Indicod e Ref: sostegno a una politica a costo zero
Caro direttore
Con riferimento al tuo contributo editoriale pubblicato l’11 gennaio 2014 sulla tua rivista on-line Retail Watch desideriamo puntualizzare quanto segue.
La riflessione alla quale fate cenno nasce in ambito GS1 Italy | Indicod-Ecr alla fine del 2012 quando emerge in tutta la sua evidenza il dramma dell’emergenza sociale cagionata dalla crisi economica e dall’aumento della disoccupazione destinato ad acuirsi nell’anno in corso. La filiera dei beni di consumo è in contatto quotidiano con i cittadini/consumatori e attraverso i loro comportamenti ne conosce le crescenti difficoltà. Per queste ragioni è chiara la convinzione che si debba mettere in atto politiche che favoriscano il rilancio della domanda interna.
Il lavoro riportato nel Quaderno “Politiche di sostegno ai consumi alimentari delle fasce sociali meno abbienti” nato dalla collaborazione fra REF Ricerche e GS1 Italy | Indicod-Ecr, mira in primo luogo a portare all’attenzione di governanti e istituzioni il tema del crescente disagio economico e sociale, con una povertà ed esclusione sociale arrivate dentro la classe media (il 29,9% della popolazione è a rischio) e con un 14,5% di famiglie che versano in condizioni di severa deprivazione materiale, cioè manifestano sintomi di disagio plurimi, come l’impossibilità di riscaldare adeguatamente l’abitazione, gli arretrati sul pagamento di bollette e affitti, l’impossibilità di permettersi alcuni elettrodomestici di base, come lavatrici, tv o telefono.
Tra le varie facce del disagio pernicioso e riprovevole è il dato di un 16,8% di famiglie che non possono permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni, con punte del 30,1% nelle famiglie con tre o più minori, tra gli anziani soli (1 su 4) e nel Mezzogiorno (1 famiglia su 4).
Sono dunque 10 milioni le persone che sperimentano una deficit di alimentare : i dati dell’emergenza, parziali, superati e datati parlano di 2 milioni di persone assistite da organizzazioni caritatevoli.
Il programma di carta acquisti, con tutti i limiti ben ricordati da Rubinelli, è ad oggi l’unico programma di sostegno alimentare esistente in Italia. Il suo limite principale è l’inadeguatezza rispetto alla dimensione dell’emergenza nutrizionale: ad oggi offre una risposta e anche parziale ad anziani e bambini sotto i tre anni, escludendo tutte le famiglie povere con uno o più figli minori di età superiore, gli stranieri, i disoccupati di ogni età. I 200 milioni di euro spesi dal programma per sostenere i poveri non sono sufficienti. I beneficiari sono infatti 500 mila, a fronte dei 10 milioni bisognosi di un aiuto.
Nella direzione di un ampliamento della platea muove la sperimentazione della “nuova” carta acquisti avviata nel 2013, della cui estensione si discute in queste settimane. E’ un percorso che ambisce all’istituzione di un sostegno universale, cioè uno strumento rivolto a tutte le situazioni di disagio economico connesse alla perdita del posto di lavoro.
Il Quaderno non si limita a recitare il cahier de doleance, ma sviluppa una proposta e un messaggio che possono apparire provocatori: i denari pubblici spesi per sostenere i bisogni primari dei poveri sono politica economica in grado di creare posti di lavoro. Di più, l’analisi dimostra che le ricadute in termini di maggiori consumi e produzione generano una crescita di Pil che ripaga i denari pubblici spesi. Il sostegno alimentare è una politica economica a costo ZERO.
Aggiungiamo che la necessità di un approccio universalistico alla povertà non può, a giudizio degli scriventi, passare per l’appiattimento dell’offerta su prodotti di basso prezzo, o per la discountizzazione del panorama commerciale. Questo sì vorrebbe dire depauperare il Paese di una filiera che è ancora in grado di esprimere eccellenze nel mondo e fungere da volano di sviluppo.
Donato Berardi, Partner REF Ricerche
Marco Cuppini, Research and Communication Director GS1 Italy | Indicod-Ecr
Risponde Luigi Rubinelli, direttore di RetailWatch.it
Grazie della vostra cortese risposta.
Le ricerche di mercato hanno sempre un valore. Il problema dei dati, però, è che in Italia molti hanno zone d’ombra. Abbiamo rilanciato la ricerca, criticandola, perché:
. le persone hanno bisogno di lavoro che dia reddito stabile per consumare e non di elemosina sociale più o meno mascherata, anche sotto forma di social card. Se manca e mancherà il lavoro vero in futuro inizierà per chiunque un periodo di povertà vera. Credetemi: non serve una visione terzomondista e/o caritatevole. Bisogna dare fiducia alle persone rispettandole come cittadini e valorizzandole con il lavoro. Non si può metterle in una gabbia artificiale al margine del mondo del lavoro e dei consumi, dalla quale è poi difficile uscire. La social card da voi auspicata sottolinea la ghettizzazione crescente della povertà. Scusate, ma non trovo altro modo per descriverla. E le ricerche teoriche e di maniera in questo campo servono davvero a poco.
. le cifre che riportate, voi come altri istituti o Associazioni, sono opinabili per via della zona grigia dell’economia di cui sopra. Molte persone non denunciano o lo denunciano in parte, il reddito che, per comodità, diciamo in nero. Questo atteggiamento è trasversale al censo e alla demografia. Dispiace dire queste cose, che tutti osservano ma nessuno ha il coraggio di dire. I dati ne risentono.
È un po’ quel che accade per gli indici di fiducia. L’Istat cambia la metodologia e d’improvviso ci troviamo ottimisti in piena recessione. Riportare questi e altri dati senza approfondirli e commentarli appare fuorviante.