La filiera carne è viva e si sviluppa intorno a noi, in modo unitario

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Novembre 2019. È la via Emilia il punto di osservazione privilegiato per cogliere le caratteristiche endemiche della filiera delle carni e dei salumi in particolare. L’economia di produzione delle carni e dei salumi trova un baricentro in questa parte di Italia dove i problemi e le virtù, la qualità della zootecnia e della trasformazione si presentano al massimo livello. La presenza di operatori, il livello di organizzazione, la compresenza di filiere di tipo industriale e artigianale, ma anche la concentrazione di capitale e competenze sono in grado di disegnare il profilo di una filiera complessa e variegata.

In Italia il settore delle carni fattura circa 30 miliardi di euro, di cui oltre 20 miliardi provengono dall’industria della trasformazione che coinvolge 67 mila addetti pari al 16,5% di quelli dell’industria alimentare. La filiera suinicola da sola produce un fatturato di oltre 11 miliardi di euro, ripartiti in 3,4 miliardi di euro per la fase agricola e 8 miliardi di euro per la fase industriale. Prosciutti crudi e salami stagionati, wurstel, prosciutti cotti e bresaola godono di un ottimo posizionamento sui mercati esteri, in primis Germania, Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Nel 2018, a fronte di una perdurante stagnazione dei consumi interni, l’export ha continuato ad aumentare (+1,0% sul 2017) per un valore di 1,5 miliardi di euro (+0,3% rispetto al 2017). Altrettanto rilevante sotto il profilo economico è la filiera della carne bovina che rappresenta il 4,4% del fatturato realizzato dall’intera industria alimentare nazionale, con un valore di 6.160 milioni di euro nel 2018. L’Italia è il quarto produttore europeo di carne bovina, sebbene nell’ultimo decennio abbia perso quasi un terzo della produzione e sia cresciuto il ricorso alle forniture estere, più competitive sul prezzo.

Sono questi alcuni dati della ricerca socio-economica condotta dal Consorzio Aaster che permette di scattare un’istantanea sulla filiera delle carni e dei salumi contribuendo a riflettere sulle sfide che il settore può e deve saper cogliere per continuare a crescere nel futuro. Un tema al centro della tavola rotonda Dialoghi con le meraviglie del nostro paese prevista per oggi alle 17 presso il Teatro Michelangelo di Modena. L’evento rientra nella tappa emiliana del Grande Viaggio Insieme di Conad, dal 14 al 16 novembre, che punta quest’anno i riflettori sul tema delle filiere agroalimentari. Non è un caso che sia Modena la città scelta per parlare del settore dei salumi: il distretto modenese delle carni conta più di 4 mila aziende e un fatturato di 3 miliardi di euro. Modena è la provincia italiana con il più alto numero di aziende artigiane e attrae una domanda estera di carni made in Modena che ha raggiunto i 660 milioni di euro nel 2018, collocandosi al primo posto in Italia, davanti a Verona e Parma. È anche la seconda provincia emiliana, dopo Parma, per produzioni di otto Dop e Igp, di cui tre sono modenesi: il Prosciutto di Modena Dop, lo Zampone di Modena Igp e il Cotechino di Modena Igp.

 “Nella sua complessità e indeterminatezza dei confini, la filiera delle carni e dei salumi racconta l’unitarietà del Paese declinandola nelle tante specificità di prodotti tipici e culture locali”, annota l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese. “La sfida è quella di premiare gli investimenti che già numerosi attori della filiera stanno mettendo in pratica sulla tracciabilità e sostenibilità delle produzioni, mostrando attenzione ai processi naturali e alla capacità di innovare sperimentando nuove tecnologie e attingendo ai saperi della cultura locale.  In questo senso, la sinergia tra tradizione, innovazione e organizzazione di filiera è il criterio di base per permettere al settore di rafforzarsi sul mercato italiano e internazionale continuando a garantire la qualità e la sicurezza alimentare dei prodotti.”

La ricerca di Aaster evidenzia come gli allevamenti, la produzione delle carni e degli alimenti di origine animale ricoprano un ruolo importante per gli equilibri del pianeta. Sul piano globale, il 40% della terra arabile è dedicata al pascolo, mentre agli allevamenti è destinato un terzo della produzione totale di cereali. In Italia, secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) sono cresciute le emissioni inquinanti di particolato prodotte dagli allevamenti intensivi. Gli allevamenti sono la seconda fonte di emissione di particolato (con il 15%), dopo il settore del riscaldamento (con il 63%) e prima del settore industriale (con l’11%). Dati noti e condivisi dall’opinione pubblica a cui si affiancano quelli sulle buone pratiche di produzione e allevamento che, orientati alla sostenibilità, potrebbero dare un contributo al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale.

La prospettiva di rendere più sostenibili le filiere alimentari animali trae spunto anche dall’analisi dei consumi di carne. La contrazione del consumo di carne c’è, ma chiama in causa soprattutto aspetti qualitativi relativi alla tipologia di carne. A cambiare è il tipo di carne acquistata: si mangia meno carne rossa e più pollame.  Secondo la FAO, dal dopoguerra il consumo di carni nel mondo è aumentato e le proiezioni indicano il raggiungimento della soglia di 500 milioni di tonnellate entro il 2050. Saranno soprattutto i cosiddetti paesi in via di sviluppo a rappresentare il 75% della crescita futura di carne. In questo senso, anche se si assistesse ad una stabilizzazione o ad una moderata contrazione del consumo di carne, la crescita sarebbe trainata dai paesi in via di sviluppo.

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