Il futuro del retail è nelle mani dei loro amministratori delegati. Il Brand ha un nuovo ruolo

Data:

Settembre 2020. In occasione del 25simo anniversario di Retail Institute Italy, abbiamo chiesto ai membri del nostro Comitato Scientifico di aiutarci a sintetizzare i tratti dell’evoluzione del retail in questo ultimo quarto di secolo, e a orientarci in questo scenario particolarmente incerto, tracciando le linee  della trasformazione attesa ma anche dando importanti indicazioni e suggerimenti per la gestione delle prossime fasi, dal loro Osservatorio privilegiato.  Inauguriamo la nuova rubrica periodica con l’intervista al il Prof. Giuliano Noci, Docente di Strategy & Marketing del Politecnico di Milano. 

Prof. Noci, quali, a suo avviso, gli elementi più significativi dell’evoluzione del retail negli ultimi 25 anni?

Il mondo retail è stato oggetto negli ultimi venticinque anni di profonde trasformazioni conseguenti alla crescente sofisticazione delle richieste di mercato e all’evoluzione della tecnologia. Ne possiamo individuare almeno tre.

Negli anni ’90 il format imperante era rappresentato dai cosiddetti “big box retailer”, ovvero soggetti la cui value proposition era sostanzialmente riconducibile ad una logica di one-stop-shopping e convenience; i brand – se pensiamo ai Department Store – delegavano molto frequentemente il processo di vendita a questi soggetti.

Con il nuovo Millennio, Internet ha rappresentato un game changer, per almeno due ragioni. Da un lato, l’avvento dell’eCommerce ha qualificato in modo diverso il ruolo dello spazio fisico nella mente degli individui: fattori come varietà e convenience hanno cominciato ad affermarsi nel mondo digitale, che si è progressivamente trasformato in un attrattore di mercato. Dall’altro, è cominciata ad emergere nel mondo delle imprese di marca una nuova consapevolezza: ovvero la possibilità di stabilire un presidio e rapporto diretto con il proprio target di mercato. Da qui, si è avviato un percorso (tutt’ora in evoluzione) evolutivo secondo cui un numero sempre maggiore di imprese ha deciso di avviare progetti di parziale disintermediazione – in senso fisico e digitale – del proprio rapporto con la base di prospect e clienti.

Più recentemente, stiamo assistendo all’affermazione di un paradigma di interazione fondato sulla omnicanalità secondo cui l’individuo può avere accesso al mondo dell’offerta in una logica di everywhere e everytime commerce, ovvero attraverso molteplici punti di contatto e in qualsiasi momento utile. Tale evoluzione sta progressivamente determinando un naturale percorso di integrazione tra spazio fisico e digitale di interazione e vendita. 

Quali gli scenari attuali (impatto Covid-19 a livello economico e/o, sociale / innovativo sul Retail e sull’Industria)

Covid-19 rappresenta, da un lato, uno straordinario acceleratore di dinamiche già in atto, dall’altro, impone alle imprese un “back to basics” dal punto di vista del marketing.

È un’accelerazione nel senso che impone sia al mondo retail che alle imprese di affermare come priorità inderogabile quella della customer centricity intesa come capacità di affermare un nuovo concetto di prossimità al cliente: basato non tanto sulla vicinanza in senso geografico quanto piuttosto su una prospettiva di intimità di relazione. Questa evidentemente può essere ottenuta se e solo se il retailer e/o l’impresa conoscono in profondità il mercato – da qui discende la sempre maggiore rilevanza della dimensione del dato e di un suo utilizzo consapevole – e progettano architetture di interazione nativamente omnicanali.

Covid-19 è d’altro canto, dal punto di vista sociale ed economico, una determinante che accresce le dimensioni di incertezza e complessità sottese ad ogni processo di acquisto. In questo senso, rafforza paradossalmente il ruolo della marca, come costrutto (intangibile) teso a semplificare il processo decisionale dell’individuo-consumatore. In questo senso, si assiste ad un ritorno ai fondamentali del marketing – in questi anni troppo appiattito su metriche di breve periodo -: la marca, nel New Normal, avrà un ruolo sempre più rilevante come dimensione di ancoraggio fiduciario dell’individuo, una marca che ovviamente assume nuovi connotati. Non più solo sistema di valori lifestyle e caratteristiche di prodotto ma diventa sempre più relazione.

Quali gli scenari post Covid 19 attesi e le sfide dei prossimi 3-5 anni per l’ecosistema Retail?

