La crescita del Retail Media è inarrestabile. Centromarca e Wavemaker presentano uno scenario che mostra un trend positivo. Siamo sicuri però che questo strumento rappresenti il miglior investimento di marketing possibile?
Abbiamo parlato di Retail Media nell’articolo a questo link del 2 ottobre scorso e torniamo a discuterne oggi, commentando una presentazione a firma Wavemaker e Centromarca.
Prima però è opportuno fare una premessa sul mercato pubblicitario perché, negli ultimi anni, ovvero dall’avvento dei social network e dello streaming ad oggi, tale contesto è cambiato profondamente.
Una volta, gli strumenti che aveva l’industria per pubblicizzare i propri prodotti erano abbastanza limitati. Si poteva ricorrere ai classici sistemi ottocenteschi che spaziavano dal cartellone pubblicitario alla pagina di giornale oppure decidere di investire denaro in radio o, per chi se lo poteva permettere, in televisione.
La pubblicità erogata tramite questi strumenti aveva una caratteristica fondamentale, ovvero costituiva una pausa effettuata durante un’attività ad alto tasso di concentrazione. Se, ad esempio, eravamo impegnati alla guida, il cartellone autostradale rappresentava uno stacco visivo quasi gradevole, così come lo spot pubblicitario dava occasione alle persone di andare a fare i propri bisogni prima della fine del film in un’epoca in cui il tasto “stop” sul telecomando non esisteva.
Oggi, invece, la situazione è molto cambiata perché la soglia di attenzione si è abbassata vertiginosamente. Sui social network, le persone scorrono un contenuto dietro l’altro, dedicando pochi secondi alla visualizzazione dei singoli post. Su Netflix o Amazon Prime Video, non appena scatta la pubblicità si può decidere di fermare tutto, uscire e guardare un altro show senza abbandonare la piattaforma.
La pubblicità, quindi, nel mondo moderno, è a latere del contenuto e prega i potenziali clienti di essere visualizzata. È lo sconvolgimento del mercato dell’advertising che ha spinto il fenomeno degli influencer. E sì perché, quale modo migliore c’è di essere notati se non facendo utilizzare i propri articoli a persone che, almeno su carta, dovrebbero accentrare l’attenzione?
A questo si è accostato il concetto, importato in Italia da emulatori delle famose Kardashian americane, dell’essere famosi per essere famosi. In sostanza, non è importante aver fatto qualcosa di significativo per il quale si viene riconosciuti ma atteggiarsi a divi verificando il risultato. E il risultato è impressionante perché, a quanto pare, moltissime persone seguono, diventando veri e propri follower, coloro che si atteggiano a divi senza esserlo. Sono queste nuove celebrità che i brand utilizzano per cercare di accalappiare l’attenzione.
Prima, non servivano tonnellate di dati per capire che uno spot, mandato ad una certa ora, magari a metà di una trasmissione importante, sarebbe stato visto da centinaia di migliaia di persone, oggi, invece, si cerca in continuazione di misurare il vero ritorno in termini di visualizzazioni ed acquirenti perché si è consapevoli che la pubblicità si mischia ad un’infinità di contenuti che puntano a concentrare l’attenzione di un utente sempre più distratto dalla valanga di informazioni non richieste che riceve.
In tale scenario, diventa sempre più importante fare pubblicità vicino al cliente su piattaforme specializzate per assicurarsi che chi guarda tali spot sia effettivamente interessato al contenuto e possa, di lì a poco, provvedere ad acquistare i prodotti. È in questo contesto che si innesta tutta la macchina del Retail Media.
Cosa ci raccontano Centromarca e Wavemaker?
Possiamo dire che i media sono sempre stati anche retailer e viceversa. In particolare, il retail ha sempre chiesto contributi ai fornitori, giustificandoli con attività di marketing In Store dalle fortune altalenanti.
Sicuramente, negli ultimi anni, l’eCommerce ha fornito ulteriori leve per chiedere contributi a fronte di attività effettuate sui siti delle aziende. Amazon, ad esempio, ha fatto da apripista in questo mercato, trattando un range vastissimo di articoli che ha voluto capitalizzare anche attraverso l’advertising. È bene ricordare, però, che nel food retail l’eCommerce pesa ancora poco. È, quindi, ancora una volta il marketing In Store a poter forse fare la differenza se ben sfruttato.
Come dicevamo, il trend del Digital Retail Media è positivo perché questo strumento rappresenta un fucile che mira meglio rispetto a veicoli di marketing come i social network. Ha un’audience più specifica che già si trova nel luogo di acquisto e che non deve spendere risorse o tempo per raggiungerlo.
La bassa incidenza del Retail Media sul totale Digital Advertising è dovuta, molto probabilmente, ad una polverizzazione degli attori che offrono servizi digitali a tale riguardo. In futuro, dunque, è prevedibile che in questo mercato assisteremo al consolidamento di realtà che acquisiranno maggiori dimensioni, oltre al fenomeno di aziende che, dal marketing tradizionale, invaderanno sempre di più quello digitale.
La potenza di Amazon dipende, ancora una volta, dal fatto che si tratta di un unico operatore con dimensioni mastodontiche che ha la forza economico-commerciale di negoziare con i fornitori. L’aggregazione dei retailer e la concertazione dei loro interessi, operata anche da attori consolidati, specializzati nel Retail Media, renderà possibile un cambio di scenario che probabilmente vedrà la potenza di Amazon ridursi.
Non dimentichiamo che, come visto in altri articoli, il gigante americano è fiaccato da una concorrenza senza quartiere di pure player specializzati e di operatori DILP no food (Despecialized Items with Low Prices) come Temu e Action che, abbattendo i prezzi, causano una potenziale emorragia di clienti per Amazon.
Occorre fare attenzione a dove e come investire
A questo punto occorre fare una riflessione di più ampio spettro, ricordandoci che stiamo parlando di commercio e, in larga parte, ci occupiamo di retail alimentare.
È vero che il Retail Media presenta le positività enunciate ma è anche vero che il suo ROAS (ritorno sull’investimento pubblicitario o Return On Advertising Spend) a volte non è positivo. Quindi il rischio è quello di non riuscire a trarne sempre un vantaggio concreto. In sostanza possiamo dire che, per chi effettua l’investimento, non c’è sempre un ottimo riscontro.
La vera domanda da porsi, quindi, è se ci sono dei metodi migliori per impiegare il denaro, dovendolo ad ogni modo spesso distrarre da altre attività per dedicarlo al retail media.
La risposta di alcuni è che in un mondo falcidiato dall’inflazione che ha ridotto enormemente il potere di acquisto dei consumatori, l’investimento più azzeccato per aumentare le vendite sia quello che riguarda l’abbattimento dei prezzi al pubblico. È per questo che, ad esempio, Mercadona non fa altro che diminuire il costo della spesa per i propri clienti, fidelizzandoli ad un’insegna che tutela i loro portafogli innanzitutto.
Sicuramente, monitoreremo con interesse gli sviluppi del Retail Media per verificare quali dinamiche si riveleranno più efficienti per le imprese e per i loro clienti.