse l'ottimo Mosconi di cui sopra quando parla di " un negozio, magari quello più facile da raggiungere, dove posso provare un paio di scarpe e verificare misura, confort, qualità dei materiali e estetica, nel frattempo posso confrontare il prezzo per trovarne uno più conveniente in un altro negozio o online ", intende riferirsi ai "nuovi ricchi", cioè il popolo dei pensionati ( vecchio ordinamento ),cioè gli unici che hanno tempo e 4 soldi x riempire le loro giornate… Ed voi a questo agglomerato volete pure fargli pagare il biglietto x d'ingresso ? Mah, probabilmente ho capito male… !
@paolomosconi E' vero i negozi hanno punti di forza, molti dei quali però non sono monetizzati:in un negozio, magari quello più facile da raggiungere, posso provare un paio di scarpe e verificare misura, confort, qualità dei materiali e estetica, nel frattempo posso confrontare il prezzo per trovarne uno più conveniente in un altro negozio o online. Tutto gratuitamente. A servizi di questo genere corrispondono costi rigidi: capillarità della rete dei negozi (affitti), presidio del personale (costo del personale), assortimento completo (stock). Dal punto di vista del Cliente la cross-canalità/omnicanalità è la condizione ideale, ma credo che anche i Retailer più capaci nell'integrare le due dimensioni si troveranno più negozi tradizionali di quelli di cui avranno bisogno. Non è affatto la stessa logica Uber e Taxi, perché questi offrono servizi sostanzialmente identici: auto con conducente con un forte competizione sul prezzo. Il negozio è il Taxi (disponibilità, servizio ma costi alti), l'ecommerce è il carsharing (flessibile ma non sempre immediatamente disponibile e prezzi convenienti). @giorgio Non ritengo che un negozio MediaWorld possa ridursi ad offrire un servizio del genere. E' modello come molti altri che ha bisogno di grandi numeri in termini di pedonabilità e rotazione. In generale penso ad esempio a delle forme di affiliazione per beneficiare di un ventaglio di servizi (dai test alla consulenza pre e post vendita alla gestione dell'usato).
Mi spiace, ma mi sembra la stessa logica dei tassisti vs. Uber! Store e ecommerce hanno entrambi punti di forza e punti di debolezza: ciascuno deve fare leva sui propri e chi ha entrambi deve integrarli (omnichannel). Certamente è più semplice a dirsi che a farsi, ma il retail non è mai stato una passeggiata.
Cioe', in sostanza..vado in un punto Media World a fare un giro..pagoa 5 euro per l'ingresso..se poi acquisterò qualcosa, la somma mi verrà scalata..