I retailer devono ripensare profondamente la loro catena del valore e, in alcuni casi il loro ruolo. Qualsiasi progetto di cambiamento deve partire da un’attenta lettura delle aspettative del cliente e dai suoi archetipi comportamentali; in questo senso, devono essere rimossi falsi vincoli, uno per tutti: l’assegnazione del ruolo di vendita al punto fisico. Questo infatti può paradossalmente giocare un ruolo determinante nella sua capacità di trasferire una esperienza polisensoriale a supporto di un processo di conversione (all’acquisto), che avviene su un altro touchpoint. Si tratta di un cambio di paradigma, di una discontinuità culturale per il mondo del retail; le dinamiche di cambiamento saranno tuttavia talmente veloci e rilevanti (per intensità) che, a mio avviso, questa è l’unica prospettiva sostenibile. Una prospettiva che dunque sublima il ruolo del punto fisico (eventualmente anche di vendita) nel quadro di una architettura di interazione integrata e omnicanale. Per meglio esemplificare questa mia affermazione faccio riferimento ad un’esperienza del vissuto quotidiano di tutti noi durante il lockdown: abbiamo realizzato (con grande chiarezza) che molti bisogni emergono nella casa. Questa semplice evidenza deve portare i retailer ad attribuire alla casa parte dei ruoli che prima venivano assegnati al punto (fisico) di vendita tramite l’applicazione di logiche di shopper marketing. È dunque da qui che deve partire il viaggio verso il futuro di un retailer.

#Roadtothefuture

Come ogni crisi, anche Covid-19 si connoterà come un evento che aprirà nuove e importanti prospettive di business: non dimentichiamo che molti dei grandi marchi di oggi sono figli della grande depressione del ’29. È tuttavia fondamentale che l’accelerazione in atto nel mercato venga gestita con la giusta prospettiva. Intendo fare riferimento al fatto che non deve essere subita ma cavalcata; è inoltre importante la presa di coscienza che è necessario un profondo ridisegno della configurazione esterna e interna di impresa: devono in altre parole cambiare sia l’architettura di interazione che l’organizzazione del back end. Mettere al centro l’individuo-consumatore impone, tra le altre, due grosse discontinuità:

  1. Il superamento di una visione (spesso a silos) di prodotto e/o categoria
  2. La collaborazione tra retailer e produttori: solo attraverso una conoscenza condivisa è infatti possibile il raggiungimento di quell’obiettivo di intimità con l’individuo-consumatore a cui prima facevo riferimento.

In estrema sintesi, mai come in questo momento, il futuro dei retailer è nelle mani dei loro Ceo, che sono gli unici – per deleghe, status, visibilità organizzativa – ad essere nelle condizioni non solo di progettare ma soprattutto di affermare nel concreto il cambiamento necessario. Tale è infatti la sua portata che anche un ottimo piano deliberato (a livello di top management) rischia poi di tradursi, nella pratica, in un cambiamento incrementale semplicemente perché gli enzimi della conservazione organizzativa lo frantumano per via di una naturale istinto di conservazione. Ed è proprio qui che il Ceo deve fare la differenza!

Fonte: Retail Institute

1 commento

  1. Inutile dire che condivido al 100% . Sono tutte riflessioni che.hanno influenzato fortemente le mie decisioni e le cose fatte negli ultimi 15 anni . Aggiungerei solo , è sottinteso ma va rimarcato , che la necessità /opportunità di disintermediaziine ( ovvero entrare con il proprio brand a casa del cliente , tocca IDM ma anche il Retailer ) ed il.trojan è una MDD distintiva e strategica ( non mainstream x farmi capire ) . Di conseguenza servono A.D. capaci di vivere una buona parte del loro tempo nei punti vendita, per ascoltare e prendere spunti , non per fare azione di controllo , e lo lo confesso , magari mi sbaglio , ma AD di questo tipo in giro non se ne vedono tanti .

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Sei umano? *

Condividi:

Popolari

Articoli simili
Related

GruppoArena Vs EuroSpin Sicilia. Come la concorrenza discount impatta su un leader regionale.

Che impatto ha una quota discount regionale elevata (>30%) su un'azienda leader del comparto super?Scopriamolo analizzando i conti del Gruppo Arena e di EuroSpin Sicilia.

MD vs Dimar. Due modelli a confronto.

I modelli di business vincenti in ambito super e discount sono profondamente diversi. Analizziamo quelli di due aziende importanti (Dimar & MD), scoprendo che non sono sempre i discount a fare la parte del leone nel produrre profitto.

Carrefour & gli errori da evitare nel Franchising.

Carrefour in Italia ha privilegiato lo sviluppo del franchising. Analizziamo le sfide che derivano da tale settore e i numeri di una società (GS SpA) molto importante per il Gruppo.

La concentrazione di DMO ha pagato? Analizziamo i numeri di Gruppo.

DMO SpA, nel tempo, in ambito distributivo ha scelto di focalizzarsi su drugstore e profumerie, cedendo il controllo di attività no core. Vediamo, analizzando i numeri, se la scelta ha pagato o meno.