Librerie-libri-librai: è finita con l’arrivo di Amazon?
Giugno 2012. Non ho avuto molto tempo, onestamente, di frequentare l’ultimo Salone del libro di Torino e ho perso sicuramente i principali convegni e dibattiti. Ma ho letto molti articoli (in gran parte su carta, pochi quelli on line se non copie di quelli cartacei) pubblicati dai principali quotidiani e settimanali. La bagarre è stata scatenata dall’arrivo di Amazon.
– Amazon uguale a Gengis Khan?. Amazon è il nuovo Gran Bazar di Istanbul dove si possono comprare oltre ai libri, la musica, le scarpe, le borse, i tappeti. Gengis Khan distruggeva sul serio, Amazon fa una competizione dura, magari con una tassazione diversa dalle imprese italiane, ma è un giante con le gambe fragili, si può batterlo, eccome, almeno nella parte libri. È n gigantesco mall dove è facile perdersi, dove è facile comprare di impulso (e non c’è il segnaposto sul tapis roulant alla cassa come da Leroy Merlin che dice: “Se hai comprato in eccesso ti rimborsiamo”, frase etica in forma commerciale che ha, comunque, un suo valore. Ma dove è anche facile non comprare nulla per la confusione e la mole di tempo che si perde, skroll dopo skroll. All’inizio si rimane incuriositi da un sistema di merchandising nuovo (innovativo è un’altra cosa) e dagli incroci di complementarietà e dei suggerimenti di acquisto che si incrociano. Ma Amazon è uno spreco di tempo fantastico, altro che la coda alle casse del supermercato.
– Nuovo imperialismo? Dario Giambelli di Feltrinelli su questa definizione ha ragione: andiamo verso uno stretto oligopolio, ma di mercato, nel senso che ci sarà chi, nel regime di competizione, potrà raggiungere e superare il neo imperialista Amazon.
– Nemico o partner ob torto collo? Anche Carmine Donzelli che sicuramente è più cinico e oggettivo di altri ha ragione: prima o poi si faranno affari con Amazon.
– Kindle fa male agli editori o alle librerie? Kindle, che è un brand di Amazon, fa bene a chi vuole leggere un libro, fa male agli editori che non hanno titoli di qualità. Siamo nell’epoca dell’individualismo e dell’io: perché recarsi in un luogo pubblico di acquisto e di consumo quando si può fare tutto sul divano di casa, senza muoversi? Ma la cultura gira anche su Kindle (soprattutto prossimamente) e questo è un bene. Se la libreria non accoglie e non coccola, Kindle ha buon gioco ad affermare: “Stai con me sul divano”.
– Selfpublishing: una vera insidia. Liberare gli “autori” senza che ci sia un filtro (l’editore, la libreria) a controllare il mercato, questo si che è un vero pericolo. È un po’ come la politica, basta avere un po’ di soldi e si diventa autori e magari presidenti della repubblica: oggi ce ne sono in giro tanti, sgrammaticati, senza un progetto, senza una chiusura degna di questo nome, in una confusione e una babele senza fine.
– Altri canali: l’edicola, Media World, Autogrill. Il libro è poi venduto in canali che tutti fanno finta di non vedere come le grandi superfici specializzate e la ristorazione rapida nei luoghi della mobilità. Certo qui il libro è trattato come un commodity di impulso ma è pur sempre un libro, un veicolo di cultura a essere venduto.
Cosa deve fare la libreria.
A questo punto bisogna dire come dovrebbe (parere personale) essere la libreria.
– Un luogo di incontro. Deve essere potenziato il bar che deve diventare una cafeteria con un menù di cose buone e fresche (via i forni a micro onde e le piastre che producono inquinamento e altro ancora) con un’offerta per la colazione, una per il lunch, una per la merenda e una per la sera. Ci vogliono sedute comode (non quelle di McDonald che ha fretta di far uscire l’avventore, ma quasi come quelle di Starbucks). Ci vogliono grandi tavoli dove mettere i libri e sfogliarli con calma. La libreria è un luogo slow, non fast.
– La libreria non è un supermercato, o peggio un autogrill. In molte catene (ahimè) è aumentato il peso del bazar non food e dei prodotti food di impulso (le casse sono diventate eguali a quelle dei supermercati con cyclets per tutti i gusti, eguali a quelle dell’Esselunga o di My Chef. Soprattutto il bazar del non food a un lettore come me da fastidio: molte volte è dozzinale, cinese nell’anima, costosissimo e inutile, fonte di rimorsi subito dopo l’ennesimo, inutile, acquisto. Il bazar snatura il concetto di libreria, figuriamoci quello di libro.
– L’assortimento. La libreria deve copiare il modello di Amazon: per ogni acquisto suggerire un incrocio o un’idea ulteriore di acquisto. Questo era il vero lavoro del libraio che conosceva tutti i libri, gli editori e le edizioni. Come si fa a riparare a questa lacuna: investendo sui commessi che devono ritornare a fare i librai. Non ho mai visto un direttore di libreria (Mondadori o Rizzoli o Feltrinelli che dir si voglia) a disposizione con il suo sapere in area di vendita. Il suggerimento del libraio è la vera arma contro gli algoritmi di Amazon. Cari librai volete un altro suggerimento? Scrivete più che potete piccole recensioni a mano sui lineari, fate capire che il vostro è un mestiere artigianale e non seriale, ditelo ai direttori marketing, un mestiere del pensiero e dell’intelligenza, non del computer.
Ridateci (soprattutto per voi editori e catene specializzate) i librai, l’investimento per la loro preparazione dovrebbe essere condiviso dall’intera filiera, editori compresi.