Gennaio 2019. Siamo tutti d’accordo sull’esistenza e sulla necessità di misurazione dei recenti mutamenti nei comportamenti d’acquisto che, complici il crescente interesse verso il commercio online e – in generale gli avanzamenti della tecnologia, sono sempre più continui, frammentati, veloci. La causa di questi mutamenti viene da più parti ricercata nell’effetto dirompente che il commercio online ha avuto sui modelli di consumo e, quindi, viene individuata nel commercio online stesso. È davvero così?
Una buona parte della percezione di questo mutamento nelle abitudini di consumo è generata dal paradigma secondo cui l’uomo è un essere razionale. Una parte del mutamento delle abitudini di consumo, invece, si spiega proprio con il fatto che seppur l’uomo sia un essere razionale non sempre altrettanto può dirsi delle sue scelte, spesso basate sull’istinto e su condizionamenti esterni. Da questo punto di vista, pertanto, parte del mutamento nelle abitudini di acquisto è facilmente spiegabile con (il fenomeno della) l’irrazionalità nelle scelte che il commercio online (ed i suoi innumerevoli stimoli) ha contribuito a far emergere con più dirompenza.
Istinto e emozione
È noto come il premio Nobel 2018 per l’economia sia stato assegnato a Richar H. Thaler, esponente di una non folta schiera dei teorici dell’economia comportamentale. Il lavoro dietro tale importante riconoscimento è stato quello di fornire un modello secondo cui il comportamento umano è la risultante di istinto ed emozione da una parte e ragione dall’altra. In tale contesto, Thaler propugna un’economia “umana”, che parte dalla consapevolezza di come le persone spesso compiano scelte irrazionali e identifica politiche non coercitive per orientarle verso le decisioni desiderabili sul piano individuale e collettivo. È la Teoria dei “nudge” o delle leggere spinte, piccoli condizionamenti secondo cui le architetture delle scelte possono essere progettate allo scopo di aiutare le persone a riorientare le proprie decisioni verso stili di vita, consumi e abitudini più consapevoli e razionali. Siamo pertanto di fronte ad una debolezza “strutturale” del consumatore, oggi maggiormente riconosciuta e studiata, tuttavia da sempre presente nel consumatore in quanto insita nella natura umana. È evidente in tale modello un diverso paradigma rispetto a quello della ben più diffusa teoria secondo cui l’Uomo è mosso soltanto dall’ottenere il massimo risultato con il minimo dispendio di mezzi senza spazio per scelte prese con l’istinto e con le pulsioni e, comunque, lontane dal calcolo razionale: tale modello mostra tutta la sua debolezza nel non spiegare innumerevoli esempi di irrazionalità di cui la storia economica è piena (bolle immobiliari, bolle della borsa, crisi delle dotcom etc…) considerati spesso dagli economisti delle temporanee e necessarie deviazioni dal tracciato; viceversa, è anche questo che dimostra il Nobel a Thaler, oggi c’è chi inizia a riconoscere come l’Uomo sia un animale più complesso di quel che si credeva.
Scontato questo elemento di bias nella comprensione del consumatore, quindi, come può essere motivato l’indiscusso mutamento nelle abitudini di consumo? Gli elementi di contesto da cui partire sono, da un lato, un lungo periodo di crisi economica iniziato ad Ottobre 2008 e per molti ancora in corso, seppur con differenze a seconda dei paesi e dei settori economici e, dall’altro, la diffusione delle tecnologie sempre più invasive e permeanti la vita di tutti i giorni – questa ultima considerazione amplificata per le generazioni che con queste tecnologie sono nate.
La resistenza attiva del consumatore
Al riguardo, ciò che emerge nell’indagine 2017 “Osservatorio sui consumi delle famiglie” dell’Università di Verona – SWG, è un consumatore che ha reagito alla crisi economica degli anni precedenti con scelte di acquisto che puntano a perseguire e mantenere il proprio precedente stile di vita e, per far questo, ha ingenerato comportamenti di “resistenza attiva”, che si sono tradotti in un maggior tempo e una maggiore attenzione riservata alle scelte di acquisto, alla ricerca di offerte e promozioni ed alla garanzia della qualità del prodotto. Ancora, da questa indagine è emerso che se il consumatore non riesce a soddisfare questo bisogno è disposto a cambiare il suo punto vendita abituale. Più in generale, si è registrata una diffusa disponibilità al cambiamento, se i 2/3 dei consumatori intervistati hanno dichiarato di aver cambiato il modo di far la spesa a seguito della crisi economica.
