Maggio 2012. Maggiori investimenti in capitale umano, crescita della dimensione media delle imprese, rafforzamento della struttura patrimoniale. Sono i binari che devono guidare il rilancio delle imprese italiane.
Sono finiti i tempi in cui l’economia italiana cresceva a colpi di spesa e deficit pubblico e di continue inflazioni che negli anni ’80 e nei primi anni ’90 avevano portato alla impennata del debito pubblico. Una forma di sviluppo che ha o le premesse per il contesto economico che l’Italia sta vivendo, fatto di divario di crescita a confronto con i maggiori Paesi europei, caduta del PIL, caduta di fiducia degli investitori, cauta dei consumi e un aumento della disoccupazione
Insomma, si, la crisi del 2009 ha colpito tutti i Paesi contemporaneamente, ma in Italia ha lasciato degli strascichi pesanti. Tutto negativo? No, perché negli ultimi dieci anni il sistema produttivo italiano si è avviato verso produzioni di più alta qualità ed è cresciuto il tasso di innovazione; fattori che insieme a un maggiore orientamento verso i mercati esteri hanno permesso di consolidare i successi delle esportazioni.
Infatti la crescita dell’export nel 2011 è stata dell’11,4%, contro il 10,4% della Germania e il 6,4% della Francia. In percentuale, il peso delle esportazioni italiane di qualità nel largo consumo è passato dal 17,9% 2000 al 23,6% del 2010 e dal 40% del 2000 al 46,3% del 2010.
Investire nel capitale umano
Ma questo non basta; nel suo intervento svolto in occasione dell’edizione 2012 de Linkontro, il convegno organizzato da Nielsen, Gregorio De Felice, head of research and chief economist di Intesa San Paolo, ha tracciato il percorso da seguire per dare un futuro al sistema produttivo italiano. Un percorso che deve puntare sulla valorizzazione del capitale umano delle aziende, a cominciare dalla formazione, e su un maggiore impegno negli impegni sui mercati esteri. L’Italia, solo il 39% delle aziende effettua corsi di formazione, dietro Francia, Germania e Spagna. Un dato su cui pesano, ma in negativo, le piccole e medie imprese, proprio quelle che costituiscono il tessuto produttivo dell’economia italiano.
Tabella 1 – Quota (%) di imprese che hanno effettuato, internamente o esternamente, corsi di formazione nel 2009.
(*) Divario dovuto alle PMI
Formazione, accompagnata da ricerca e sviluppo (R&S) viaggiano insieme. Perché le innovazioni sono molte, ma poco radicali e di limitato impatto commerciale per via della scarsa >R&S. Non sarà che le imprese del nostro Paese hanno dimensioni che non consentono di sopportare i costi necessari per l’innovazione? Perché, se osserviamo i dati che riguardano la propensione all’innovazione negli ultimi quattro anni, troviamo che la quota di imprese con domande di brevetto passa dai 22,8% delle grandi imprese, al 10,1% delle medie imprese, al 2,6% delle piccole imprese.
Tabella 2 – Quota % di imprese con domande di brevetto all’EPO per classi dimensionali
Di fronte all’Italia non ci sono molte strade. O la depressione del paese, o una maggiore apertura verso i mercati internazionali che abbia come punti di forza la valorizzazione delle persone, un crescente impegno verso l’innovazione che si fondi sulle competenze e sulla ricerca localizzate in Italia, per accompagnare internazionalizzazione delle imprese, anche con investimenti diretti sui mercati esteri.
Tertium non datur.
Tabella 3 – La direzione dell’evoluzione di alcuni dei punti di forza delle imprese italiane, fonte, Gregorio De Felice, Banca Intesa San Paolo, in occasione de Linkontro Nielsen 2012
Analisi puntuale e impeccabile: la formazione di qualità, abbinata alle attività di ricerca e sviluppo, deve assolutamente diventare una vera e propria priorità in questo Paese.