I recenti casi di negozi cittadini che tassano (fino a 10 euro) la prova di capi di abbigliamento, su iniziativa di negozianti esasperati dall’uso dei retail shop come camerino di prova per prodotti da acquistare on-line, non sono specchio dell’inconciliabilità tra negozi fisici e colossi delle vendite via internet, bensì cartina tornasole di quanto il rapporto tra on-line e offline sia destinato a cambiare.
Al di là della cronaca, recenti e autorevoli ricerche proiettano, al contrario, nel sodalizio tra esperienza di acquisto digitale e retail il futuro del commercio di beni di ogni tipo e sanciscono addirittura che proprio i piccoli negozi possono salvare i grandi colossi del mercato on-line.
Ne dà certezza uno studio Deloitte secondo il quale negli USA, la crescita dell’acquisto via internet rallenta su un ritmo del 14% annuo, percentuale che in una proiezione di 6 anni non crescerà più di 5 punti. Il trend significativo sta invece nella percentuale di acquisti decisi on line ma effettuati nel negozio fisico, nel piccolo retail shop, cioè il 37% negli USA con una crescita del 91% annuo.
Non c’è da stupirsi di questo trend, che influenzerà con effetto immediato il mercato europeo: oggi, quando si parla di esperienza on-line, si intende prevalentemente esperienza di acquisto via mobile, consentendo agli store con siti responsive per smartphone di essere drive store, cioè conduttori dei consumatori all’acquisto nel retail.
In pratica la nuova esperienza di scelta e acquisto nelle preferenze del consumatore partono dalla scelta on-line per poi effettuare la richiesta del bene e lo stesso acquisto nel retail store.
La domanda è: il retail è pronto per questa responsabilità e per questo ruolo di traino?
Come potrà esserlo nei prossimi, pochissimi, anni?
Sarebbe un errore credere che la tendenza di acquisto stia, banalmente, “tornando indietro” allo shopping nel piccolo negozio di quartiere così come esso era inteso fino a trent’anni fa, e sarebbe ridicolo credere ancora nel concetto economicamente naïfdi decrescita felice: il ritorno al retail salverà l’e-commerce solo se le strategie di proposta e vendita sapranno andare, come nel caso americano, alle strategie dell’Unified commerce (commercio unificato). Questo termine indica un approccio di marketing integrato che supera il concetto di “omnicanale” e che prevede una comunicazione ancora più stretta tra tutti i prodotti e i reparti di un marchio
C’è stato un periodo di una decina di anni in cui l’enorme potenziale dei social network visual, in particolare Pinterest e Instagram, ha accecato la strategia a lungo termine di molti e-commerce, che hanno erroneamente immaginato quasi defunta l’importanza dell’esperienza di acquisto fisica. Ma la saturazione degli spazi sui social dedicati alla vendita on line ha reso il marketplace altrettanto ingolfato, tanto che essere notati nell’enorme catalogo di Instagram è oggi difficilissimo.
Dunque, il retail cittadino deve venire incontro allo shopping online attraverso nuovi strumenti e tecnologie a servizio non solo dell’acquirente ma anche e soprattutto del retailer e dei suoi addetti alle vendite.
2019: anno zero del commercio unificato
La customer experience è diventato un elemento di differenziazione per il brand molto più incisivo rispetto al prezzo e al prodotto. Tuttavia, poiché i retailer aggiungono più canali di vendita, la gestione del customer journey, dal primo punto di contatto fino alla vendita, diventa difficile da tracciare e valutare.
Il mondo del retail, indipendentemente dalla tipologia di prodotto, non può più ignorare quanto gli smartphone siano un’appendice dei consumatori, costantemente consultati per tutto, anche per lo shopping e gli orientamenti di consumo e stili di vita.
Unified Commerce è la soluzione a questo problema in quanto promuove un’esperienza di acquisto unificata, semplificata e soprattutto costruita attorno al cliente. Dove il viaggio dell’utente può iniziare su una piattaforma digitale e terminare in negozio.
Spazi fisici e digitali sono in costante comunicazione, con l’unico scopo la soddisfazione del cliente.
La sfida è creare negozi “ottimizzati” per unire l’esperienza fisica a quella smart-digitale, rendendo ogni negozio in grado di ordinare e ricevere i prodotti scelti, tramite una micro-rivoluzione del consumo in cui la gestione del magazzino e la fluidità del rifornimento diventeranno fattori chiave, unendo tecnologia a fattore umano.
Secondo quanto dicono le previsioni del retail per il 2019, la gestione delle spedizioni, degli ordini e dei resi diventerà fondamentale per consentire la positività e fluidità dell’esperienza di acquisto, che parte dai siti di eCommerce rigorosamente implementati per mobile, per concretizzarsi nel negozio cittadino.
I piccoli retailer, proponendosi come rinnovati hub di acquisto di beni veicolati da app e drive store, non potranno più fare a meno di utilizzare sistemi professionali di spedizioni online, che garantiscano servizi di raccordo tra i migliori spedizionieri, potendo scegliere di volta in volta i più convenienti, come nel caso di Packlink Pro.
Solo così la gestione di spedizioni e resi non peserà più sui margini di guadagno; sarà inoltre indispensabile, per i retailer, fornire agli assistenti di negozio e addetti alla vendita sistemi informatizzati e App intuitive che diano una visione accurata e aggiornata inventario, resi, ordini e richieste di disponibilità in negozio.
Evidentemente le osservazioni statistiche stanno mettendo in risalto come sia l’on line a innescare l’acquisto nel dominio fisico e non viceversa.
Sta ora alla distribuzione su basi fisiche intendere consapevolmente la conciliabilita’ tra le due sfere e lavorarci sopra.
La tassazione connessa alla prova degli indumenti è molto pericolosa, soprattutto se la si va a giustificare come fruizione di un servizio e naturale risposta dei dettaglianti a certe abitudini d’acquisto finalizzate a perfezionare la compera in via digitale, a prezzi più contenuti.
Così si appesantirebbero ulteriormente i prezzi dove già esistono costi di intermediazione: il declino della sfera fisica si autodetermina inesorabilmente!
Che questa “tassazione” sia invece lo sfogo naturale per la comprensibile frustrazione di rimettere sempre in ordine, senza notare incrementi negli incassi?