Ed è questo il punto. Il commercio online ha avuto il merito, nel percepito del consumatore, di venire incontro alle sue mutate esigenze di consumo; in questo senso la causa del cambiamento dei comportamenti di consumo è la crisi e l’online rappresenta soltanto uno degli strumenti (o probabilmente il più importante) che hanno aiutato il consumatore in questo mutamento. L’esigenza è pertanto quella di ridefinire il profilo reale del consumatore odierno. Gli italiani hanno maturato una piena consapevolezza della condizione di impoverimento, vissuta come una nuova normalità dalla quale ripartire. Questo ha sviluppato non solo un’attenzione inedita, ma anche una forza propositiva alla risoluzione di problemi e alla ricerca di soluzioni per garantirsi comunque il miglior stile di vita possibile. Un consumatore non solo più attento, insomma, ma anche più informato e consapevole. Come spiega Fabio Vaccarono, managing director di Google Italy, «occorre prendere atto del fatto che per la prima volta i consumatori sono più avanti di qualsiasi organizzazione, basti pensare, ad esempio all’e-commerce, grazie a cui è aumentato il numero di fonti di informazione prese in considerazione per fare un esempio un acquisto che è triplicato negli ultimi cinque anni per qualsiasi bene di consumo». O, ancora, come dichiarato da Jennifer Hubber, chief executive officer di Ipsos «se un tempo, per fare scelte di acquisto, ci si rivolgeva in modo privilegiato ai circuiti gerarchici e intermediati top-down, ora ci si fida quasi esclusivamente dei circuiti orizzontali disintermediati peer to peer».
Stabilita la motivazione alla base del mutamento delle abitudini di consumo, al netto del bias comportamentale, immaginato il profilo del nuovo consumatore ed il ruolo del commercio online, vediamo la rilevanza del fenomeno, soprattutto in Italia. Certamente si tratta di un fenomeno quantitativamente ancora minoritario ma in forte e costante crescita. A fronte di una quota di pubblicità sul web in Italia 2017 (fonte Nielsen, perimetro esteso) che ha raggiunto il 29,8% su un mercato complessivo di 8,2 miliardi di euro la quota di commercio online in Italia 2017 (fonte: Osservatorio e-commerce B2c del Politecnico di Milano e Netcomm) si attesta al 5,7% pari a 23,6 miliardi di euro (in crescita del 17,7% rispetto al 2016). Ma bisogna andare oltre la dimensione e pesare il coinvolgimento delle persone, per capire meglio il fenomeno. In Italia la diffusione dell’online ha raggiunto l’88,7% della popolazione tra gli 11 e i 74 anni. Mediamente hanno navigato 29 milioni di utenti unici nel mese e 22,1 nel giorno medio (fonte: Audiweb 2016). Inoltre, dai risultati dell’indagine “Total Retail 2017” di PWC, emerge come il 91% dei consumatori italiani abbia acquistato almeno una volta su Amazon nel corso del 2016 (si tratta della percentuale più elevata in Europa); in generale l’incidenza è significativamente elevata nella generazione dei “millennials”, con il 25% che acquista solo su Amazon (contro il 18% degli over 35). Anche in Italia si registra questa tendenza nonostante l’età media della popolazione sia molto elevata e nonostante l’alto tasso di disoccupazione giovanile. La stessa indagine evidenzia come la crescita degli acquisti online sia sostenuta dai social media nella loro funzione di “vetrina” e come, in apparente contraddizione, risulti in crescita la fedeltà del consumatore per il negozio fisico. Nonostante la crescita dell’online, in Italia la fedeltà in negozio risulta essere uno dei più importanti trend: la conoscenza del prodotto da parte del personale di vendita influenza su tutti maggiormente le scelte di acquisto (importanza attribuita 73% mentre livello di soddisfazione 58%), poi richieste offerte personalizzate o real-time (70%-45%).
Prima la persona del consumatore
Quali conclusioni possiamo trarre, pertanto, da questo fenomeno così complesso ed in costante evoluzione? Quali che siano gli strumenti o i luoghi che il consumatore utilizza per i suoi acquisti, ciò che importa è riuscire ad intercettare al meglio le sue esigenze. Ed allora, l’innovazione continua e costante rappresenta un veicolo per rispondere a tale esigenza. Tanti investimenti, da parte dei players della distribuzione moderna, per stare al passo con questo continuo cambiamento e, probabilmente, un eccesso di soluzioni proposte non tutte destinate ad un roseo e duraturo futuro. Storytelling, geomarketing, personalizzazione, esperienzialità, community, virtual reality, augmented reality, stampa 3D, sono solo alcune delle parole attraverso cui passa questo coacervo di proposte per rispondere alle mutate esigenze. Ma non ci sono alternative ad investire su tante soluzioni per non perdere il passo con il consumatore ed aumentando così le possibilità che una (o più) di queste sia quella giusta.
Pertanto, se accettiamo che il mutamento dei comportamenti di consumo rappresenti una reazione alla crisi finalizzata al mantenimento degli stili di vita, che ha visto e vede nel commercio online uno strumento per ottenere tale obiettivo, allora riusciremo meglio a comprendere ed intercettare le esigenze in un’ottica di evoluzione, non di stravolgimento, avendo sempre come punto di riferimento l’uomo, prima ed oltre che il consumatore.