Da sempre esistono modi per far fruttare lo spazio all’interno dei negozi in termini pubblicitari. E se, il metodo definitivo, fosse più strutturato e profittevole di quelli analizzati fino ad ora?
Recentemente si è svolta a Monopoli (Bari) la seconda edizione dell’evento organizzato da Promomedia “CRM Pricing Retail Media“, dal titolo accattivante “Sotto un cielo di dati“.
La lista completa dei relatori che si aggiungono a Saverio Addante (CEO Promomedia) è disponibile a questo LINK.
Prima di arrivare al tema dell’articolo però è bene fare una premessa:
Da tempo immemore il retail, con la collaborazione e la contribuzione fattiva dei fornitori, cerca di sfruttare i propri spazi disponibili, oltre al semplice scaffale, per operazioni di natura pubblicitaria.
Pensiamo, ad esempio, a tutti i totem informativi, dotati di schermo, oppure alle attività delle promoters che, presso i singoli stores, invogliano i clienti ad acquistare o, quantomeno, a provare i prodotti di questo o di quel marchio.
In molti casi, viaggiando lungo la Penisola, si possono vedere superfici (specialmente gli ipermercati) “ingolfate” da tali iniziative pubblicitarie che si accompagnano ad altrettanti floor stand (espositori verticali) di prodotti che, a volte, non generando grandi rotazioni, si traducono in semplici “ruba spazio” improduttivi.
Nei casi estremi, vediamo monitor pubblicitari spenti (perché non correttamente manutenuti dopo una prima fase di lancio) o floor stand che vengono riforniti con prodotti diversi rispetto a quelli per cui sono stati concepiti.
Generalmente, esiste un dibattito in GDO (a livello internazionale) sulle attività core e quelle no core. Per alcuni, quando abbondano le attività no core, significa che il business principale non è profittevole e, quindi, ciò rappresenta un allarme. In sostanza, dunque, tali attività vengono etichettate come pure distrazioni da evitare o limitare in ogni modo. È vero che, ad esempio, in molti negozi basso performanti (spesso i già citati iper), c’è una proliferazione del materiale pubblicitario di cui sopra, utile al solo fine di alleviare un conto economico in perdita.
Per la GDO, infatti, il core business è la vendita di generi alimentari e dell’assortimento no food complementare mentre tutto ciò che gravita intorno all’advertising è da considerarsi un’attività secondaria.
C’è chi pensa però, al contrario, che ogni iniziativa collaterale sia uno strumento per generare profitto extra da investire parzialmente, poi, nelle attività core per accaparrarsi ulteriori clienti.
In parole povere, l’attività principale diventa il “gancio di traino competitivo” che fidelizza la clientela e consente all’azienda di vendere alla stessa base clienti tutti gli altri prodotti e servizi no core più redditizi.
Basti pensare ad Amazon, azienda nota per il lavoro mastodontico svolto nell’eCommerce che è entrata in tanti e diversi settori (dai servizi cloud a quelli dedicati allo streaming). La sua controllata Amazon Web Services, ad esempio, dedicata ai servizi web ed al cloud computing, è un’azienda altamente profittevole che contribuisce in modo significativo al conto economico di gruppo. I profitti di AWS, ad esempio, possono essere in parte investiti per migliorare l’esperienza di acquisto dei clienti su amazon.com o per abbassare i prezzi di determinati articoli.
Se l’attività principale è il “gancio di traino competitivo” che fidelizza il cliente, le attività secondarie diventano potenzialmente addendum redditizi che migliorano i profitti di gruppo e la competitività del core business
Qual è, dunque, la proposta di Promomedia per trasformare l’Advertising in una leva per il “gancio di traino competitivo“?
Ricordiamo che in Italia ci sono circa 26.000 negozi alimentari che si possono trasformare in dei touchpoints pubblicitari ed essere, quindi, raggiunti da ogni tipo di contenuto audiovideo.
E se il Retail, in modo compatto, associandosi, desse mandato ad una concessionaria pubblicitaria di vendere gli spazi in questione all’industria?
Durante il convegno si parla di circa 10 miliardi di euro, volendo dare un valore al mercato pubblicitario potenziale che tale concessionaria andrebbe ad “attaccare”, ovvero una montagna di denaro che potrebbe essere utilizzata per incrementare la redditività del retail e fornire i mezzi per foraggiare gli investimenti nelle attività core.
Come per ogni idea di business, vanno verificati tutti gli elementi utili a valutarne la reale fattibilità ma come provocazione è assolutamente interessante.