L’industria del food gode di ottima salute. Con l’export
Marzo 2016. Cosa c’è dietro il successo di un comparto come l’alimentare, uno dei migliori tra i manifatturieri, con un fatturato di 133 miliardi e 58mila imprese? È il fil rouge di Strategie e performance dell’industria alimentare, di Fabio Antoldi, Daniele Cerrato e Anotnio Campati, McGraw-Hill, 29 euro.
La ricerca, divisa per comparti merceologici, ricavata sui bilanci delle imprese dell’IDM, mancava da molto tempo. Per la prima volta è stata indagata la performance economico-aziendale del settore, attraverso la rielaborazione dei dati di bilancio di 448 imprese ed un questionario rivolto a 120 di esse, caratterizzate da maggiore competitività
Innovazione dei processi produttivi, sviluppo di nuovi prodotti, valorizzazione della tradizione e attenzione ai mercati esteri, secondo un gruppo di ricerca della Università Cattolica che ha presentato il libro “Strategie e performance dell’industria alimentare”, edito da McGraw-Hill.
Ecco uno dei principali indicatori, di fatto il margine lordo.
Ebitda/vendite medi, 2007-2013
Comparto %
Acqua e bevande 10,16
Birra 12
Carni 3,07
Coloniali 12,87
Condimenti 11,1
Conserve 6,49
Dairy 8,93
Gastronomia 11,73
Ittico 6,23
Olio 3,05
Pasta 8,79
Salumi 6,12
Snack 10,13
Ma sono tutti i fatturati, il patromonio e la redditività a crescere, soprattutto perchè le imprese guardano alla UE come al proprio mercato domestico, grazie a strategie imprenditoriali precise (“Producono con I piedi nella filiera –sottolinea Antonio Cellie, Ad di Fiere di Parma. Cosa che altri non sanno fare”).
Chi alla fine del libro tenta di farsi la domanda: ma il settore alimentare è un settore maturo? La risposta, guardando ai dati, è: tutt’altro.
I tre driver di questa strategia sono:
. Innovazione,
. Qualità,
. Tradizione.
Non sono luoghi comuni, ma, con l’aggiunta di flessibilità, voglia di fare, entusiasmo imprenditoriale, riassumono appieno la capacità di rendere anche un servizio al prodotto trasformato italiano.
Pochi brevetti, lancio continuo di nuovi prodotti, innovazione dei processi produttivi, miglioramento della qualità intrinseca, increment della produzione e della produttività, completano il quadro.
La risposta alla crisi
“All’inizio dell’indagine intuivamo che il settore alimentare aveva risposto bene alla crisi, ma l’obiettivo era proprio quello di scoprire le cause di questa tenuta –dichiara il professor Lorenzo Ornaghi, Presidente dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica – Immaginavamo di dover analizzare sicuramente ragioni di ordine economico, ma la nostra attenzione si è focalizzata anche nel capire chi fossero gli imprenditori, i loro percorsi personali, la loro capacità di far tesoro delle esperienze dei fondatori e, non da ultimo, le modalità con le quali affrontano il tema della successione nella guida dell’impresa”.
La prima fase della ricerca ha visto l’analisi dei principali dati di bilancio delle imprese nei sette anni dal 2007 al 2013. In particolare, l’analisi si è focalizzata su: Ricavi, EBITDA/Vendite (margine lordo), ROA (Return on Assets), Posizione finanziaria netta (PFN), Mezzi propri/Mezzi di terzi, liquidità primaria.
La seconda fase della ricerca si è basata sulla somministrazione di un questionario alle 120 imprese caratterizzate da maggiore competitività e rappresentative dei diversi comparti.
«L’internazionalizzazione – spiega Fabio Antoldi, Direttore del Centro di ricerca per lo Sviluppo imprenditoriale (CERSI) dell’Università Cattolica e autore del libro insieme a Daniele Cerrato e Antonio Campati – denota inequivocabilmente il Dna delle imprese di successo, un processo non recente e che si sta allargando: stanno comparendo nuove direttrici di export che sono prevalentemente Stati Uniti, Canada e mercati asiatici. A ciò si associa spesso una notevole capacità innovativa, incrementale non radicale, che si manifesta soprattutto nel packaging, nei nuovi formati e nel lancio di nuovi prodotti. Mediamente le imprese d’eccellenza presentano tre, quattro innovazioni all’anno, puntando sulla qualità, ma anche sulla tradizione perché si tratta per la maggior parte di aziende familiari dove le generazioni che si susseguono garantiscono una certa continuità”.
Export in aumento
Questa forza strutturale del comparto rende possibile l’obiettivo dei 50 miliardi di euro di export da raggiungere entro il 2020, sottolinea Luigi Scordamaglia, Presidente di Federalimentare:
“C’è un percorso di continuità che parte dalla ricerca fatta da Ornaghi sulle principali imprese italiane dell'industria alimentare, passa attraverso la grande vetrina di Expo 2015 che si è rivelata un palcoscenico unico per il nostro modello agroalimentare ed una piattaforma unica d'incontri di affari, grazie alla presenza d'imprese straniere, top buyer, investitori da tutto il mondo, distributori e fornitori, e arriva fino a Cibus 2016.
Il ruolo di Cibus
La prossima edizione di Cibus rappresenterà, quindi, l'occasione di consolidare e rilanciare l'eredità di Expo e sarà una nuova occasione di business, l'obiettivo è chiaro: 50 miliardi di export entro il 2020, un obiettivo possibile anche grazie all'apertura verso nuovi mercati dove esportiamo non solo il Made in Italy, ma quello che definiamo Made with Italy, il know how italiano ed il modo efficiente e sostenibile di produrre eccellenze”.
“Mostreremo al mondo – spiega Scordamaglia – come nessuno al pari delle nostre aziende alimentari è in grado di coniugare innovazione e tradizione con prodotti d'eccellenza che da un lato affondano in un' inimitabile tradizione secolare, dall'altro hanno un contenuto di innovazione e servizio che li rende adatti non solo alle esigenze del consumatore di oggi, ma anche a quello di domani”.
Una piattaforma di conoscenze
Un concetto ribadito da Antonio Cellie, Ceo di Fiere di Parma, che organizza Cibus:
“Questa ricerca rappresenta per Cibus una tappa fondamentale del proprio percorso evolutivo: da fiera leader di settore a piattaforma permanente di conoscenza e promozione per supportare l’export agroalimentare italiano. In maggio a Parma 3.000 espositori, tutti rigorosamente espressione del Made in Italy alimentare, daranno al mondo una rappresentazione straordinaria del nostro patrimonio di competenze lungo tutte le filiere, della nostra capacità di innovare valorizzando tradizione e territorio, dell’unicità antropologica del nostro tessuto imprenditoriale e manifatturiero”.
“Ma il nostro lavoro, insieme a Federalimentare ed ICE, continua anche immediatamente dopo questo Cibus dei record – dice Cellie – intensificando le iniziative di marketing collettivo, in Italia e nel mondo, sempre dedicate alle aziende italiane che vogliano accelerare il loro sviluppo nei diversi Mercati Obiettivo. Il lavoro esegetico coordinato dal prof. Ornaghi ci restituisce un quadro chiarissimo sulla leadership e le potenzialità di questo settore che vorremmo trasformare in un osservatorio permanente sui suoi fattori critici di successo per monitorare e orientare questo percorso verso l’auspicato traguardo dei 50 miliardi di Export”.